Alla Fondazione Pasquinelli – con sede a Milano, corso Magenta 42 – si è recentemente conclusa la mostra “Immaginazioni, invenzioni, gesti: gli anni cinquanta”, curata dal professor Antonello Negri, dell’Università degli Studi di Milano, e andata in scena dal 20 ottobre al 1 dicembre 2017.
L’esposizione, che ha costituito l’ultimo appuntamento della rassegna “L’arte in una stanza” – la quale ha caratterizzato il palinsesto culturale milanese a partire dall’autunno 2014 e con una cadenza di due volte all’anno – si è confermata, al pari delle precedenti, un’interessante occasione per conoscere o approfondire un particolare periodo dell’arte contemporanea, in questo caso quello compreso fra il secondo dopoguerra e il 1968. Si tratta di anni solitamente poco “frequentati”, sia per quanto riguarda i programmi culturali e gli eventi espositivi, sia nell’ambito dell’istruzione scolastica e universitaria; ciò, in ogni caso, non ha costituito un limite, ma piuttosto un’utile occasione per aggiungere un tassello al proprio bagaglio culturale e ampliare lo spettro dei propri interessi.
La mostra ha raccolto opere di cinque artisti internazionali e appartenenti a diverse generazioni, accomunati tuttavia dall’esperienza vissuta, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, nell’ambito di quel particolare tipo di arte definito “informale”. Si tratta di un linguaggio assai eterogeneo, diffusosi sia in Europa che in America, e che in Italia vide una ferrea contrapposizione all’altro stile pittorico “di riferimento” del periodo, il realismo. Infatti, al contrario di quest’ultimo, volto, come suggerisce il nome stesso, ad analizzare il contesto del tempo con un linguaggio figurativo ed accessibile, l’arte informale attinge alla dimensione più intimistica degli individui e la traduce sulla tela mediante gesti spesso dettati dalle pulsioni del subconscio, ottenendo così tracce e segni astratti.
![2 - mathieu[6654].JPG](https://letterarti.files.wordpress.com/2017/12/2-mathieu6654.jpg?w=736)
È il caso, ad esempio, di Composizione, opera del francese Georges Mathieu (Boulogne-sur-Mer, 1921 – Boulogne-Billancourt, 2012), la prima ad essere stata acquisita nella collezione Pasquinelli, nel 1968. Il dipinto, realizzato nel 1960, racchiude diversi elementi della ricerca pittorica di Mathieu, caratterizzata dall’interesse per ampie campiture di colore sulle quali si sovrappongono filamenti più sottili di pittura, che richiamano l’immaginario degli ideogrammi giapponesi e la cultura orientale, alla quale l’artista, che spesso si presentava al pubblico indossando un kimono, si ispirava.
![3 - riopelle[6655].JPG](https://letterarti.files.wordpress.com/2017/12/3-riopelle6655.jpg?w=736)
Alla stessa generazione di Mathieu appartiene il canadese Jean-Paul Riopelle (Montréal, 1923 – Île-aux-Grues, Quebec City, 2002), esponente di punta del tachisme, declinazione francese dell’informale. In Losanga, eseguita nel 1964, l’artista, all’interno di una tela dall’inconsueta forma romboidale, restituisce sfumature e consistenze che rimandano alla dimensione della natura, analizzata tuttavia dall’”interno”. L’approccio è dunque intimistico, volto a restituire non una rappresentazione oggettiva dei dati naturali, ma la materia informe e indefinita di cui essi sono costituiti.
![4 - hartung[6656].JPG](https://letterarti.files.wordpress.com/2017/12/4-hartung6656.jpg?w=736)
Se l’attenzione di Riopelle è rivolta alla terra, gli altri tre artisti presenti alla mostra indagano invece la dimensione celeste; Hans Hartung (Lipsia, 1904 – Antibes, 1989), ad esempio, è sin da bambino affascinato dalla potenza sprigionata da fulmini e saette durante i temporali e ciò si traduce, sia nella fase precedente che in seguito all’adesione all’informale, in opere dal tratto veloce e zigzagante.
![5 - licini[6657].JPG](https://letterarti.files.wordpress.com/2017/12/5-licini6657.jpg?w=736)
Osvaldo Licini (Monte Vidon Corrado, Fermo, 1894 – 1958) è forse l’artista più “atipico” in questo particolare contesto: dopo aver preso parte ai maggiori movimenti artistici del novecento – dall’esordio con il futurismo alla frequentazione del variegato ambiente della Scuola di Parigi – la sua pittura si attesta su una produzione che unisce l’astrattismo degli anni Trenta a suggestioni quasi infantili, che ricordano l’opera di Paul Klee (Münchenbuchsee, 1879 – Muralto, 1940). Il dipinto Angelo ribelle, del 1958, ne è un esempio: esso non può dirsi informale in senso stretto, poiché presenta egli accenni figurativi nel paesaggio marino, nella strana sagoma dell’angelo sospesa nel cielo e nel missile che gli sfreccia accanto, probabilmente allusivo al difficile clima della Guerra Fredda.
![6 - fontana[6658].JPG](https://letterarti.files.wordpress.com/2017/12/6-fontana6658.jpg?w=736)
Lucio Fontana (Rosario di Santa Fè, Argentina, 1898 – Comabbio, Varese, 1968), infine, era presente alla mostra con due interessanti “concetti spaziali”: il primo, realizzato nel 1957 e appartenente alla serie dei “buchi”, è caratterizzato da un gradevolissimo effetto estetico e cromatico dovuto anche all’inserimento nella superficie di piccole pietre e paillette; il secondo è invece ascrivibile al gruppo delle “attese”, ossia ai celebri tagli nelle tele. Le ricerche di Fontana nell’ambito dello Spazialismo, il movimento da lui fondato nel 1946, sono state messe, in sede di mostra, in relazione non solo con il desiderio di indagare lo spazio tridimensionale in tutte le sue forme, ma anche con il suo interesse per l’astronomia; senza dubbio, un punto di riferimento decisivo in questo senso fu l’atlante fotografico Il cielo e le sue meraviglie, scritto da Pio Emanuelli nel 1934, con le sue immagini di nebulose, corpi celesti e visioni aeree della terra.
Con questo articolo si è cercato di riassumere le suggestioni offerte da una mostra piccola nelle dimensioni, ma – come la Fondazione Pasquinelli ci ha ormai abituati – complessa ed estremamente ben congeniata, nella speranza di aver suscitato curiosità, desiderio di approfondire le tematiche qui illustrate e una maggiore attenzione per gli eventi che dovessero, in futuro, affrontare i medesimi argomenti. Per quanto riguarda la Fondazione, dopo l’epilogo di questo interessante ciclo di mostre non ci resta che attendere ulteriori sviluppi, con la certezza che i progetti in serbo per il futuro saranno altrettanto gradevoli e illuminanti.
Chiara Franchi
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