Definito dal «Guardian» un incontro fra il film cult American Psycho e il famoso programma televisivo X Factor, Uccidi i tuoi amici (Kill your friends) di John Niven viene portato da Einaudi nelle librerie italiane nel marzo 2019, a nove anni di distanza dal suo debutto sugli scaffali del Regno Unito. Già nel 2015, dal lavoro letterario viene tratta l’omonima pellicola cinematografica, che ha come protagonista l’ex-star del teen drama britannico Skins, Nicholas Hoult. Con lo stesso piglio furbo, manipolatorio e spregiudicato che ha caratterizzato, a livello più acerbo, il suo Tony Stonem, l’attore inglese inscena per noi lo spaccato di mondo che Niven non si è poi più di tanto dovuto sforzare di immaginare.
Ci troviamo negli anni novanta e, sullo sfondo del variegato panorama musicale di fine decennio, il talentuoso (o quasi) discografico Steven Stelfox esamina, giudica, ascolta concerti e demo, conosce nuove band e cantanti e, soprattutto, riesce a mantenere un invidiabile controllo sulla spirale di depravazione, sesso occasionale, orge, droga, polveri, alchool, astuti raggiri e raccapriccianti omicidi che si rivela essere la sua vita.
Ma facciamo un passo indietro.
Fin dall’inizio del romanzo a raccontarci la sua storia è Steve stesso che, avvezzo ad ogni tipo di bassezza e volgarità, non può che infondere alla narrazione un taglio aspro, sarcastico e a volte crudelmente veritiero. Nelle parole del personaggio di Niven, infatti, il mondo della musica e l’aria che si respira nelle case discografiche emergono in tutto il loro cinismo e la loro superficialità. Veniamo proiettati in una mentalità utilitaristica, che non guarda al talento o alla bravura, ma si concentra invece solamente sull’immagine e sul valore economico del prodotto, seguendo sempre l’imperativo che «La musica supera davvero ogni barriera. L’avidità è così incredibilmente inclusiva».
Quindi il mio mestiere è questo. Ascolto della musica – cantanti, gruppi, cantautori – e decido quale possa avere una discreta possibilità di successo. Allora organizzo una registrazione decente e noi, la casa discografica, proviamo a venderla a voi, al pubblico generalista. Vi sembra facile? Succhiatemi ’sto cazzo: non reggereste dieci minuti.
E infatti mica ci azzecco sempre. Come tutti. Però sono abbastanza cazzuto. Di norma sbaglio otto-nove volte su dieci […].
Noi, la mia etichetta, abbiamo buttato via milioni, ma milioni, di sterline per produrre della musica che poi, sorpresa, nessuno ha voluto ascoltare.
E così arriviamo alla solita domanda: che tipo di musica ti piace? Qualcuno di tanto in tanto me la fa davvero. Assurdo, no? Di solito qualche pivello, qualche product manager alle prime armi che è venuto a pranzo con noi creativi, oppure il componente di una band che stai cercando di mettere sotto contratto […]. Che tipo di musica mi piace? Chiedere a un talent scout di una grande etichetta una cosa così è come chiedere […] a un broker: «Ehi, qual è la tua valuta del cuore?» Ho gusti musicali variabili. Eclettici, come dicono i musicisti mentecatti nelle interviste per sembrare intelligenti. A me non frega una beata mazza del genere musicale – rock, trance, hip hop, heavy metal bulgaro –purché sia vendibile.
E ancora:
Che ne penso? Il disco è assolutamente, totalmente, demenzialmente, pacchianamente, stucchevolmente, univocamente spazzatura. Ma attenzione, non bisogna mai dimenticare che questo è esattamente il 99 per cento di ciò che piace al pubblico inglese.

Vendere, scalare le classifiche, passare ininterrottamente in radio e mettere sotto contratto talenti artistici che possano rivelarsi i nuovi Oasis sono gli obiettivi che i discografici inseguono, lottando fra loro senza esclusione di colpi. Prevaricazioni, promozioni lavorative immeritate e sfrenata concorrenza sono gli ingredienti che fanno deflagrare la latente carica esplosiva della vita sregolata del «cazzuto» Steve. Sopraffare per non essere sopraffatto, uccidere per non ritrovarsi come capo un incompetente, sgozzare per eliminare qualsiasi testimone, ricattare per non venire più indagato e incastrare, distruggere anche l’ultimo briciolo di dignità umana della punta di diamante dell’etichetta per poter essere di nuovo, indiscutibilmente il migliore sulla piazza. È Steven Stelfox arrivista e spregiudicato, è Steven Stelfox come Patrick Bateman che strangola e fracassa il cranio a chiunque abbia un biglietto da visita simile o più bello del suo, non è Wall Street, ma lo spettacolo che ci viene offerto non è meno cruento e crudele.
Il «conto alla Banca del Karma» di Steve «non va un cazzo bene», la sola e disperata scritta «addebito» compare stampata ovunque. «Rosso, rosso, rosso», fino alla fugace illuminazione, alla tenue speranza di un riscatto, di un cambiamento di rotta:
E se…smettessi? Potrei cambiare. Fare del bene.
No, non c’è redenzione né assoluzione.
Le lacrime del nostro protagonista sono lacrime di coccodrillo, dettate dal panico di vedere, per un solo istante, gli intricati fili della sua tela distrutti e spazzati via dal vento dei repentini e per nulla favorevoli avvenimenti che sembrano sopraffarlo. Alla stessa velocità con cui si era manifestata, l’epifania positiva di Stelfox viene infatti accantonata nel tempo di una breve telefonata. La partita non è ancora finita e non tutto è perduto. Si trattava quindi solamente del lieve allentamento dei lacci che precede di poco la stretta mortale.

I pensieri e le sensazioni che ho provato terminata questa lettura sono contrastanti e agrodolci. L’efficacia dello stile di Niven è innegabile. Il lessico sdoganato e truce e il periodare serrato che accoglie felicemente al suo interno dialoghi e monologhi interiori non fallisce nel conquistare la nostra attenzione e nel coinvolgerci nelle vicende di Steve. Con non troppo stupore, infatti, ci rendiamo ben presto conto di schierarci dalla parte del protagonista, che, più che un semplice bad boy, è un vero e proprio assassino psicopatico. Il nostro tifo è per lui, che speriamo riesca a prevalere sui suoi colleghi a confronto onesti e innocui.
Eppure.
Eppure non sono riuscita cogliere tutta la comicità promessami per esempio dalla recensione del romanzo comparsa sul «Times» o sull’ «Independent». Termini misogini e scambio di favori sessuali non provocano l’ilarità di questa «pomposa cozza», che sarei io, così probabilmente etichettata per il mio modo di pormi da tutti gli Steven Stelfox del mondo. Non fraintendetemi, sono perfettamente consapevole della volontà e dell’esigenza dell’autore di riportare per filo e per segno il modo esatto in cui si svolge la realtà esterna. Sono anche a conoscenza del fatto che, ancora oggi, ci sono situazioni simili in moltissimi ambienti di lavoro ed è proprio per tale motivo che forse «divertente da star male» non sarebbero stati credo i primi termini a venirmi in mente per descrivere questo romanzo. Non si sta insomma contestando la scelta dello scrittore di adoperare un certo tipo di linguaggio, quanto piuttosto il «fa ridere» come reazione a quest’ultimo.
Uccidi i tuoi amici, per rifarci ad altre righe dell’«Independent» che invece mi trovano d’accordo, è un «assalto durissimo, scabroso e sferzante a tutti gli aspetti di un sistema corrotto». La parabola non discendente di Steve è come un mostro raccapricciante con tentacoli molto forti, che non vi permetteranno di abbandonare la barca tanto facilmente. Sarete anche voi trascinati via a forza dalla spirale di depravazione e criminalità a cui si accennava nelle prime rime righe di questo articolo. L’efferatezza di certe azioni è, come ho già cercato di far emergere, la stessa che si ritrova in alcune scene di American Psycho, dandomi quindi motivo di pensare che, se il film americano del 2000 è stato di vostro gradimento, non potrete non apprezzare anche questa lettura.

Infine, nel caso in cui non foste ancora convinti, sottolineo che lo scorrere dei mesi all’interno del racconto è scandito attraverso i movimenti delle classifiche radiofoniche e dei successi di band e cantanti celebri. I fan potranno perciò riconoscere all’interno della vicenda alcuni fra i propri beniamini. Se siete appassionati del panorama musicale inglese degli anni novanta non vi rimane dunque altro da fare che iniziare la lettura e godervi le chicche disseminate sapientemente da Niven in queste sue pagine.
Federica Rossi
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