Novara ai tempi di Un matrimonio in provincia della Marchesa Colombi

Maria Antonietta Torriani, in arte La Marchesa Colombi, nasce a Novara nel 1840 da Luigi Torriani e Carolina Imperatori, ha una sorella maggiore di nome Giuseppina e trascorre la sua infanzia in Piazza delle Erbe, una zona centralissima di Novara, una Novara ottocentesca che più volte troviamo come sfondo dei suoi romanzi e racconti.
Il padre della scrittrice, che possedeva una piccola attività come orologiaio, muore dopo solo un anno dalla sua nascita. Questa morte causa diverse difficoltà alla famiglia Torriani, in primo luogo economiche: la madre Carolina, la sorella Giuseppina e la futura scrittrice devono cambiare abitazione più volte, pur rimanendo nella zona di piazza delle Erbe, e inoltre la madre deve iniziare a lavorare come maestra per potersi guadagnare da vivere.

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Fig. 1 Piazza delle Erbe in una fotografia d’epoca.

Carolina sposa in seconde nozze un anziano chimico, Martino Moschini, e ha un altro figlio Tomaso Giuseppe che va ad allargare la famiglia della Marchesa Colombi.
Questo è solo l’inizio del lungo percorso che affronta Maria Antonietta per diventare una scrittrice prolifica e ben inserita negli ambienti culturali dell’epoca. Basti ricordare il suo incontro con il poeta Giosuè Carducci, il quale si invaghisce di lei e le dedica la poesia Autunno romantico, contenuta in Rime nuove; o anche il suo matrimonio con Eugenio Torelli Violier, fondatore del «Corriere della sera».
Proprio questo matrimonio, le permette di conoscere moltissimi degli intellettuali attivi a quel tempo a Milano come Arrigo Boito, Iginio Ugo Tarchetti, Giovanni Verga e Luigi Capuana, che diventano anche suoi amici con i quali intrattiene rapporti epistolari.
Il nome d’arte adottato dalla Torriani, La Marchesa Colombi, corrisponde al femminile di un personaggio presente nella commedia di Paolo Ferrari, La satira e Parini, un personaggio eccentrico e a volte fastidioso nei suoi comportamenti. Forse proprio per questo motivo viene scelto questo pseudonimo da Maria Antonietta, per connotare in una certa direzione la sua opera letteraria.

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Fig. 2 Fotografia che ritrae La Marchesa Colombi.

Certamente l’opera più conosciuta della Marchesa Colombi è Un matrimonio in provincia, pubblicato per la prima volta nel 1885, ma che deve parte della propria fortuna alla sua riscoperta effettuata da Italo Calvino e da Natalia Ginzburg. I due letterati editori, redattori alla casa editrice Einaudi, sono attirati da questo titolo per la sua modernità, tanto che Calvino ripubblica il romanzo nella sua collana «Centopagine», nel 1973, e da questo momento l’opera della Torriani diventa oggetto di una rinnovata attenzione critica.

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Fig. 3 Copertina dell’ultima edizione di Un matrimonio in provincia, pubblicata dalla casa editrice Interlinea.

Calvino nella quarta di copertina del volume dice che non gli sarebbe venuta l’idea di leggere Un matrimonio in provincia, se Natalia Ginzburg non avesse dimostrato un particolare entusiasmo nei confronti di questo romanzo.
Calvino inoltre afferma:

“Qui dalle prime pagine si riconosce una voce di scrittrice che sa farsi ascoltare qualsiasi cosa racconti, perché è il suo modo di raccontare che prende, il suo piglio dimesso ma sempre concreto e corposo, con un fondo di sottile ironia: di quell’ironia su se stessi che è l’essenza dello humour”.

Un matrimonio in provincia contiene molti riferimenti alla vita stessa dell’autrice, anche se la situazione rappresentata sembra capovolgere la realtà: la protagonista, Gaudenzia detta Denzia, vive con sua sorella maggiore, Titina, con suo padre e la matrigna, la quale partorisce un nuovo fratello. La situazione del romanzo ricalca la vita della Torriani, anche se nella realtà la giovane scrittrice aveva perso il padre e non la madre.
Già da questo intrecciarsi di autobiografismo e invenzione letteraria si può notare una vicinanza con la scrittura di Natalia Ginzburg e anche Calvino lo nota:

“Una reazione di lettura di questo genere non ci è nuova: cerchiamo di ricordarci quando l’abbiamo provata altrettanto viva: ma sì, è proprio leggendo Natalia Ginzburg! Questo humour caricaturale e naif che trasfigura la lagna dei giorni che passano, i silenzi e le chiacchiere, le incompatibilità che si accumulano nelle lunghe convivenze, è un segreto che appare trasmesso direttamente dall’autrice di Un matrimonio in provincia all’autrice delle Voci della sera, di Valentino, del Lessico famigliare”.

Devo dire che questa somiglianza è da subito afferrabile fin dalle prime pagine del romanzo della Marchesa Colombi: il padre della protagonista Denzia pensa che una bella camminata in campagna o lungo le vie della città possa risolvere qualsiasi problema e questo mi ha ricordato da vicino Lessico famigliare e il padre di Natalia che le faceva fare lunghe passeggiate in montagna, insieme ai suoi fratelli, che finirono per odiarle.
Questo tono colloquiale con cui La Marchesa Colombi descrive ciò che avviene mi ha ricordato il modo di scrivere della Ginzburg, così come questa ironia dolce e amara che è caratteristica di tutta la narrazione. Ho trovato un altro elemento di comunanza anche nella tendenza ad indicare determinati personaggi sempre con delle precise caratteristiche: esilarante ad esempio, nel romanzo della Torriani, il notaio di Vercelli che ha in faccia un porro che cerca di nascondere con una strana acconciatura dei capelli. La zia di Denzia viene sempre descritta come nascosta da questo paravento in cucina, che divide i suoi spazi privati da quelli comuni della casa; i ragazzi, tra cui c’è l’innamorato di Denzia, vengono sempre chiamati i tre Moschettieri; tutti particolari su cui la scrittrice si sofferma nel corso della storia per cui quando si citano i tre ragazzi si sa già che arriverà il riferimento ai Moschettieri e così anche negli altri casi.

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Fig. 4 Piazza del Duomo a Novara, raffigurata in una incisione di Theophile Ladner.

Un matrimonio in provincia parla della giovinezza di Gaudenzia, una ragazza che fa parte di una famiglia piccolo borghese in ristrettezze economiche, giovinezza trascorsa tra le vie della città di Novara, tra le visite alle sue due cugine, più agiate di lei, e quegli amori fatti di soli sguardi e di sospiri. Gaudenzia è una bella ragazza e questo le viene ripetuto molte volte durante il corso del romanzo, ma la sua famiglia non può permettersi una dote da offrire al suo sposo nel momento del matrimonio e per questo è difficile trovare un buon partito. Ancora più difficile è trovarlo per la sorella maggior Titina, che non gode nemmeno della bellezza di Denzia.
La matrigna della nostra protagonista, inoltre, sembra intenzionata a risparmiare il più possibile sul futuro della due figliastre, per poter garantire un avvenire più agiato al figlio che da poco ha messo al mondo. Il padre di Titina e Denzia, prima che si risposasse, faceva insieme alle figlie delle lunghe passeggiate e per educarle raccontava loro le storie dei miti antichi, dei poemi cavallereschi e di alcuni classici della letteratura; inoltre insegnava loro a fare di conto, come viene detto nel romanzo, per poter fornire le basi di una buona educazione.

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Fig. 5 Palazzo Orelli, o il palazzo del mercato, in una fotografia d’epoca.

La matrigna cambia subito le regole e trasforma le due sorelle in due perfette donne di casa, impegnate a lavare, spazzare, pulire e a prendersi cura del fratello appena nato.
Denzia però durante un concerto a teatro attira le attenzioni di un giovane, benestante, che per tutto lo spettacolo la osserva con insistenza. Questo giovane viene chiamato lungamente Fausto, infatti l’opera che era andata a vedere era il Faust, ma in realtà scopriremo che si chiama Onorato.
Denzia, sapendo di aver fatto colpo su questo giovane, innanzi tutto è preoccupata per il suo aspetto fisico: la nostra protagonista non ha infatti notato le attenzioni del giovane, sono le cugine, con le quali era andata a teatro, che la avvisano di questi lunghi sguardi. Le cugine descrivono questo Fausto come un ragazzo abbastanza in carne, ma sottolineano anche l’ingenza del suo patrimonio, insomma è un buon partito.
Gaudenzia da quel momento continua a figurarsi nella sua mente la figura del suo innamorato, del suo Fausto, e continua a fantasticare sul suo imminente matrimonio.
La ragazza poi un giorno vede per la prima volta Onorato, al parco, sull’Allea, e sebbene all’inizio sia ancora una volta preoccupata per il suo aspetto fisico, la sua voglia di cambiare vita e il pensiero di avere qualcuno che la corteggi hanno la meglio e fanno sì che le sue fantasticherie continuino.

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Fig. 6 Vista sulla Basilica di San Gaudenzio prima della costruzione della cupola dell’Antonelli.

Denzia continua a pensare a questo suo fidanzamento, vuole costantemente incontrare le sue cugine, che sono maggiormente mondane di lei, per avere notizie di Onorato e cerca di trovare ogni occasione per poterlo vedere solamente, come andare nella chiesa della sua parrocchia per assistere alla messa della domenica.
È un amore fatto di soli sguardi, di pensieri, di affanni, nemmeno una parola viene scambiata tra Denzia e Onorato.
Per sapere però come va a finire questo lungo fantasticare della protagonista vi consiglio di leggere il romanzo che si fa leggere con estrema piacevolezza.
Tutto questo viene narrato con uno stile che è molto moderno per un romanzo del 1885 e ciò mi ha stupito molto: è vero alcune espressioni suonano come desuete, ma il modo di raccontare della Marchesa Colombi si avvicina moltissimo al nostro della contemporaneità.
Il tono ironico rende uniche queste pagine, perché dietro tutti questi struggimenti d’amore si coglie il sorriso agrodolce della scrittrice che implicitamente commenta queste vicende e che tenta di sdrammatizzare la situazione: per una donna non esiste solo il matrimonio!

Da novarese ho apprezzato moltissimo ritrovare in queste pagine i luoghi della mia città che vedo quotidianamente quando cammino tra le vie del centro: il palazzo del mercato, ovvero Palazzo Orelli, dove il padre delle due sorelle le porta per fare quattro passi; Piazza delle Erbe, dove la famiglia di Denzia vive; il Duomo di Novara non ancora modificato dall’architetto Antonelli, dove la protagonista va a messa tutte le domeniche; ma ancora il teatro Coccia dove avviene il primo incontro tra Gaudenzia e Onorato; il parco dell’Allea; San Martino, che all’epoca era una zona che si trovava fuori dalle mura della città, una zona di campagna.
Mi sono immaginato questi luoghi, così famigliari, immersi in questa atmosfera ottocentesca, che da una parte sembra molto lontana, ma che dall’altra sembra così concreta.

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Fig. 7 Incisione che raffigura il vecchio Duomo di Novara, prima che venisse abbattuto per la costruzione del Duomo antonelliano.

Insomma Un matrimonio in provincia è un romanzo piacevolissimo, ricco di humour, che strappa diversi sorrisi e che fa anche riflettere (davvero le relazioni amorose sono così diverse da allora? Davvero il modo un po’ pettegolo di comportarsi della comunità cittadina è diverso da quello di oggi?). Ancora più fascino assume agli occhi di un novarese che vedrà tutti i luoghi della sua città tra le pagine della Marchesa Colombi.

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Fig. 8 Foto d’epoca che ritrae le giovani studentesse della scuola professionale contessa Tornielli Bellini di Novara, intente a ricamare.

Quest’anno inoltre si celebrano i cento anni dalla morte della scrittrice, infatti proprio alla sua figura sono dedicati tutti gli incontri del mese di marzo che si svolgono ogni giovedì alla biblioteca civica Carlo Negroni di Novara, a cura del gruppo di volontari del Centro novarese di studi letterari, di cui chi vi scrive fa parte. Si sta organizzando anche una mostra in biblioteca che cerca di illustrare il percorso della Marchesa Colombi e il suo successo, attraverso l’esposizione delle tante edizioni delle sue opere presenti in biblioteca, tra cui le stampe dei suoi libri realizzate all’estero. Se volete sapere di più su Maria Antonietta Torriani vi aspettiamo!

Alessandro Audisio

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