I leoni di Sicilia hanno fatto molto parlare di sé questa estate quando il romanzo di Stefania Auci, primo volume di una saga dedicata alla famiglia Florio, ha raggiunto le varie librerie d’Italia, prese quasi d’assalto dai lettori che hanno fatto raggiungere al romanzo la prima posizione dei libri più venduti per diversi mesi.
Di questo successo ne ho avuto testimonianza diretta ad agosto, quando per la prima volta ho visto il libro in mostra in una libreria, il cui proprietario diceva che in pochi giorni aveva dovuto ordinarne di nuovo diverse copie visto che le prime erano andate a ruba.
I leoni di Sicilia quindi è un romanzo che certamente ha catturato l’attenzione dei lettori italiani e che è diventato in poco tempo un bestseller con numerose ristampe.

Il segreto dietro questo successo è comprensibile: la storia di una famiglia che a partire dall’Ottocento riesce ad arricchirsi grazie alle proprie forze e che deve però continuamente combattere contro i pregiudizi di quelle famiglie nobili per nascita che, sebbene ormai abbiano perso parte del loro lustro, si ostinano a guardare i Florio dall’alto verso il basso; la presenza di una storia d’amore “tormentata”; il susseguirsi di episodi brevi e veloci che fanno procedere la lettura speditamente, quasi con un andamento seriale; la scrittura semplice e paratattica che accompagna la storia dei leoni di Sicilia per tre generazioni.
La narrazione ha inizio il 16 ottobre 1799 a Bagnara Calabra, terra d’origine dei Florio, che Paolo, il capo famiglia, decide di lasciare per trasferirsi a Palermo in cerca di successo. Il fratello di Paolo, Ignazio, all’inizio è restio all’idea di lasciare Bagnara così come la cognata Giuseppina, ma se Ignazio poi è consapevole che quel trasferimento è stato l’inizio del loro successo, Giuseppina continuerà a rimpiangere la sua terra e i suoi affetti ormai lontani.
I Florio quindi partono da una piccola aromateria, un negozio di spezie, per costruire poi il loro impero e la loro influenza in continua ascesa. Grazie alle doti di Paolo, Ignazio e Vincenzo e al loro spirito intraprendente i Florio accrescono le loro ricchezze diventando una delle famiglie più influenti di Palermo.
Vincenzo, figlio di Paolo, con il suo intuito perspicace, riesce ad ampliare i commerci di famiglia e ad investire in campi economici che prima erano impensabili da trattare, diventando anche pioniere per alcune innovazioni produttive.

Seguiamo, quindi, le vicende dei Florio, intrecciate con le vicende della città di Palermo, che si divide tra spirito indipendentistico e servizio a dominazioni straniere, e quelle del futuro stato italiano, fino al settembre 1868, capitolo conclusivo del libro.
I personaggi che vengono descritti all’interno del libro sono persone che sono davvero esistite, i Florio sono stati una famiglia di grandi imprenditori e nei libri successivi l’autrice continuerà a ripercorrere la storia di questa famiglia.
Di sicuro quindi la saga dei Florio affascina ed è in grado di coinvolgere il lettore che vuole sapere come va a finire la storia e che quindi si fa trascinare dal procedere degli eventi.

Il romanzo però, a mio parere, ha dei grandi difetti che alla fine mi hanno portato a non apprezzarne la lettura.
La sintassi così spezzata e semplificata, che procede per periodi brevissimi, è vero che può facilitare la lettura e velocizzarla, ma rende il tutto piatto e col tempo noioso. Anche il dividere la storia in piccoli episodi che si susseguono può annoiare dopo un po’, soprattutto perché a volte questi micro episodi di cui è composto il libro non aggiungono niente di significativo alla narrazione e rimangono fini a se stessi.
Insomma, a mio avviso si è sacrificato troppo in nome di una leggibilità, che sì ha dato i suoi frutti, ma che priva la narrazione di spessore.
Il difetto più grande però sta nella caratterizzazione dei personaggi: sebbene nel romanzo vengano prese in considerazione tre generazioni di Florio (prima Paolo con la moglie Giuseppina e il fratello Ignazio, poi Vincenzo, figlio di Paolo, e infine Ignazio junior), tutti gli uomini della famiglia si distinguono per i medesimi caratteri e lo stesso si può dire per le donne presenti nel libro, anche qui manca profondità.
Gli uomini della famiglia sono tutti fieri, taciturni, forti, incapaci di esprimere le loro emozioni ma comunque con dei sentimenti; con questa grande forza che li porta avanti, che li spinge a migliorare la loro posizione sociale; con una rabbia connaturata verso i nobili siciliani che continuano a trattarli come facchini. Dopo un po’, a me come lettore, questi personaggi tutti uguali hanno irrimediabilmente stancato. È vero il libro è ambientato nell’Ottocento, ma non per questo non si possono rappresentare dei personaggi maschili che abbiano più sfaccettature e siano un po’ meno macchiette.

Stesso discorso per le figure femminili del romanzo che la voce narrante tenta ostinatamente di presentarci come donne forti (anche loro, ebbene sì), ma che poi nella realtà dei fatti non fanno nulla e stanno lì a guardare i loro mariti fare quello che vogliono (per la serie: non basta dire donne forti per fare il femminismo).
La storia d’amore “tormentata” di cui parlavo prima è quella tra Vincenzo Florio e Giulia, di cui non vi anticipo la fine, ma vi dico solo che racchiude tutti gli stereotipi possibili e immaginabili, a dimostrazione ancora che i personaggi sono piatti e quasi senza sfumature.
Insomma, la lettura della prima parte del libro è stata anche avvincente, perché magari ci si immagina che con il passare del tempo i personaggi cambino e perché comunque il lettore vuole sapere cosa ne sarà della famiglia Florio, ma poi la ripetitività si fa sentire e fa perdere un po’ di interesse.

La città di Palermo è vero che fa da sfondo alla vicenda, ma non è a mio avviso così presente, le descrizioni delle vie cittadine e degli abitanti sono poche, sacrificate forse, anche esse, per una scorrevolezza e immediatezza di lettura.
I leoni di Sicilia è un ottimo libro di intrattenimento, ma non porta con sé quello spessore che ha reso, ad esempio, la saga de L’amica Geniale di Elena Ferrante, un successo sì di pubblico, ma anche di critica.
Alessandro Audisio
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