La collezione rivelata: una nuova acquisizione a Milano

Milano, Piazza Duomo, novembre 1970: l’artista bulgaro Christo Javacheff (Gabrovo, 1935) e la moglie Jeanne-Claude (Casablanca, 1935 – New York, 2009) si apprestano a rimuovere il telo bianco con il quale, qualche ora prima, avevano “impacchettato” il monumento equestre a Vittorio Emanuele II, in occasione di un intervento eseguito nell’ambito del Festival del Nouveau Réalisme ideato dal celebre critico Pierre Restany (Amélie-les-Bains-Palalda, 1930 – Parigi, 2003)  e ancora oggi considerato uno degli eventi più iconici fra le vicende artistiche contemporanee in Lombardia.
Fra coloro che assistono in diretta allo “spacchettamento” della statua si trovano Peppino (Veduggio con Colzano, 1923 – Milano, 1990) e Luigi Agrati (Veduggio con Colzano, 1918 – Milano, 2016) fratelli, imprenditori e, soprattutto, collezionisti: da un paio di anni hanno intrapreso la propria opera di ricerca sull’arte contemporanea, e Peppino, seguendo una peculiare vocazione culturale, ha persino fondato una Galleria, la “Multicenter”, situata nel cuore di Milano.
Folgorato dalla potenza espressiva dei gesti del duo Christo e dando prova di una notevole sensibilità, l’imprenditore commissiona alla coppia alcuni lavori da eseguire nella propria villa in Brianza e decide di finanziare Valley Curtain, la loro prima impresa monumentale: un gigantesco telo arancione steso lungo una valle delle Montagne Rocciose, in Colorado. È l’inizio di un lungo rapporto di lavoro e di amicizia, nonché un importante tassello nelle vicende della collezione Agrati, che arriverà infine a contare più di cinquecento opere.
Alla scomparsa di Peppino, avvenuta nel 1990, Luigi, insieme alla moglie Mariuccia, si assume la responsabilità di proseguire l’opera del fratello, avvalendosi della consulenza di alcuni fra i massimi esperti del settore, come lo storico dell’arte Germano Celant (Genova, 1940), che nel 2002 ha curato la prima monografia dedicata alla collezione (Un folle amore. La collezione Luigi e Peppino Agrati, Skira, Milano).
Nel proprio testamento, infine, Luigi Agrati prende un’importante decisione: quella di destinare l’imponente raccolta di famiglia in eredità al gruppo Intesa Sanpaolo, che si è così arricchito di uno dei più importanti patrimoni artistici del Novecento.
Da questo generoso lascito ha preso le mosse la mostra “Arte come rivelazione”, in occasione della quale, fra maggio e agosto 2018, nelle sale delle Gallerie d’Italia sono state per la prima volta esposte al pubblico settantaquattro opere provenienti dalla collezione Agrati. La mostra è stata curata da Luca Massimo Barbero, con il coordinamento generale di Gianfranco Brunelli; il filo espositivo scelto non è stato di tipo cronologico, ma cercava di analizzare, in modo più articolato, i “perché” delle scelte operate dai fratelli Agrati, indagando il loro approccio al complesso panorama dell’arte contemporanea.

Figura 1.jpg
Fig.1 A sinistra: il padiglione dedicato alle sculture di Fausto Melotti nella sala centrale delle Gallerie d’Italia; al centro: Fausto Melotti, L’indeciso, 1974; a destra: Fausto Melotti, Kore, 1955-1956, Milano, Collezione Intesa Sanpaolo.

È questo uno dei tratti distintivi della collezione dei due industriali: Luigi e, soprattutto, Peppino, non si affidarono alle logiche del mercato o della moda, ma la loro raccolta si è andata costituendo, negli anni, in base a scelte dettate dalla sensibilità e dal gusto personali, nonché dalla diretta conoscenza di molti degli artisti che la compongono. Un caso emblematico, oltre al già citato rapporto con Christo, è quello dell’amicizia che legò Peppino a Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986), indiscusso protagonista dell’intera esposizione. Le opere dello scultore trentino ne costituivano infatti il fulcro, non solo in senso metaforico e concettuale, ma anche espositivo, “fisico”. Ad accogliere i visitatori nella sala centrale delle Gallerie d’Italia c’era infatti una struttura a padiglione bianca, di forma ellittica, all’interno del quale era stata allestita una sorta di esposizione nell’esposizione: un piccolo, ma estremamente interessante, nucleo “monografico”, interamente riservato alle sculture che Melotti realizzò a partire dalla fine degli anni Cinquanta, dopo alcuni anni dedicati interamente alla produzione in ceramica. È una fase, nella carriera dell’artista, di profonda sperimentazione, segnata dalla ricerca su nuovi materiali, come l’ottone, e dall’affermazione dell’idea, già elaborata nei decenni precedenti, di una scultura – non scultura astratta, leggera e libera di muoversi nello spazio.
Sempre per quanto riguarda l’opera di Melotti, di assoluto rilievo erano le Korai esposte nella prima sezione del percorso, che Agrati acquistò direttamente dall’artista fra il 1955 e il 1956 e appartenenti alla meno conosciuta produzione in ceramica. Le fanciulle di Melotti sono sorprendenti rielaborazioni di un tema antichissimo, quello della scultura votiva greca; le caratteristiche che più emergono sono l’espressività dei volti e la preziosità delle vesti, resa tramite l’utilizzo di smalti colorati e con il trattamento a punzone delle superfici, che dona il particolare effetto a rilievo.

Figura 2.JPG
Fig. 2 Mario Merz, Proliferazione vegetale, 1970, Milano, Collezione Intesa Sanpaolo.

Se Melotti, all’epoca dell’incontro con Agrati, era un artista già affermato e con una propria vicenda critica ed espositiva, gli interessi dell’industriale si spinsero anche ad esplorare la contemporaneità nel senso più proprio del termine, quella costituita da artisti giovani e non ancora consacrati. È il caso, ad esempio, degli esponenti dell’allora neonata Arte Povera, in particolare di coloro che si occuparono del rapporto tra l’uomo e la natura, come Mario Merz (Milano, 1925 – 2003), presente in mostra con una delle sue Serie di Fibonacci in neon, reinterpretazione moderna della progressione numerica teorizzata dall’omonimo matematico pisano nel XIII secolo, nel tentativo di quantificare le modalità di evoluzione di alcuni organismi viventi.

Figura 3.JPG
Fig. 3 Pino Pascali, Ricostruzione della balena, 1966, Milano, Collezione Intesa Sanpaolo.

Molti i grandi nomi dell’Italia degli anni Sessanta: Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), del quale era esposto uno dei celebri “quadri specchianti”, serie elaborata proprio pochissimi anni prima dell’incontro con Agrati, Mario Schifano (Homs, 1934 – Roma, 1998), Jannis Kounellis (Il Pireo, 1936 – Roma, 2017) e Pino Pascali (Polignano a Mare, 1935 – Roma, 1968). Di quest’ultimo, Agrati acquistò l’opera Ricostruzione della balena, datata 1966, appartenente alla serie Ricostruzione della natura, appena elaborata dall’allora giovanissimo artista. Nel caso specifico della presente collezione, Pascali propone un esemplare del suo – per usare la definizione dello stesso curatore della mostra – “bestiario fantastico”, concretizzato nella costruzione artificiale di uno scheletro di balena, che, pur nelle dimensioni imponenti, non riesce a non trasmettere la sensazione di leggerezza data dal materiale di cui è costituito: tela tesa su centine di legno.

Figura 4.jpg
Fig.4 Piero Manzoni, Achrome, 1961, Milano, Collezione Intesa Sanpaolo.

Oltre a Fausto Melotti, l’altro grande maestro del Novecento collezionato dagli Agrati è l’imprescindibile Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé, 1899 – Comabbio, 1968), dalla cui opera discende una maggiore attenzione per gli aspetti spaziali e materici della tela, liberata dai suoi limiti bidimensionali e figurativi. È proprio questa nuova idea di arte a segnare i protagonisti della generazione successiva, come Yves Klein (Nizza, 1928 – Parigi, 1962) o Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano, 1963), quest’ultimo presente in mostra con un Achrome – letteralmente “opera incolore” – facente parte della serie iniziata nel 1961, ideata non solo come tentativo di liberazione dalle costrizioni della tela, ma anche come affermazione di oggettività e distacco dalla presenza dell’ego dell’artista.
Uno dei valori aggiunti della collezione Agrati risiede nell’attenzione riservata alle allora stelle nascenti dell’arte contemporanea statunitense, come Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987), del quale gli imprenditori acquistarono, grazie alla preziosa mediazione del gallerista Leo Castelli (Trieste, 1907 – New York, 1999) l’opera Triple Elvis, del 1963. Servendosi di un fotogramma di Elvis Presley (Tupelo, 1935 – Memphis, 1977) tratto del film western Flaming Star, del 1960, Warhol utilizzò in questa occasione per la prima volta la tecnica serigrafica che lo avrebbe reso celebre in tutto il mondo, replicando per tre volte sulla tela l’immagine ingrandita del cantante.

Figura 5.jpg
Fig. 5 Robert Rauschenberg, Trasmettitore Argento Glut (Neapolitan), 1987, Milano, Collezione Intesa Sanpaolo.

Robert Rauschenberg (Port Arthur, 1925 – Captiva Island, 2008) è un altro fra gli artisti con i quali Agrati ebbe un diretto rapporto di amicizia e di cui collezionò opere, pressoché ininterrottamente, dagli anni Sessanta agli Ottanta. Fra queste, Trasmettitore Argento Glut (Neapolitan), realizzato nel 1987 a Napoli ed esposto nella Galleria Lucio Amelio, fu uno degli ultimi esemplari ad essere acquisiti da Peppino. La serie dei Gluts, letteralmente “eccedenze”, a cui appartiene quest’opera, nacque all’inizio degli anni Ottanta in occasione di un viaggio di Rauschenberg in Texas, trasformato, a causa di una grave recessione economica, da territorio rurale a landa desolata, disseminata di vecchi distributori di benzina abbandonati. Da qui nacque l’idea di recuperare gli scarti delle moderne infrastrutture, in questo caso pezzi di metallo e targhe automobilistiche, apparentemente insignificanti, lavorarli fino ad ottenere una straordinaria lucentezza e infine donare loro una nuova vita attraverso la realizzazione di sculture astratte.

Fra gli ormai rari esponenti dell’imprenditorialità lombarda illuminata, i fratelli Agrati hanno saputo costruire una collezione “da manuale”, riuscendo ad intuire, con estrema lungimiranza e spesso in anticipo sulla critica, gli sviluppi più significativi dell’arte del secondo Novecento, vista nel suo ruolo di rivelazione e interpretazione della società. Conclusa l’anteprima di presentazione, restiamo in attesa del futuro allestimento definitivo di questa importante raccolta, caso esemplare di collezionismo intelligente e mirato, oggi generosamente divenuto patrimonio di tutta la collettività.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                 Chiara Franchi

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Blog su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: