«Non sono questi boschi assai più liberi da pericoli che una corte invidiosa? Qui non sentiamo più la condanna d’Adamo, la stagione che cambia, e la zanna gelata e il villano rimbrotto del vento dell’inverno, perché, quand’esso soffia mordente sul mio corpo da farmi rattrappire per il freddo, io sorrido e dico: “Questa non è adulazione. Questi son consiglieri che mi fan sentire davvero ciò che sono”».
Shakespeare, Come vi piace.
Il riallestimento delle sale della Pinacoteca di Brera, voluto dal nuovo curatore dell’istituzione milanese James Bradburne, prosegue con la sistemazione della XIX stanza che un tempo ospitava un nutrito numero di opere leonardesche, sparite dalla circolazione (non si sa bene dove siano state confinate) per far posto al quarto dialogo della pinacoteca dedicato a Lorenzo Lotto, a cui l’Accademia Carrara di Bergamo ha dedicato poco tempo fa una mostra incentrata sulla tarsia lignea della Creazione di Adamo, recentemente attribuita proprio al maestro veneziano. Il riallestimento così come il catalogo sono curati da Francesco Frangi e Maria Cristina Passoni. La finalità di questi dialoghi è quella di donare alla Pinacoteca nuova linfa vitale, ovvero di riallacciare il rapporto tra il museo e i suoi visitatori, tra il museo e il contesto cittadino in cui esso è inserito.
«La funzione di un Museo è quella di comunicare un messaggio, un’idea che possa trovare una base comune nel visitatore che fruisce del museo. La funzione di un Museo è quella di fare e di trasmettere cultura e per affrontare questa sfida, il Museo deve cercare sempre di reinventarsi, di rinascere, di creare con il visitatore connessioni e dialoghi in grado di stimolarlo continuamente. Solo così un Museo continua a vivere, nella cultura e nella memoria degli uomini».
Marco Audisio.
Un colore cupo, grigio antracite, attende il visitatore che entra nella piccola stanza XIX della Pinacoteca, lì si possono ammirare cinque opere di Lorenzo Lotto, tra cui, oltre a quelle già esposte in museo, anche il bellissimo Ritratto di Gentiluomo di casa Rovero in prestito dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia ed esposto a Brera fino al prossimo 11 giugno. Oltre a questi dipinti di Lotto sono presenti in sala due opere di Giovanni Battista Moroni e una di Sofonisba Anguissola. Un po’ a margine (non compaiono nemmeno nel catalogo) stanno due ritratti, rispettivamente uno di Francesco Torbido e l’altro di anonimo maestro veneziano raffiguranti Ritratti di gentiluomini. Il filo conduttore che unisce tutti questi pittori è il tema del ritratto.

Se psicologicamente intensi appaiono i Ritratti di Fedo da Brescia e Laura da Paola, dipinti da Lotto tra il 1543 e il 1544 in una foggia tradizionale ed essenziale, suscitando l’ammirazione del grande Bernard Berenson, ritengo che la bellezza del ritratto di Gentiluomo di casa Rovero del 1530-1532 (anni in cui Lotto è inquieto e straordinariamente inventivo) è assolutamente ineguagliabile per intensità cromatica e forza compositiva. Nei primi due ritratti l’aspetto esteriore e quello psicologico sono perfettamente calibrati e convivono grazie all’estrema cura che Lotto dedica alla fisionomia e all’espressione dei volti dei due effigiati. Nel Ritratto di gentiluomo di casa Rovero, il personaggio dalla difficile identificazione è intento a sfogliare un libro contabile, tuttavia il suo sguardo sembra rivolgersi a tutt’altri pensieri, come le apprensioni di chi si appresta ad acquisire maggiori responsabilità, andando a prendere le redini di una nobile famiglia e quindi rivolto al futuro, contrapposto forse al pensiero di un amore intenso ma immaturo, finito ma non ancora dimenticato: chissà! La composizione sembra più sbilanciata e tutta a favore dell’introspezione psicologica. Amabile il particolare della lucertola che si aggira sopra un delicato manto azzurro steso sul tavolo e dei petali di rosa, elementi del mondo vegetale e bucolico in antitesi con quelli del mondo tutto terreno e fin troppo reale come il calamaio bruno, gli strumenti per scrivere e sigillare le lettere e lo scrigno di legno trasportabile, in cui il giovane uomo ritratto deve continuamente fare i conti. Non sono solo oggetti che vogliono farci capire (anche se enigmaticamente) chi è l’uomo rappresentato, ma, attraverso tali oggetti, Lotto vuole restituire tutta la complicata psicologia che sta dietro, anzi che sta dentro la psiche di questo personaggio.

Il Ritratto di Gentiluomo a mezzo busto di Moroni, esposto in sala, sembra uscire dalla tela grazie allo sfondo verde che ne avvolge l’effige e ne esalta la plasticità, l’uso sapiente della luce, che risulta quasi abbagliante sul colletto di pelliccia dell’uomo ritratto, è certamente un espediente per far emergere ancora di più l’intensità psicologica dell’uomo raffigurato. Tuttavia ritengo senza ombra di dubbio folgorante il Ritratto di Antonio Navagero (1565), dello stesso Moroni, con quell’aria sorniona ma allo stesso tempo vigile propria di chi, preso da molte responsabilità (era il Podestà di Bergamo), si concede pochi secondi per riposarsi un momento. Di straordinaria eleganza appaiono gli abiti indossati dal Navagero come il “giuppone” di seta rosso corallo, previsto dalla carica da lui ricoperta, o il mantello rivestito di pelliccia di lince, che esaltano non solo l’aspetto esteriore del personaggio ma ci aiutano anche ad indagare la sottile psicologia dell’effigiato, quindi ad entrare nel suo mondo, nel suo immaginario.

Allo stesso modo dei precedenti, anche l’Autoritratto di Sofonisba Anguissola (1560-1561 circa) vuole esprimere l’intensità psicologica della pittrice, ma nel farlo annienta quei riferimenti “ambigui e simbolici” presenti nelle opere di Lorenzo Lotto. È come se solo il volto debba far parlare il ritratto e non anche gli oggetti. In questo senso sia Sofonisba Anguissola sia Moroni risultano in qualche modo meno “complicati e cerebrali” di Lorenzo Lotto, il quale, giunto alla sua piena maturità artistica, abbandonerà progressivamente questo cerebralismo per giungere nei Ritratti di Febo da Brescia e Laura da Pola, poc’anzi menzionati, ad una sintesi squisita di introspezione psicologica e raffinata esteriorità.

Lascio al visitatore il compito di scoprire e imparare a conoscere gli altri ritratti e quindi le storie che si nascondono e che animano questa intelligente risistemazione della sala XIX della Pinacoteca di Brera, chiedendogli di prestare molta attenzione sia al Ritratto di gentiluomo con guanti e al Ritratto di uomo con elsa entrambi di Lorenzo Lotto, sia alla splendida e materica Testa di Vecchio di matrice tizianesca, dipinta da Jacopo Palma il Giovane. Una luce soffusa avvolge l’intera stanza creando un’atmosfera coinvolgente e mettendo il visitatore nella condizione di godere a pieno delle opere esposte.

Non condivido e non capisco molto bene la scelta di omettere dal piccolo catalogo dell’esposizione alcune opere invece presenti nella sala. Se i tesi che compongono il catalogo (Skira) sono dal punto di vista critico molto ben curati, trovo insensato non inserire nel volume tutti i dipinti che fanno parte di questa nuova esposizione. Infine vorrei anche sapere che fine hanno fatto tutte le opere leonardesche che un tempo si trovavano nel precedente allestimento. Mi auguro che risaltino fuori al più presto: per adesso godiamoci questi Ritratti.
Marco Audisio
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