«Ogni città ha la mostra che si merita. Novara può e deve fare di più: la città, i giovani e tutte le persone che la abitano ne hanno bisogno anche se non lo sanno».
A Novara, l’esposizione dal titolo Sentieri di luce. In cammino con Morbelli e Nunes Vais, curata da Susanna Borlandelli e Lucia Molino e visitabile fino al prossimo 25 settembre, è la quinta mostra dedicata alla storia dell’arte che si svolge all’interno dell’Arengo del Complesso del Broletto, la prima dopo il cambio di giunta avvenuto nel giugno dello scorso anno.
L’esposizione raccoglie una trentina di opere provenienti dalle raccolte della Fondazione Cariplo di Milano, dai Musei Civici e della Galleria Giannoni di Novara; dodici di esse sono state restaurate con il finanziamento della Fondazione Novarese e sono dunque visibili nella loro rinnovata veste. Oltre ai dipinti, sono esposti anche alcuni abiti ed oggetti di uso quotidiano di epoca ottocentesca provenienti dal Museo Civico Archeologico Etnografico «Carlo Giacomo Fanchini» di Oleggio (Novara).
La mostra, come suggerisce il titolo, è interamente dedicata al XIX secolo, mentre i protagonisti sono la città di Novara, i territori ad essi limitrofi e i loro abitanti. Il percorso è dunque estremamente lineare e si articola in tre differenti tappe suddivise in mostra in altrettante sezioni.
![reproarchistato-7[1].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2017/07/reproarchistato-71.jpg?w=1200&h=737)
La prima di esse, dal titolo «Una città di provincia dell’Ottocento», è dedicata al territorio urbano così come esso appariva in quell’epoca, ai suoi luoghi caratteristici e agli abitanti di allora, che lì vivevano e svolgevano le proprie attività. Per la verità, questa seconda tematica sembra prevalere sulla prima, dal momento che gli unici spazi presenti in questa sezione sono Piazza delle Erbe, così come la ritrae un anonimo pittore piemontese, identificato forse con Paolo Finazzi (attivo nella seconda metà del XIX secolo), l’antico duomo romanico e il cortile del Broletto, nell’aspetto con il quale dovevano apparire in quel periodo ai novaresi, prima che gli interventi effettuati fra Ottocento e Novecento ne modificassero le sembianze. Molto interessante la serie di disegni del visionario architetto Alessandro Antonelli (Ghemme, Novara, 1798 – Torino, 1888), in particolare il grande progetto, mai realizzato, volto a rendere il centralissimo Corso Cavour – allora chiamato corso di porta Sempione – una via porticata; uno sguardo non più sulla Novara che era, ma su quella che sarebbe potuta essere.
Le scene di genere ritraggono invece alcuni momenti di vita quotidiana che appartengono, più che al contesto novarese in sé, ad una generica idea di Ottocento, nel quale le ambientazioni e le persone si collocano in quel «limbo» a metà fra la vita di campagna e il contesto più cittadino, come andava ormai affermandosi, soprattutto nel nord del paese, a causa della progressiva industrializzazione. Fra queste opere spicca il capolavoro di Italo Nunes Vais (Tunisi, 1860 – Firenze, 1932), artista sensibile alle ricerche sul vero, al quale si lega in modo efficace la selezione di indumenti ed oggetti esposti accanto, provenienti dal già citato Museo Fanchini di Oleggio.
La seconda sezione, «Fra città e campagna», conduce invece i visitatori verso luoghi più periferici, nei quali i confini di queste due realtà, ai quali si è già accennato, si fanno ancora più vaghi ed incerti e dove lo stile di vita e i costumi che emergono sono decisamente più contadini. Ne è un esempio Donna con gallina il piccolo dipinto di Mosè Bianchi (Monza, 1840 – 1904), artista che si muove fra verismo ed impressionismo, con uno sguardo alla scapigliatura, e che a partire dal 1895 si ritira presso il Lago Maggiore, dove dipinge alcune caratteristiche scene di genere.
![13-_ah00352afc[1].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2017/07/13-_ah00352afc1.jpg?w=1200&h=1661)
La terza e ultima sezione, «Viaggio in provincia» è composta da una serie di dipinti aventi come soggetto le mete naturalistiche più celebri dell’area del novarese, dal Lago Maggiore alle numerose Valli (come la Valle Vigezzo) che si incontrano proseguendo verso nord, e che già nel XIX esercitavano un’indubbia attrattiva nei confronti dei turisti borghesi. Questo settore costituisce dunque, come spiegato anche nel pannello informativo, una sorta di compendio di interesse sia geografico, sia storico-artistico, dal momento che i numerosi artisti qui presenti sono anche espressivi delle maggiori correnti pittoriche del secondo Ottocento, dal romanticismo al naturalismo, giungendo quindi al divisionismo e al più tardo simbolismo.
Tuttavia, questo secondo aspetto, più «tecnico», passa, a nostro parere, in secondo piano rispetto ai soggetti dei dipinti, alcuni dei quali catturano lo sguardo soprattutto per la luminosità e le dimensioni imponenti. La sensazione che ne deriva è di leggera confusione rispetto agli intenti “dichiarati”, dal momento che nessuno di essi – né l’interesse per la dimensione geografica e naturalistica, né quello per le vicende storico-artistiche – riesce ad imporsi con decisione e ad orientare il visitatore nella ricca varietà di luoghi e immagini.
In questa parte dell’esposizione è presente l’altro grande nome legato alla mostra, Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 – Milano, 1919), con l’opera, datata 1915, Battello sul Lago Maggiore, un interessante esempio di tecnica divisionista, della quale Morbelli fu uno dei maggiori esponenti, curiosamente tarda rispetto alla consueta cronologia del movimento.
Sentieri di Luce è una mostra che non racconta l’Ottocento così come lo si conosce, ma prova a raccontare tanti piccoli segmenti di storia ottocentesca novarese e nel farlo, forse tralascia informazioni che al visitatore non autoctono – diciamo così – rischiano di far perdere la comprensibilità dell’operazione che qui è stata fatta. Forse ci sarebbero voluti dei pannelli esplicativi un po’ più approfonditi, magari con degli affondi sulle biografie di alcuni artisti molto poco moti. L’allestimento che non ha nulla di innovativo – sono tante infatti le mostre che a Novara si sono costruite usando grandi pannelli in legno ricoperti con vernici o stoffe colorate come in questo caso – delinea tuttavia un percorso chiaro e immediatamente leggibile e dà anche un senso di leggerezza all’intero ambiente.
Brutta è invece l’illuminazione che lascia almeno una decina di opere in ombra o penombra e che invece di essere al servizio delle opere e della mostra contribuisce al suo parziale affossamento. Positivo è il catalogo, edito da Silvana Editoriale in vendita al prezzo di 20 euro; anche se estremamente sintetiche, le schede delle opere sembrano ben fatte. La collaborazione tra le curatrici della mostra e gli allievi del Liceo Artistico Statale Felice Casorati, nell’abito dell’alternanza scuola-lavoro, sembra abbia prodotto un effetto più che positivo nei ragazzi che hanno avuto l’immensa opportunità di vedere da vicino cosa accade dietro le quinte di una mostra: dal restauro di un’opera d’arte fino alla sua esposizione in sala. Il filmato visibile in Arengo che esemplifica il lavoro dei ragazzi dell’artistico è tuttavia troppo lungo e la musica che accompagna il filmato si ripete in continuazione e risulta per tanto un poco fastidiosa. Gli eventi collaterali all’evento suscitano maggiore perplessità e qualche disperazione: non si capisce il senso di riproporre fino alla nausea i cosiddetti “itinerari antonelliani” dato che normalmente questi sono fruibili al di là dell’evento espositivo in sé. Fatte invece con criterio e cognizione di causa le conferenze e gli incontri di approfondimento sulle tematiche delle mostra. Nel complesso l’esposizione è piacevole anche se non molto approfondita e a tratti un po’ raffazzonata. Altro dilemma viene dalla campagna informativa della mostra e dalla cartella stampa che ha circolato sull’esposizione: in che modo Sentieri di Luce sarebbe una mostra per i giovani se le tematiche, gli eventi collaterali e di approfondimento sembrano tutto fuorché concepiti e pensati per i giovani? Anche se l’argomento della mostra e gli eventi collaterali sono interessanti, così come sono concepiti non sembrano riscuotere grande interesse tra i giovani e questo lo dicono dei giovani che a queste tematiche hanno dedicato tanto tempo e studio. Un’altra nota positiva e con questa chiudiamo: l’entrata in mostra è gratuita.
Chiara Franchi e Marco Audisio
Rispondi