Georges de La Tour e l’Europa della Luce a Milano

“Il sonno della ragione genera mostre”

Dopo aver letto la recensione al libro di Montanari fatta da Niccolò Iacometti, occorreva riflettere su una mostra appena aperta nel contesto “dell’assoluto sovrano dello sfornamento di mostre”, cioè Palazzo Reale a Milano, che ha deciso di celebrare il pittore lorenese Georges de La Tour con una esposizione in scena fino al prossimo 7 giugno 2020, promossa da MondoMostre Skira e curata dalla Prof.ssa Francesca Cappelletti dell’Università di Ferrara. L’ennesima mostra che si sarebbe voluta in un modo e che invece, puntualmente, è stata fatta in un altro, e che presenta, nemmeno a dirlo, alcune criticità.

La mostra occupa la parte destra al piano terreno di Palazzo Reale, negli stessi spazi in cui era sistemata quella di Antonello da Messina. Come per quella esposizione, le sale allestite per ospitare la mostra di La Tour danno l’impressione della vastità del vuoto. Sale molto ampie che contengono spesso e volentieri un massimo di due opere. Sulle altre pareti, lasciate libere dalle opere, si stagliano monumentali scritte bianche con frasi dei critici che nel Novecento hanno provato a ridare fama e fortuna a un artista che dopo la morte, avvenuta nel 1652, è stato ben presto dimenticato. La mostra di Antonello da Messina provava a colmare il vuoto delle sale con monumentali espositori di legno a forma di trittico, per quella di de La Tour gli espositori non servono nemmeno, in quanto le opere del “caravaggesco” hanno ben altre dimensioni e almeno le pareti dove sono collocate le tele del lorenese coprono bene gli spazi: assai magra consolazione, a fronte di una vastissima produzione artistica del pittore. Passando alla parte didattica, nemmeno quella risulta essere accattivante: pannelli esplicativi abbastanza ben fatti, ma un’audioguida ridicola dal punto di vista informativo. Che sorpresa sentirsi dire che il pittore ha utilizzato il lume di candela per elaborare il suo chiaroscuro, o che San Pietro sta sullo sfondo a sinistra insieme alla donna che presto lo accuserà di essere un fedelissimo di Gesù Cristo in un’opera che porta come titolo la Negazione di San Pietro! Per essere fatta bene la parte didattica, culturale, informativa o comunque la si voglia chiamare, non basta descrivere l’opera che lo spettatore si trova davanti, bisogna sforzarsi di provare a raccontare il contesto entro cui quell’opera è nata, discuterne magari la cronologia, raccontare i più salienti passaggi collezionistici: darne un’analisi critica o almeno sforzarsi in tal senso. In una mostra come questa, più che mai ci si sarebbe aspettati di apprendere i passaggi critici della riscoperta e della rivalutazione delle opere dell’artista, tutti rimandati, forse al massiccio catalogo dal costo esorbitante di 48 euro, leggermente scontato se lo si acquista, naturalmente, al bookshop della mostra. Ma nelle sale non è sufficiente appendere giganteschi aforismi dei critici che hanno studiato le opere di La Tour senza esplicitare il contesto o la circostanza, per far capire ai visitatori che il pittore è stato studiato e ha prodotto una discussione critica al fine della sua rilettura e rivalutazione. Invece tabula rasa, nulla, nada, nisba. Non è nemmeno risultato del tutto chiaro quale fosse il criterio espositivo: una esposizione tematica o cronologia? Un mix di entrambe verrebbe da dire ma con il rischio di generare, nel visitatore non specialista, un poco di confusione. Si è avuta l’impressione, nel visitare questa mostra che le opere, per quanto eccezionali, parlassero da sole, monadi incomunicabili senza nessi tra di loro, esposte decontestualizzate nella più assoluta astrazione; immagini che scorrono una dopo l’altra senza apparente comunicabilità e connessione se non iconografica e stilistica.

10. de La Tour San Giacomo Minore Musée Toulouse-Lautrec Albi, France
Fig. 1. Georges de La Tour, San Giacomo Minore, 1614-1615 circa – 1623, Olio su tela, 65 x 54 cm, Musée Toulouse-Lautrec, Albi, Francia.

Di cose buone ce ne sono state. I confronti con il contesto contemporaneo delle opere di de La Tour sono forse la parte più riuscita, anche se, ancora una volta, è mancata un po’ di coesione e connessione. Non basta appendere al muro delle opere, magari della stessa cronologia o con lo stesso tipo di impianto compositivo o sentimento artistico, per rendere palese i nessi tra due opere o tra due artisti. Bisogna saper raccontare una storia, i suoi protagonisti, le loro opere immerse nel contesto storico e critico: tutto questo, per quanto mi riguarda, non emerge con chiarezza e la poesia delle opere di de La Tour si perde a fronte di un immenso impianto luministico fortemente teatralizzato. Più riuscito è sicuramente il doppio binario su cui corre la mostra, da una parte infatti, su espositori di colore rosso sono messe le opere di Georges de La Tour, dall’altra, su muri di colore grigio antracite tendenti al blu scuro, stanno invece le opere dei contemporanei dell’artista o cui il pittore si è ispirato. Questa scelta tuttavia non è nuova per queste sale, infatti nel 2017 la mostra Dentro Caravaggio, curata da Rosella Vodret, proponeva lo stesso tipo di scorrimento parallelo o per andare ancora più indietro nel 2014 la mostra su Bernardino Luini e i suoi figli proponeva da una parte le opere del pittore di Dumenza e dall’altra quelle dei suoi contemporanei, seppure tra la mostra di Luini e quella di La Tour ci corre, dal punto di vista metodologico, un abisso incolmabile. Mi sarebbe piaciuto se la mostra avesse reso più palese l’evoluzione stilistica del pittore che esordisce con opere di forte impronta realista e “caravaggesca” se vogliamo, ma che con il passare degli anni e l’inevitabile maturazione intellettuale del pittore, vira verso altre scelte formali, più semplificate, sacrificando taluni aspetti per curarne altri. Tutto questo, avendo adottato un criterio tematico, non emerge chiaramente e se per lo storico dell’arte certi cambiamenti sono palesi, meno lapalissiani appaiono al visitatore non specialista. Ottima l’illuminazione delle opere, forse però, come in parte già detto, sarebbe valsa la pena di non adottare una così empatica teatralizzazione luministica, creando di tanto in tanto degli effetti di illuminazione più diffusa.

11. de la Tour Giovane che soffia su un tizzone Musée des Beaux Arts Digione
Fig. 2. Georges de La Tour, Giovane che soffia su un tizzone, 1640 circa, Olio su tela, 61 × 51 cm, Musée des Beaux-Arts Digione, Francia.

Ma chi era Georges de La Tour?

Georges de La Tour è nato a Vic-sur-Seille, in Lorena nel 1593, e il 14 marzo viene battezzato. Sul pittore non si hanno notizie certe e verificabili fino al 1617 quando viene definito “Maestro” poco prima di prendere in sposa Diane Le Nerf. Nel 1620, dopo aver ricevuto dal Duca di Lorena uno status sociale privilegiato e l’esenzione da tutte le imposte per via della nobiltà di sua moglie e per via della “nobiltà” dell’arte della pittura, lascia il suo paese natale per trasferirsi a Lunéville, città nella quale sarà prevalentemente attivo. Il 12 luglio 1623 il Duca Enrico II di Lorena acquista un dipinto di La Tour di cui non si conosce il soggetto. Al 31 luglio del 1624 risale una ricevuta autografa del pittore che certifica un altro acquisto da parte del Duca Enrico II di Lorena a Nancy. In questo caso è citato il soggetto, “un dipinto con l’immagine di San Pietro”. Proprio a Nancy e forse proprio per il Duca di Lorena, giunge nel 1609 dalla Sicilia una bella Annunciazione dipinta verosimilmente da Caravaggio a Messina oggi al Museé des Beaux Arts di Nancy. L’8 novembre del 1634 qualificato per l’occasione “nobile Georges de La Tour”, l’artista presta giuramento di fedeltà al re Luigi XIII insieme a tutti i cittadini di Lunéville. Al 17 maggio 1639 risale un ordine di pagamento del re Luigi XIII, che attesta la presenza a Parigi di La Tour. In un atto di battesimo a Nancy del 22 Dicembre di quello stesso anno, La Tour viene citato per la prima volta come “Pittore ordinario del Re”. Il 25 agosto 1640 un contratto di apprendistato menziona un agente del “Signor La Tour pittore ordinario del Re residente alle gallerie del Louvre”. Il 9 gennaio 1641 viene citato in un documento un dipinto di La Tour rappresentante san Pietro. Il 4 Febbraio, in un documento giudiziario, viene menzionato un dipinto del pittore lorenese rappresentante la Maddalena. Il 29 gennaio 1643 i pittori Simon Vouet e Laurent de La Hyre valutano un dipinto del pittore lorenese, raffigurante San Girolamo, l’importante cifra di “250 livres”, in occasione dell’inventario dei beni del Cardinale Richelieu. Nel 1645 viene pagata al pittore la considerevole somma di 700 franchi; La Tour consegna in quello stesso anno un dipinto rappresentante la Natività di Nostro Signore. Nel medesimo anno il pittore firma e data il dipinto che raffigura San Pietro e il gallo, oggi conservato al Cleveland Museum of Art. Al 1649 risalgono i primi pagamenti, che proseguono fino all’anno successivo, per un San Sebastiano destinato ad essere donato al governatore Le Ferté Senne terre. La composizione, con cinque figure, viene finanziata dalla città di Lunéville con la cifra di 700 franchi. Nel 1650 cinque opere del maestro lorenese sono citate nell’inventario post mortem del collezionista parigino Jean‐Baptiste de Bretagne. La data 1650 compare sulla Negazione di Pietro, dipinto in mostra, oggi conservato al Musée des Beaux‐Arts di Nantes. Il dipinto gli viene pagato nel 1651 ben 650 franchi. Il 30 gennaio 1652 Georges de La Tour muore a Lunéville, a sole due settimane di distanza dalla scomparsa della sua amata moglie Diane Le Nerf.

The Education of the Virgin, c. 1650
Fig. 3. Georges de La Tour (?), Educazione della Vergine, 1650 circa, Olio su tela, 83,8 x 100,3 cm, The Frick Collection, New York, Stati Uniti.

Tutto ciò che si conosce sul pittore è, come si è visto, riassumibile in poche pagine di testo. Moltissimi sono i punti oscuri del suo operato e soprattutto oscura è la definizione stilistica del lorenese: «lo stile di La Tour progredisce verso una ricerca di essenzialità, verso l’incanto di un mondo costruito per sottrazione, da cui spariscono via via gli oggetti». Non è possibile nemmeno stabilire con esattezza se un pittore che viene oggi definito comunemente “caravaggesco” abbia mai svolto un viaggio di formazione o aggiornamento in Italia. Infatti come sostiene correttamente la curatrice della mostra «il soggiorno italiano, ad esempio, rimane uno dei nodi più dibattuti, difficile da chiarire in maniera definitiva soltanto sulla base dei confronti stilistici fra le sue opere e quelle che La Tour potrebbe aver osservato a Roma e altrove». Certamente il pittore deve avere avuto qualche contatto con i caravaggeschi francesi, lorenesi in particolare e con artisti che un viaggio a Roma devono averlo svolto, ma anche dalla circolazione di copie (innumerevoli), stampe e racconti, assorbiti e rielaborati nella sua terra d’origine. Circolavano allora, proprio in lorena, delle copie di opere caravaggesche ad esempio di Jean Le Clerc, sodale di Carlo Saraceni a Roma. Tra i conterranei andati a Roma è il caso di citare almeno i pittori Jacques Callot e Jacques Bellange. Certamente uno dei pittori su cui La Tour dimostra di aver meditato a lungo è Gerrit von Honthorst, soprannominato Gherardo delle Notti o Leonart Bramer anche lui definito Leonardo delle Notti. Per questi due, ma anche per Georges de La Tour, il punto di mediazione dev’essere stato senz’altro il tedesco Adam Elsheimer, le cui opere furono ben presto tradotte in stampe e incisioni e fatte circolare nei più disparati centri del nord Europa.

La (S)fortuna critica di La Tour.

Georges de La Tour è un pittore, che per quanto “famoso e apprezzato” oggi, non ha trovato in passato grande fortuna. È sorprendente dice la Cappelletti nel suo saggio introduttivo al catalogo della mostra «che fuori dalla Francia l’unica citazione seicentesca di un dipinto a lui attribuito ci conduce nei Paesi Bassi e nella Galleria dell’Arciduca Leopoldo». Subito dopo la sua morte, nel 1652, è stato pressoché dimenticato e la sua opera è caduta nell’oblio. Solo nel 1915 il critico tedesco Hermann Voss scrive un articolo in cui stabilisce una relazione fra tre dipinti da lui osservati in Francia e la personalità di Georges de La Tour, «recuperata negli archivi lorenesi, tracciando in tal modo un primo profilo dell’artista dimenticato». Nonostante una vita passata quasi completamente in Lorena, a eccezione della parentesi parigina, «La Tour sarebbe riuscito a fornire la sua personale interpretazione della pittura a lume artificiale e della scena di genere, due degli ambiti cruciali di tutta la pittura europea del Seicento, che legano le esperienze di pittori italiani, francesi, fiamminghi, olandesi e spagnoli». Dopo quell’intervento non fa seguito alcuna ricezione sull’importanza dell’artista. Viene riscoperto criticamente, in parte, solo nel 1934 quando alcune sue opere vengono esposte alla mostra sulla pittura francese caravaggesca. Si trattava di una mostra ampia e articolata, dove le opere del lorenese passarono un poco sotto silenzio. Nel 1935 una prima volta Roberto Longhi ne I pittori della Realtà in Francia, ovvero I caravaggeschi francesi del Seicento, in “L’Italia letteraria” del 19 gennaio 1935 scrive «Lei dovrebbe vederlo! È un pittore sorprendente. Non abbiamo strumenti per misurare il genio; ma sento che il talento del De la Tour spezzerebbe più di un manometro. È un peccato che non abbiamo nulla di suo in Italia.» Nel 1951 La Tour non manca di partecipare, con alcune opere (come ad esempio la Maddalena in mostra ora a Milano), all’esposizione curata dallo stesso Roberto Longhi su Caravaggio e i Caravaggeschi al Palazzo Reale di Milano. È in questo contesto che lo storico dell’arte inizia una rivalutazione critica dell’artista, ma il più grande appuntamento con la fortuna storiografica, La Tour c’è l’ha con la mostra parigina del 1972 all’Orangerie, «una data e un luogo che segnarono il punto di svolta negli studi moderni sul pittore». Il critico e curatore di quella mostra Jacques Thuillier affermò che «La Tour è il trionfo della storia dell’arte e la sua giustificazione. Perché La Tour non esisterebbe senza la storia dell’arte». Nel 2020 l’artista appare alla curatrice della mostra di Palazzo Reale Francesca Cappelletti «il risultato di un processo brusco, è un artista consacrato alla gran velocità del secolo breve, con scarti e passione che raccontano l’artista e il tempo della sua riscoperta». Sempre la Cappelletti sostiene a proposito dello stile tutto peculiare del pittore e del significato delle sue opere che «è proprio grazie alla voluta economia dei mezzi espressivi che La Tour riesce a sfoderare la propria abilità nel rendere visibile l’invisibile, nel figurare le tenebre, operazione da sempre ritenuta fra le più difficili nell’arte della pittura».

23. Maestro del lume di candela (_) La cattura di Cristo Galleria Spada Roma
Fig. 4. Maestro del Lume di Candela (?), La cattura di Cristo, 1620 circa, Olio su tela, 108 x 147 cm, Galleria Spada, Roma.

Che cosa si vede in mostra?

L’esposizione si snoda in otto sezioni tematiche, e raduna, tra le altre molte opere di “contorno”, 14 dipinti di sicura autografia e uno attribuito a Georges de La Tour. Va ricordato che il corpus di opere del pittore ammonta a circa 40 dipinti. Per essere la prima mostra “monografica” italiana che vanta prestiti da tutto il mondo, ci si poteva forse sforzare un poco di più. E’ spiaciuto particolarmente non vedere in mostra alcuni capolavori degli anni Venti del 1600 come ad esempio La Buona ventura (1620-1633 circa) del Metropolitan Museum di New York o il Baro con asso di fiori (1620-1632 circa) del Kimbell Art Museum di Fort Worth: un’occasione mancata.
La prima sezione s’intitola Maddalena alla luce di candela. L’impressione che si è avuta entrando in questa sala è che tutta l’attenzione sia stata posta nei confronti di un dipinto emblematico di La Tour, ossia la straordinaria Maddalena penitente della National Gallery of Art di Washington, datata 1635-1640 circa. Silenziosamente ci si avvicina al dipinto. Di quest’opera esistono altre tre versioni attribuite al pittore sparse per i musei del mondo. Il dipinto è un assoluto capolavoro del maestro che dimostra di meditare sul tema della penitenza e della morte, il tutto rigorosamente al lume di candela. La Maddalena è una donna come le altre, dai caratteri delicati e giovanili, la tela è priva di ogni riferimento retorico ed eroico, tutto è quotidiano e intimo. In questa sezione sarebbe stato bello un confronto ravvicinato con altre versioni della Maddalena che la Tour dipinge durante la sua carriera artistica, come quella della seconda metà degli anni Trenta del Seicento di Los Angeles e quella degli anni Cinquanta di Houston.
Anche altri pittori contemporanei di la Tour hanno affrontato il tema della figura femminile in “meditazione”, è il caso ad esempio della tela di Paulus Bor raffigurante l’Allegoria della Logica del Museo di Rouen o di quella di Gerrit von Honthorst (a cui La Tour guarderà costantemente), rappresentante la bellissima quanto austera e raffinatissima Vanitas (1618 circa) proveniente da Oxford, o ancora la tela con lo stesso soggetto affrontato da Jacobbe alias Giacomo Massa (?) proveniente dalla Galleria d’Arte Antica di Roma, che sembra condividere con la tela di La Tour la stessa atmosfera al lume di candela, ma non lo stesso sentimento contemplativo, declinato nella tela romana in un senso più ironico e ammiccante. Tutte queste figure femminili sono rappresentate da sole e con pochi oggetti a loro vicini che ne definiscono le qualità spirituali.

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Fig. 5. Georges de La Tour, Maddalena penitente, 1635 – 1640, Olio su tela, 113 x 92,7 cm, National Gallery of Art, Washington D.C.

La seconda sezione s’intitola gli Apostoli di Albi e le nuove immagini dei Santi. In questa sala si possono ammirare tre degli Apostoli che La Tour esegue per la cattedrale di Albi e che furono riportati nella cattedrale per intercessione del canonico Jean‐Baptiste Nualart, che li avrebbe recuperati a Parigi, forse da François de Camps, precedente canonico e vicario generale della diocesi di Albi. La serie in realtà è composta dai canonici dodici Apostoli, che in un inventario del 1795 venivano riferiti a Caravaggio. Dopo la rivalutazione critica del lorenense oggi si tende ad accertarne l’autografia solo per i tre che sono esposti in mostra ossia San Giacomo Minore, San Giuda Taddeo e San Filippo. Gli altri sarebbero copie (seppure di alta qualità) dagli originali perduti e sostituiti già in tempi antichi. Le figure di La Tour vengono in questa sezione affiancate a quelle di Frans Hals e Jan van Bijlert. Sarebbe stato ben più d’effetto il paragone con lo stupefacente Apostolado dello spagnolo Josepe De Ribera.

08. de La Tour San Filippo Chrysler Museum of Art Norfolk USA
Fig. 6. Georges de La Tour, San Filippo, 1614-1615 circa – 1623, Olio su tela, 63,5 x 53,3 cm, Chrysler Museum of Art, Norfolk, Stati Uniti.

La terza sezione parla ben poco di La Tour, si tratta di due sale in cui vengono esposte alcune opere caravaggesche dei maestri ai quali il pittore lorenese sembra essersi ispirato o a cui ha fatto riferimento durante la maturazione del suo peculiare linguaggio artistico, come lo Spadarino (per chi sostiene il viaggio in Italia del pittore), fondamentale anche per Paulus Bor e Carlo Saraceni che è presente con la Natività copiata dallo stesso Bor. Più vicino geograficamente alle opere di La Tour c’è sicuramente Gerrit von Honthorst con la bella Cena degli Sponsali (1613-1614) della Galleria degli Uffizi. Voltato l’angolo ci si trova di fronte a due tele del cosiddetto Maestro del lume di candela, personalità dal nome convenzionale così definito da Benedict Nicolson e da lui stesso poi identificato con Trophime Bigot, problematica quanto affascinante figura di artista attivo a Roma ancora negli anni Trenta. Le sue opere, tutt’altro che convenzionali, sono caratterizzate da un uso calibrato del chiaroscuro con forti abbagli luministici dalle chiare valenze simboliche e spirituali.

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Fig. 7. Gerrit van Honthorst, detto Gherardo delle Notti, Cena con sponsali, 1613 – 1614, Olio su tela, 138 x 203, Gallerie degli Uffizi, Firenze.

La quarta sezione dal titolo Gli inganni del Realismo, che comprende le tre successive sale, espone degli assoluti capolavori dell’artista, punti fermi del suo catalogo, come la magnifica tela intitolata il Denaro versato (1625-1627) provenite dall’Ucraina. Misteriosa scena, rigorosamente al lume di candela, ambientata in una losca taverna come loschi sono gli uomini attorno al tavolo che si spartiscono il denaro, forse usurai e farabutti forse esattori delle tasse avidi e spietati. Come giustamente sostenuto «è indubbio che in questa immagine La Tour sicuramente mette in campo tutta la sua esperienza per creare una scena con un livello di tensione altissimo. Per descrivere il rapporto tra gli uomini e il denaro La Tour utilizza in maniera geniale la luce della candela che in questo caso ha la capacità di illuminare una quantità notevole di spazio. In questa tela l’impatto caravaggista è decisivo, sia nella costruzione della composizione dell’opera ma soprattutto nella scelta del modo di rappresentare i personaggi».

03. de La Tour Il denaro versato, National Art Gallery Leopoli
Fig. 8. Georges de La Tour, Il denaro versato, 1625-1627 circa, Olio su tela, 99 x 152 cm, Leopoli National Art Gallery, Ucraina.

Altra opera cardine del catalogo dell’artista è la famosa Rissa tra musici mendicanti (1625-1630), un tempo creduta di Caravaggio, proveniente dal J. Paul Getty Museum di Los Angeles, rivela con crudo realismo un brano di vita popolare e popolaresca. Il taglio della scena che riprende i personaggi a mezzo busto è di grande immediatezza espressiva e drammatica, ed è incentrato sui due mendicanti centrali che stanno litigando furiosamente per accaparrarsi “un lucroso angolo di strada”. La scena centrale genera nella folla, accorsa a vedere la zuffa, una serie di espressioni e gesti contrastanti come la donna sulla sinistra disperata per l’accaduto o le risate di scherno goliardico del personaggio sulla destra. I colori che animano la casacca del mendicante centrale è un mix di colori che vanno dall’azzurro, al blu, al viola, al verde, al marrone, all’ocra, tutti sapientemente mescolati per creare l’effetto del panneggio. Colpi di colore, ora giallo, ora bianchi per dare l’impressione del riflesso della luce sulle vesti e che risulta un espediente di eccezionale consapevolezza artistica. Come giustamente detto «nonostante la drammaticità della scena, il registro espressivo dell’opera sembra collocarla più sul versante comico e caricaturale che su quello tragico, anticipando capolavori successivi di La Tour. Autentico capolavoro della giovinezza del pittore, il quadro è caratterizzato da un’esecuzione straordinariamente libera e brillante, con una resa mirabile della diversa consistenza delle stoffe e delle variegate espressioni dei protagonisti».

The Musicians' Brawl
Fig. 9. Georges de La Tour, Rissa tra musici mendicanti, 1625 – 1630 circa, Olio su tela, 85,7 x 141 cm, The J. Paul Getty Museum, Los Angeles.

Non può mancare, ancora, la menzione di un’altra opera portante del catalogo di La Tour presente in mostra come I giocatori di dadi del 1651 circa. La scena è ambientata come per il Denaro versato in una squallida locanda, anche se nulla, se non il tavolo suggerisce l’ambientazione. Le figure appaiono più semplificate rispetto alle opere degli anni Trenta, qui La Tour cerca di ridurre il realismo a pochi brani significativi come i gesti dei due personaggi a destra della tela, o come l’uomo che fuma la pipa sulla sinistra. Quest’ultima figura è volutamente ambigua: sta cercando di rubare dalla tasca del soldato che ha davanti, tutto concentrato sul gioco, oppure è in atto un imbroglio? Ambigua è anche la caratterizzazione dei personaggi, non si capisce infatti se la figura centrale dai capelli lunghi in armatura e casacca verde, ma in secondo piano, sia un uomo o una donna. La mente corre ai famigerati Bari del Caravaggio anche se nell’opera di La Tour è in atto un processo di semplificazione della forma del tutto estraneo alla pittura del Merisi e più diffuso invece in opere caravaggesche nordiche: quelle dei Paesi Bassi e della Francia.

04. de La Tour I giocatori di dadi Preston Park Museum Stockton-on-Tees UK
Fig. 10. Georges de La Tour, I giocatori di dadi, 1651 circa, Olio su tela, 95,5 x 130,5 cm, Preston Park Museum and Grounds Stockton-on-Tees, Regno Unito.

Altra opera degli anni Cinquanta dalle forme semplificate e crude è la Negazione di San Pietro del Musée des Beaux‐Arts di Nantes. In quest’opera La Tour fonde due scene, una sacra e una profana in un unico spazio narrativo: la negazione di San Pietro in secondo piano e alcuni soldati che stanno giocando a carte in primo piano. Se da un lato la scena principale sembrerebbe quella profana, in realtà il più marcato utilizzo della luce sui due personaggi in secondo piano, nonché una resa più realistica di questi ultimi enfatizza la scena sacra rispetto a quella profana, evidenziando il carattere drammatico del tradimento dell’apostolo. Per la scena il pittore si ispira a iconografie simili di artisti nordici, soprattutto Gerard Seghers e Gerrit Van Honthorst. Molto forte è anche il significato simbolico della rappresentazione infatti «la partita a dadi prefigura la spartizione delle vesti di Cristo tra i soldati incaricati della sua crocifissione».

09. de La Tour La negazione di Pietro Musée des Beaux-Arts Nantes
Fig. 11. Georges de La Tour, La negazione di Pietro, 1650, Olio su tela, 120 x 161 cm, Musée d’arts de Nantes, Francia.

La quinta sezione ha titolo Una povertà monumentale. Qui è esposto il meraviglioso quanto drammatico Suonatore di Ghironda con cane del Musée du Mont‐de‐Piété di Bergues databile tra il 1622 e il 1625 circa. Ci troviamo di fronte all’opera di formato più grande mai dipinta da La Tour. La figura, colta in tutta la sua tragicità di anima lacerata dalle inquietudini della vita, è raffigurata in piedi ed è vestita di abiti logori e sporchi inoltre «la maniera esacerbata e quasi crudele con cui vengono rappresentati il suo aspetto miserabile e il suo cane dall’aria terrorizzata, svelano una violenta carica innovativa nella resa dei soggetti popolari, irrintracciabile nella pittura francese coeva». Questo stesso modo di concepire il corpo umano logorato dalle fatiche della vita e dalla desolazione della condizione umana si evince molto bene anche nelle due tele raffiguranti rispettivamente Un uomo e Una donna anziani provenienti da San Francisco e datati intorno al 1618-1619 circa. In queste sale ci sarebbe stato bene un confronto ravvicinato con i nani disgraziati e i buffoni depressi degli anni Trenta e Quaranta di Velasquez, figure miserabili, ritratte con una spietatezza e una verosimiglianza al dato naturale non molto lontana dai miserabili di La Tour. O ancora qualche confronto si sarebbe potuto fare con i filosofi, sempre degli anni Trenta del Seicento di Ribera: peccato! Inoltre, date le tematiche affrontate in questa sezione, si sarebbe potuto chiedere in prestito i Mangiatori di piselli (1618-1622 circa) di Berlino e il ben più famoso Suonatore di ghironda con cappello del Museé des Beaux Arts di Nantes entrambi capolavori di Georges de La Tour.

05. de La Tour Il suonatore di ghironda con cane Musée du Mont-de-Piété, Bergues
Fig. 12. Georges de La Tour, Il suonatore di ghironda con cane, 1622 – 1625, Olio su tela, 186 x 120 cm, Musée du Mont-de-Piété, Bergues, Francia.

La sesta sezione s’intitola Dipingere la notte e inizia con una tavola eccezionale di un anonimo maestro fiammingo raffigurante un Giovane che fuma la pipa. L’atmosfera trasognata e insieme malinconica che anima la tavola risalta mediante la raffigurazione degli oggetti sospesi, come il bicchiere inclinato pieno di alcool che il giovane tiene fra le mani distrattamente e che sta per far cadere. Il ragazzo è distratto, pensieroso, malinconico; sta meditando, forse sugli amori passati svaniti o forse su quelli futuri.

Boy Smoking a Pipe
Fig. 13. Maestro fiammingo (?) attivo nel primo quarto del Seicento, Giovane che fuma una pipa (Vanitas), 1620 – 1630 circa, Olio su tavola, 72 x 118 cm, Szépmûvészeti Múzeum, Budapest, Ungheria.

Lasciatici alle spalle questo dipinto straordinario ci si imbatte in una serie di opere, dove le candele e la luce che emanano sono le vere protagoniste delle opere di La Tour. Atmosfere sospese, luci vibranti utilizzate come mezzo espressivo per indagare la realtà. Qui si ammira il Giovane che soffia sul tizzone del 1640 circa, o la meravigliosa quanto intima Educazione della Vergine della Frick Collection di New York datata intorno al 1650. Come giustamente notato dalla curatrice «la piccola Maria si trova in un interno domestico, intenta all’apprendimento delle attività che nell’antichità caratterizzavano la donna di buona educazione, ovvero l’arte della tessitura o la lettura delle Sacre Scritture». In queste due opere le figure appaiono semplificate e la forma sottoposta alla modellazione della luce della candela; lo stile è dunque quello tipico degli anni maturi della carriera del pittore. Un’opera su tutte, però, toglie il fiato, ed è il Giobbe deriso dalla moglie (1650 circa) del Musée départemental d’Art ancien e contemporain di Epinal in Francia. Nell’opera la figura di Giobbe ripresa in senso realistico si contrappone al “manichino” della figura femminile, solo la luce dispone dei corpi e li anima di un afflato di poesia e miserabilità. Le membra stanche dell’anziano Giobbe sono contrapposte a quelle irreali quasi metafisiche delle vesti della figura femminile. Anche in questo caso si sono sentite le assenze di almeno un paio di opere del lorenese, come quella del San Giuseppe falegname (1638-1643) e l’Adorazione dei pastori (1644 circa) entrambe conservate al Louvre di Parigi, e che già qualche anno fa si sono viste a Milano nella consueta mostra natalizia di Palazzo Marino.

06. de La Tour Giobbe deriso dalla moglie, Musée départemental d'Art ancien et contemporain Epinal
Fig. 14. Georges de La Tour, Giobbe deriso dalla moglie, 1650 circa, Olio su tela, 145 x 97 cm, Musée départemental d’Art ancien et contemporain, Epinal, Francia.

La settima e penultima sezione è intitolata Un San Sebastiano in una notte. Qui domina la scena lo straordinario San Sebastiano curato da Sant’Irene di cui una delle numerose copie che si conoscono (non si sa se sia quella esposta in mostra a Milano), molto probabilmente fu appartenuta al re di Francia Luigi XIII; lo si apprende da un inventario trascritto da un erudito settecentesco, come si apprende che il re lo aveva apprezzato così tanto «da rimuovere ogni altro quadro nella sua camera da letto per poterlo esporre da solo». L’opera esposta in mostra, di grande qualità, appartiene agli anni ‘40 del XVII secolo, dove le figure del lorenese iniziano a trasformarsi in forme più semplificate e scarne di particolari ma non del tutto avulse da quella umanità che anima ancora i personaggi dell’opera in esame. Nuovamente la lanterna con la candela accesa è il fulcro mediante il quale la scena prende vita. Si potrebbe, a ragione, dire che le immagini di vita che La Tour dipinge sono originate dalla candela, che diventa una sorta di divinità generatrice di realtà e che coinvolge, plasma e anima i corpi avvolgendoli nella luce e sopratutto nella penombra.

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Fig. 15. Georges de La Tour (?), San Sebastiano curato da Irene, 1640 circa, Oio su tela, 105 x 139, Musée des Beaux-Arts, Orléans, Francia.

L’ultima sezione si chiama La Realtà della solitudine, ed è un vero cupe de theatre. Nella sala emerge come una reliquia, fragile ma allo stesso tempo potente la figura del San Giovanni battista nel deserto (1649 circa) proveniente da Vic‐sur‐Seille e identificato come opera dell’artista da Pierre Rosemberg, direttore emerito del Museo del Louvre, e pubblicata nel 1994-1995. La figura del giovane dai tratti del tutto femminili, è immersa nella penombra, qui non è la luce della candela a plasmare questo corpo fantoccio, bensì si tratta di un altro tipo di luce, una luce salvifica, astratta, divina. Questo povero corpo martoriato dalle fatiche della meditazione e dal digiuno, si erge sul suo bastone, per farci capire che il dolore e la sofferenza sono necessari alla purificazione, alla meditazione e alla salvezza. In quest’opera «La Tour procede a una estrema semplificazione della composizione e spinge la pittura verso l’assoluta concentrazione formale, addirittura ai “bordi del nulla”, secondo la definizione di Jean Pierre Cuzin (2010)». La solitudine dell’essere umano è la solitudine di Cristo e di San Giovanni che lontano da ogni rumore e da ogni distrazione si esplicita nella pittura del lorenese con l’eliminazione di ogni riferimento al paesaggio e per esteso alla realtà. La figura umana emerge da un ambiente astratto puramente simbolico «una ulteriore accezione di quel concetto di realtà di cui la pittura di La Tour mostra i limiti e la complessità».

12. de la Tour San Giovanni Battista nel deserto, Musée de La Tou Vic-sur-Seille
Fgi. 16. Georges de La Tour, San Giovanni Battista nel deserto, 1649 circa, Olio su tela, 81 × 101 cm, Musée départemental Vic-sur-Seille, Francia.

La mostra si chiude com’era iniziata: nel silenzio e nella contemplazione.

Marco Audisio

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