“Sei andata a vedere la nuova mostra sull’Egitto al Mudec?”
“Hai visto al Mudec ci stanno gli Egizi, tu studi queste cose no?”
“Un faraone importante, cui però era stata data poca attenzione. Il Mudec, Museo delle Culture di Milano, riscopre Amenofi II…”
“Sono appena stato alla mostra del faraone, costava tantissimo e non c’era niente di che”
“Senti devo dare l’esame di Egittologia, vieni al Mudec con me?”
Questa volta il Mudec, come spiegava diligentemente il giornalista, Museo delle Culture di Milano, ha attuato un’ottima politica pubblicitaria. Tutta la città di Milano è stata tappezzata: in metro era impossibile ignorare l’imponente statua del faraone Amenofi II che campeggiava su uno sfondo di dubbio gusto corredato di macchie marroni e ocra che dovrebbero ricordare la sabbia (?). Ad ogni modo la loro strategia ha dato buoni esiti e la mostra, aperta fino al 7 Gennaio 2018, ha avuto moltissime visite. L’occasione per questa esposizione è lo studio degli archivi di Victor Loret (1859-1946), direttore del Servizio delle Antichità Egiziane nel 1897, che sono stati acquistati dall’Università degli Studi di Milano nel 2002.

I curatori infatti sono i due docenti della cattedra di Egittologia, Patrizia Piacentini e Christian Orsenigo, suo fedele ricercatore. La mostra si apre, come solita abitudine del museo milanese, con l’esposizione di oggetti di vita quotidiana poco inerenti con la promessa che accompagna il visitatore sin dall’entrata nel museo: “la straordinaria scoperta del faraone Amenofi II”. Dopo una o due sale in cui si succedono oggetti apparentemente casuali e atti a riempire le vetrine, come, ad esempio i capelli di una mummia oppure delle collane di rielaborazione ottocentesca. Si accede alla porzione dedicata al faraone e al suo esploratore, Victor Loret. Un’introduzione sul rito funerario egiziano funge da filtro per l’ingresso alla riproduzione della tomba del figlio del più grande conquistatore d’Egitto.

Come nel mito il corpo di Osiride, smembrato dal fratello Seth, fu ricomposto dalle dee Iside e Nefti, così nella realtà, il corpo del defunto veniva trattato dagli imbalsamatori affinchè potesse preservarsi come il dio. Nella sala molto ampia trovano posto due vetrine che ospitano i veri tesori della mostra: quattro splendidi sarcofagi e le relative mummie. Nella prima vetrina son collocati i sarcofagi più antichi, come quello della signora della casa Tetet della XXII-XXIV dinastia, ligneo e ricco di decorazioni apotropaiche.

Nel secondo spazio si trova invece un magnifico esempio di “cartonnage”! Una tecnica che si insinua in Egitto in Epoca Tarda e che doveva sembrare qualcosa di estremamente povero e umile rispetto alle imponenti casse lignee finemente intagliate delle epoche precedenti. Si tratta, infatti, di semplici fogli di papiro tagliati e incollati fra loro con lo stucco, dipinti in un secondo momento. Ma è la ricchezza dei particolari e la meticolosissima cura a rendere questi manufatti assolutamente unici nel loro genere. Alcuni frammenti di papiro del cosiddetto “Libro dei morti” ci introducono finalmente alla tomba.

Un libro “per uscire al giorno”: così gli egiziani chiamavano quella selezione di formule che facevano parte di questo libro liturgico, intendendo la possibilità di continuare una seconda vita dopo la morte. “Colui che sulla terra conosce questo libro o colui nel cui sarcofago questo libro è messo per iscritto, egli potrà “uscire al giorno” in tutte le forme volute e potrà far ritorno nella sua tomba senza rischiare di essere respinto. A lui saranno dati pane, birra e un grosso pezzo di carne provenienti dall’altare di Osiride” Libro dei Morti, Cap. LXXII. La sera del 9 marzo 1898, Victor Loret entra nella tomba di Amenofi II e a lume di torcia inizia a esplorare il lungo corridoio e le sale piene di oggetti frantumati. Nel nucleo della tomba, protetto da una sorta di cripta, Loret trova il sarcofago di Amenofi II e all’interno la sua mummia! Un caso così eccezionale potrà verificarsi soltanto ventiquattro anni dopo, nel 1922, con la scoperta della tomba di Tutankhamon. Tra il 13 marzo e il 31 1898 Loret completa lo scavo vero e proprio documentando ogni passaggio in maniera scientifica. Divide sistematicamente le sezioni e registra la misura e la posizione degli oggetti, usando un metodo innovativo simile a quello di un archeologo contemporaneo.

La riproduzione della tomba che si trova nella Valle dei Re risulta assolutamente fedele all’originale, completa con il meraviglioso soffitto stellato e i geroglifici. Dopo aver vinto le mie remore iniziali ho scoperto una mostra diversa. Diversa non solo da ciò che mi aspettavo ma anche dalle solite mostre del Mudec. Nonostante qualche punto critico e la brutta locandina, è una mostra che consiglio.
Ildegarda di Bingen
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