Fra disegni e stampe, a Milano il Novecento è di carta

Ensor, Munch, Rodin, Segantini, Martini, Boccioni. E ancora Morandi, Manzù, Carrà, Guttuso, Morlotti, Fontana, Schifano, Dorazio, Pistoletto… sono veramente moltissimi i grandi nomi che si incontrano all’esposizione Novecento di carta, allestita preso le Sale Viscontee del Castello Sforzesco e visitabile fino al 1 luglio 2018.
I numeri sono imponenti: il curatore, Claudio Salsi, direttore del Settore Soprintendenza Castello, Musei Archeologici e Musei Storici del Comune di Milano, ha riunito circa cento maestri del secolo breve, differenti per linguaggi e tendenze stilistiche, ma accomunati da un unico mezzo: la carta, materiale semplice e complesso allo stesso tempo, con le sue mille funzioni, da supporto progettuale a terreno di sperimentazione assoluta, materia prima nelle stamperie oppure occasione di confronto con le numerose tecniche incisorie, fino ad essere incorniciata ed esposta al pari di una tela.
La mostra nasce proprio con l’intento di offrire al pubblico l’occasione per arricchire il proprio bagaglio di conoscenze mediante la visione di opere che molto raramente vengono esposte, come purtroppo impone la loro delicatezza – l’ultimo evento di questo genere risale al 1991 –  e che, tuttavia, costituiscono un’ampissima porzione del patrimonio artistico del Comune di Milano, da sempre attento e ricettivo nei confronti dell’arte grafica. Un rapporto, quello fra il capoluogo lombardo e l’arte su carta, che ha attraversato quasi tutto il Novecento e che trova la propria consacrazione con la fondazione, nel 1927, della Civica raccolta di stampe Achille Bertarelli, resa possibile grazie allo straordinario lascito da parte del collezionista di circa trecentomila pezzi.
Oltre alla raccolta Bertarelli, hanno contribuito alla riuscita della mostra le più importanti istituzioni milanesi, come il Gabinetto dei Disegni, la Biblioteca d’Arte, il Centro di studi sulle Arti Visive, la Galleria d’Arte Moderna, il Museo del Novecento e le Raccolte Storiche, senza dimenticare gli importanti prestiti provenienti dalla Collezione Intesa Sanpaolo.
Lo spazio, piuttosto ridotto, nel quale si articola la mostra non deve trarre in inganno il visitatore, poiché l’esposizione risulta, per dimensioni e ricchezza, quasi enciclopedica: seguendo una scrupolosa scansione cronologica, che parte dal 1869 e giunge fino agli anni Settanta del Novecento, vengono infatti presi in esame con precisone tutti i gruppi, le correnti e le scuole che hanno movimentato la storia dell’arte degli ultimi centocinquant’anni. Destreggiarsi in questa serrata sequenza di nomi, personaggi e date – meglio chiarirlo subito – non è semplice, a nostro avviso, nemmeno per il pubblico più esperto; per fortuna la comprensione è agevolata da numerosi pannelli esplicativi, nonché da diverse didascalie incentrate su singole opere o sequenze.

1 - ensor.jpg
Fig. 1 James Ensor, La morte minaccia la massa umana, 1869, Civica Raccolta delle stampe “A. Bertarelli”, Milano

L’esposizione è imperniata soprattutto sull’attività di artisti italiani, mentre la presenza straniera è ridotta, sebbene non priva di interesse. Alcuni esempi interessanti, in tale senso, si incontrano nelle due sezioni iniziali, dedicate rispettivamente al critico d’arte Vittorio Pica (Napoli, 1864 – Milano, 1930) e al gallerista Vittore Grubicy de Dragon (Milano, 1851 – 1920). Pica, in particolare, trovò proprio nella grafica il campo privilegiato di studio e ricerca, oltre ad esserne attivo collezionista, ed è ricordato in mostra per la sua attività di promozione in Italia di alcuni artisti stranieri fino a quel momento sconosciuti. Fra di essi, incontriamo il controverso James Ensor (Ostenda, Belgio, 1860 – 1949), pittore oscillante fra simbolismo ed espressionismo, celebre per le grottesche maschere e le inquietanti creature che popolano i suoi scorci cittadini.
Un altro personaggio che ebbe il merito di aggiornare il panorama culturale italiano rispetto a quanto accadeva nei maggiori centri europei è il già citato Vittore Grubicy. A quest’ultimo, attivo insieme al fratello Alberto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e vero e proprio “talent scout” dell’epoca, va il merito del successo di quegli artisti iniziati proprio da lui stesso alla tecnica divisionista, come Gaetano Previati (Ferrara, 1852 – Lavagna, 1920), Angelo Morbelli (Alessandria, 1854 – Milano, 1919) e, soprattutto, Giovanni Segantini (Arco, 1858 – Monte Schafberg, 1899). Di quest’ultimo segnaliamo in mostra una bella versione ad inchiostro su carta della Ninetta del Verzée, la sfortunata popolana protagonista anche di un più noto dipinto ad olio.

2 - martini.jpg
Fig. 2 Alberto Martini, Ligeia, 1907 – 1908, Civico Gabinetto dei Disegni, Milano

Il passaggio al ventesimo secolo è segnato da un nucleo di artisti italiani rappresentati in mostra anche perché, fatte le necessarie distinzioni di stile e di vicende biografiche, accomunati dal fatto di aver ricevuto ampi riconoscimenti e distinzioni a Parigi, prima ancora che in patria. Fra di essi troviamo Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931), ritrattista per eccellenza del bel mondo, e una serie di incisori fra i quali Alberto Martini (Oderzo, 1876 – Milano, 1954), specializzato nell’illustrazione di testi letterari. Con le sue immagini dai forti contrasti, oniriche e spesso inquietanti, Martini è considerato dalla critica precursore del più tardo surrealismo: si veda, a questo proposito, il disegno a penna e china su cartoncino dal titolo Ligeia, raffigurante la macabra veglia funebre sul corpo di Lady Rowena narrata da Edgar Allan Poe nell’omonimo racconto horror.

3 - boccioni.JPG
Fig. 3 Umberto Boccioni, La madre che lavora all’uncinetto, 1907, Civica Raccolta delle stampe “A. Bertarelli”, Milano

Proprio la figura di Martini ci conduce, attraverso vie sinora poco battute, all’opera di uno dei più grandi artisti dello scorso secolo: Umberto Boccioni. Ormai universalmente noto come esponente di punta del primo futurismo, Boccioni (Reggio Calabria, 1882 – Chievo, 1916), ospitato in mostra nella sezione dedicata alle avanguardie, ha avuto in realtà anche dei trascorsi come incisore, meno conosciuti rispetto alla sua fase “matura” – se così si può dire per un artista scomparso a soli trentaquattro anni – e sui quali ebbe una notevole influenza proprio, fra numerosi altri stimoli, l’attenta osservazione delle illustrazioni di Martini. Le vicende di Boccioni incisore hanno luogo dal 1907, anno nel quale l’artista apprende la tecnica dell’acquaforte dal misterioso “signor Zezzos di Venezia”, al 1910 e si sviluppano parallelamente alle ricerche, per quanto riguarda la pittura, sul divisionismo. Sei sono gli esemplari boccioniani presenti in mostra, tre appartenenti proprio a questa prima fase, e tre “carte dipinte” del successivo periodo futurista; onnipresente la figura della madre, Cecilia.
L’esposizione prosegue poi, decennio dopo decennio, in maniera antologica: gli anni Venti sono dominati dal “mostro sacro” Giorgio Morandi (Bologna, 1890 – 1964), universalmente ritenuto uno dei più grandi incisori del Novecento; una passione, quella per l’acquaforte, che lo accompagnò sin dagli esordi, parallelamente a quella per la pittura.
Per quanto riguarda gli anni Trenta, spicca il nome di Giacomo Manzù (Bergamo, 1908 – Roma, 1991), rispetto al quale apprendiamo, dal relativo pannello esplicativo, che non si occupò solo di scultura, ma dedicò parte della sua carriera anche alla produzione di acqueforti e litografie, nelle quali si distinguono la consueta essenzialità delle linee e la purezza dei volumi.

4 - guttuso.jpg
Fig. 4 Renato Guttuso, Donna sdraiata, senza data, Collezione Bianca e Mario Bertolini, Museo del Novecento, Milano

Presenti anche gli artisti di Corrente, organizzazione milanese di matrice espressionista ed anti-naturalista sviluppatosi dal 1938 al 1942 come risposta fortemente critica, non solo in senso stilistico, all’ufficiale gruppo di Novecento, sostenuto e promosso dal regime fascista. Numerosi i grandi nomi che hanno animato il movimento: Aligi Sassu (Milano, 1912 – Pollença, 2000), Renato Guttuso (Bagheria, 1911 – Roma, 1987), Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006) ed Ennio Morlotti (Lecco, 1910 – Milano, 1992), quest’ultimo tuttavia assente nella sezione dedicata all’Arte informale, della quale pure fu uno dei massimi esponenti, che è incentrata sule figure di Afro (nome d’arte di Afro Libio Basaldella; Udine, 1912 – Zurigo, 1976) e Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995).

5.jpg
Fig. 5 Federica Galli, Rio San Lorenzo, 1987, Civica Raccolta delle stampe “A. Bertarelli”, Milano

Morlotti è noto anche per il lungo sodalizio intellettuale ed umano con Giovanni Testori, che risulta a sua volta, sebbene per via indiretta, rappresentato in mostra attraverso un approfondimento dedicato proprio ai cosiddetti “incisori testoriani”, mediante esemplari tutti provenienti dalla raccolta Bertarelli. Si tratta di un gruppo di artisti – a titolo di esempio segnaliamo Federica Galli (Soresina, 1932 – Milano, 2009) – verso i quali il critico mostrò una spiccata predilezione, concretizzatasi in un numero consistente di articoli e saggi di cataloghi a loro dedicati. Sebbene si tratti di personalità indipendenti, che operarono in contesti e secondo modalità differenti, questi personaggi sono accomunati nelle proprie opere da una stretta adesione al vero, senza convenzioni formali o inutili abbellimenti, nella quale probabilmente lo stesso Testori ravvisò una consonanza alle proprie vicende.
Dagli anni Quaranta agli anni Cinquanta, da una diatriba all’altra: con il passaggio al secondo dopoguerra germoglia infatti l’opposizione fra astrattismo e realismo, che viene però riletta in mostra sotto una nuova luce, mediante l’esposizione di opere di Giuseppe Santomaso (Venezia, 1907- 1990) che, insieme al Gruppo degli Otto, cercherà di coniugare le due differenti tendenze mediante una tecnica che, seppure astratta, ha come imprescindibile punto di partenza un dato figurativo.
Restando negli anni Cinquanta, non si può fare a meno di nominare Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968), il quale, per la messa a punto della sua arte spaziale, si avvalse proprio del supporto di progetti su fogli di carta, bucati, tagliati e sfondati con l’ausilio di una semplice penna, alla ricerca della terza dimensione e dell’infinito dell’universo.

6 - dorazio.jpg
Fig. 6 Piero Dorazio, Senza titolo, 1965, Museo del Novecento, Milano

Alcune delle maggiori tendenze artistiche degli anni Sessanta e Settanta, almeno per quanto concerne la dimensione grafica, sembrano riassumersi in mostra in un’unica sigla: 2RC, la stamperia e galleria romana di Eleonora e Valter Rossi, fondata nel 1959 e luogo consacrato da numerosi artisti allo scopo di diffondere su larga scala le proprie sperimentazioni, nel tentativo di fare breccia nell’interesse del pubblico non specializzato. Per la 2RC sono passati, ad esempio, i già citati Afro, Burri e Fontana, mentre dalla Stamperia Romero, che ne condivise la stessa “sorte”, proviene il dipinto Senza titolo dell’astrattista Piero Dorazio (Roma, 1927 – Perugia, 2005), interessante perché la semplicità della sua tecnica – acquerello su carta, spesso riservata a schizzi o bozzetti – non le impedisce di acquisire la dignità di un’opera finita e come tale è solitamente incorniciata ed esposta presso il Museo del Novecento, a Milano.
Chiudono la mostra i capitoli dedicati alla Pop Art italiana, con un nucleo di opere scelte per il loro dialogo con le immagini dell’arte del passato – come Gente che cammina di Mario Schifano (Homs, 1934 – Roma, 1998), omaggio a Giacomo Balla – e all’Arte Povera e Concettuale. Qui l’Autoritratto in fotocopie di Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994) getta le basi per una riflessione su alcuni dei più spinosi problemi che affliggono l’arte e la cultura nell’epoca a noi contemporanea: il confronto inevitabile con la tecnologia, il sempre più trascurato concetto di unicità e la facilità con cui è ormai possibile replicare, a scapito della qualità, anche gli oggetti più rari e preziosi.

Visitando questa mostra si ha la sensazione di percorrere le pagine di un manuale di storia dell’arte, nel quale concetti e immagini prendono forma e si concretizzano di fronte al visitatore. Tuttavia, si sa, lo studio di un volume – anche il più interessante e anche quando si presenta in forma di esposizione – non è mai semplice e lo stesso si può dire del percorso che si snoda di fronte al visitatore. Leggere i numerosi e dettagliati pannelli, assimilarne tutti i dati e le nozioni richiede un lavorio mentale non indifferente e per inserire i tasselli al posto giusto è consigliabile avere già in partenza una conoscenza di base delle vicende artistiche del Novecento. A complicare un poco la corretta comprensione dell’itinerario espositivo subentrano poi alcune questioni tecniche, come la disposizione talvolta labirintica e l’illuminazione spesso fin troppo bassa e soffusa.
Il risultato è in ogni caso estremamente dettagliato, completo e didascalico e offre numerosi occasioni di riflessione, soprattutto al pubblico più appassionato. Questa è sicuramente una nota di merito: la scelta di concentrare il percorso esclusivamente sulla grafica, ambito che rimane purtroppo emarginato ad un ruolo accessorio rispetto alla pittura o alla scultura, ha permesso di dimostrare come sia possibile, attraverso essa, costruire in tutto e per tutto una storia dell’arte “parallela” a quella ufficiale.

Chiara Franchi

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Blog su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: