Quello del divisionismo è un fenomeno che, soprattutto negli ultimi anni, ha potuto assistere a un deciso aumento della propria popolarità fra il grande pubblico, complici anche le numerose mostre che si sono succedute fra Lombardia e Piemonte, a partire dall’imponente monografica su Giovanni Segantini allestita fra 2014 e 2015 a Milano, presso Palazzo Reale.
È facile comprendere i motivi di questo successo: le immagini di vita quotidiana, campestre e cittadina, le atmosfere incantate e sentimentali e la tecnica pittorica inconfondibile contribuiscono ad esercitare un deciso fascino sugli spettatori; fascino che, tuttavia, spesso si limita a soffermarsi sui soli aspetti – seppur notevoli – estetici e contenutistici, a considerare la singola opera d’arte come oggetto concluso in sé stesso, sorvolando sulle premesse e sulla portata storica del fenomeno.
In questo articolo cercheremo dunque di approfondire i retroscena legati alla nascita e agli sviluppi del divisionismo, scopriremo chi sono i personaggi che hanno contribuito maggiormente alla sua diffusione e le diverse modalità con le quali venne da loro declinato.
La maggior parte di noi, probabilmente, è abituata a pensare alla nascita di un nuovo fenomeno pittorico come a un evento spontaneo, magari verificatosi come conseguenza naturale delle sperimentazioni operate da un gruppo di artisti che, più o meno consapevolmente, decidono di riunirsi e di operare in sinergia. Non era questo il caso del divisionismo; il suo consolidamento non era avvenuto in maniera casuale, ma alle sue spalle si celava un artefice con una volontà ben precisa, un personaggio che, prima di dedicarsi a sua volta alla pittura, fu un mercante e gallerista di successo: Vittore Grubicy de Dragon (Milano, 1851 – 1920). Per comprendere meglio chi era questo personaggio e il ruolo chiave da lui rivestito, occorre però fare un passo indietro.
Vittore Grubicy, nato a Milano, proveniva da una famiglia aristocratica di origine italo-ungherese. Nel 1870 aveva iniziato a dedicarsi al commercio artistico internazionale e, dopo aver compiuto diversi soggiorni a Londra, Parigi ed Anversa, nel 1876, in associazione con il fratello Alberto (Milano, 1852 – 1922), aveva rilevato la galleria milanese Pedro Nessi & C. L’obiettivo di Vittore era quello di scoprire i nuovi talenti della pittura italiana e di vincolarli alla propria attività, per creare un mercato nazionale di arte contemporanea. Conosceva bene gli ultimi sviluppi dell’arte lombarda: nella sua collezione comparivano diverse opere degli scapigliati, in particolare di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, e si era dedicato alla promozione di questo movimento in Europa. La sua attività di talent scout, prendendo le mosse dalla tarda Scapigliatura, aveva quindi condotto il gallerista a frequentare i concorsi di pittura organizzati ogni anno dall’Accademia di Brera: si trattava di vere e proprie vetrine grazie alle quali i giovani artisti emergenti avevano modo di farsi conoscere. La galleria Grubicy era agli inizi; si trattava, tuttavia, dell’unica realtà dedita alla promozione degli artisti contemporanei.
Proprio in occasione di uno di questi concorsi, nel 1879, era entrato in contatto con l’allora ventunenne Giovanni Segantini (Arco, 1858 – Monte Schafsberg, 1899), che esordiva quell’anno con l’opera Il coro di Sant’Antonio. Colpito dal suo talento, Grubicy aveva quindi proposto al giovane Segantini di entrare a far parte della propria “scuderia”: ben preso si era aggiunto il compagno di Accademia Emilio Longoni (Barlassina, 1859 – Milano, 1932) e, progressivamente, i fratelli Grubicy avevano cominciato una serrata opera di promozione e commercializzazione di altri talentuosi artisti esordienti, fra i quali ricordiamo Angelo Morbelli, Gaetano Previati, Achille Tominetti e Carlo Fornara.
Grazie ai frequenti viaggi compiuti all’estero, Grubicy era costantemente aggiornato sulle ultime tendenze, aveva quindi potuto constatare come il panorama artistico internazionale si stesse evolvendo verso nuovi orizzonti. Il linguaggio che si andava via via configurando in Europa prendeva le mosse dalle recenti sperimentazioni degli impressionisti, ma vi apportava alcune novità: per questo motivo, sarebbe stato poi definito Neoimpressionismo.
Figure chiave di questo corso erano i francesi George Seurat (Parigi, 1859 – Gravelines, 1891) e Paul Signac (Parigi, 1863 –1935), i quali avevano elaborato un nuovo stile, il puntinismo, che si realizzava mediante l’accostamento sulla tela di piccole tacche o punti di colori puri, non mescolati. Le loro sperimentazioni si basavano, e questa era un’altra, importante novità, sulla teoria scientifica del contrasto simultaneo elaborata dal fisico Michel-Eugène Chevreul (Angers, 1786 – Parigi,1889), secondo la quale i colori hanno la facoltà di influenzarsi a vicenda, esaltandosi o armonizzandosi a seconda delle varie combinazioni.
Grubicy, fatto tesoro di quanto aveva appreso, era quindi tornato a Milano deciso a elaborare un nuovo linguaggio che, assorbendo le ultime novità europee, potesse dialogare e inserirsi a pieno diritto nella più ampia ottica internazionale. A tale decisione aveva contribuito anche la conoscenza delle opere di Van Gogh, l’altro grande sperimentatore di questa stagione, che avevano colpito il gallerista soprattutto per via dell’inedito trattamento della materia pittorica, stesa mediante lunghi e corposi filamenti di colore.
![Figura 1[11207]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/05/figura-111207.jpg?w=736)
Il primo artista che venne indirizzato verso l’applicazione della nuova tecnica fu Segantini; è lo stesso Grubicy a comunicarcelo, in una lettera del 1910 indirizzata a Benvenuto Benvenuti, nella quale ripercorrendo la propria carriera, scriveva: “E qui cominciò lo studio e l’allenamento lungo per impossessarmi del maneggio dell’istrumento nuovo come avevo fatto fare a Segantini nell’86 a Savognino, quando gli feci rifare a divisionismo il quadro dell’Ave Maria deperito (la prima versione di Ave Maria a trasbordo, alla quale di riferisce Grubicy, si era precocemente deteriorata a causa della vernice sperimentale che Segantini aveva utilizzato per fissare il colore)”.
In Ave Maria a trasbordo, la parziale applicazione della nuova tecnica si percepisce soprattutto nel cielo, reso mediante tocchi concentrici di pittura di differenti colori che, proprio nel loro accostarsi senza amalgamarsi, contribuiscono a conferire luminosità alla scena. Ci troviamo, in questo caso, ad un livello ancora sperimentale, ma la nuova tecnica era destinata a compiere numerosi passi avanti e in differenti direzioni.
![Figura 2[11210]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/05/figura-211210.jpg?w=736)
La consacrazione del divisionismo, al quale nel frattempo Grubicy aveva introdotto anche gli altri artisti da lui protetti, avvenne in occasione della Triennale di Brera del 1891, evento passato alla storia proprio perché presentò al pubblico alcune opere considerate dei capisaldi del nuovo stile. Segantini vi partecipò con Le due madri, dipinto appartenente a quel genere agreste che stava avendo larga fortuna fra la committenza borghese. Accanto a quest’opera ne compariva una analoga per soggetto e stile, ma assai differente per quanto riguardava gli esiti finali: parliamo di Maternità, di Gaetano Previati (Ferrara, 1852 – Lavagna, 1920). Il dipinto propone un modello iconografico che richiama una sorta di Vergine con Bambino in chiave anticonvenzionale: l’opera mira infatti a cogliere il valore universale della maternità. Si ha l’impressione di essere al cospetto di una visione trascendentale: al contrario di Segantini, Previati fa un uso piuttosto antinaturalistico del colore e i decisi filamenti di luce, caratteristici della produzione dell’artista ferrarese, contribuiscono a conferire alla scena un’atmosfera sovrannaturale. Si tratta di una differente declinazione dello stile divisionista, che già prelude agli esiti simbolisti degli anni più maturi.
![Figura 3[11209]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/05/figura-311209.jpg?w=736)
Alla Triennale di Brera aveva partecipato anche il già citato Emilio Longoni, il quale, dopo una parentesi durante la quale aveva soggiornato con Segantini in Brianza e si era dedicato alla rappresentazione di scene di vita contadina e bucolica, aveva orientato la propria produzione verso tematiche politiche e sociali, che fotografavano con precisione i processi in atto in quegli anni a Milano, sempre più moderna e industriale. Longoni aveva riservato buona parte della propria attività alla rappresentazione della condizione infantile, ritraendo i piccoli abitanti della città nei contesti più disparati. Ciò che differenzia l’opera di questo artista dai colleghi è la grande importanza attribuita all’introspezione psicologica e al linguaggio non verbale, oltre all’utilizzo di filamenti di colore sottili ma decisi: queste caratteristiche sono ben esemplificate nell’opera Ragazzina col gatto.
![Figura 4[11211]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/05/figura-411211.jpg?w=736)
Il percorso professionale di Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 – Milano, 1919), anche lui presente alla Triennale di Brera, mostra numerose analogie con i colleghi della Galleria: a Milano era riuscito a cogliere gli scorci più interessanti dello scenario urbano, in quegli anni in piena trasformazione sull’onda della rivoluzione industriale, e, aderendo a sua volta al verismo sociale, aveva dato inizio a una lunga serie di dipinti aventi come protagonisti gli ospiti del Pio Albergo Trivulzio di Milano. La Colma di Rosignano, sulle colline del Monferrato, si era invece rivelata l’ambientazione perfetta per opere dai richiami bucolici: ne è un esempio La prima lettera, che unisce talento ritrattistico, introspezione psicologica e resa naturalistica della luce. Come si può osservare, Morbelli aveva a sua volta elaborato una propria versione della tecnica divisionista: le pennellate, assai ravvicinate, compongono una fitta trama di colore e luce, dall’aspetto finale materico ma, allo stesso tempo, omogeneo.
Sono numerosi altri gli artisti che si accostarono al divisionismo, sia attraverso la Galleria Grubicy, sia per vie indipendenti e lunga fu l’influenza di questo stile, che perdurò anche lungo tutto il primo decennio del Novecento: alcuni dei futuristi, come Umberto Boccioni e Giacomo Balla, mossero i loro primi passi artistici proprio in questo ambito.
![Figura 5[11212]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/05/figura-511212.png?w=676&h=375)
Infine, merita una menzione anche l’attività artistica di Vittore Grubicy; a causa di alcune incomprensioni sopraggiunte con il fratello, a partire dal 1889 il gallerista si era progressivamente allontanato dalla Galleria e aveva iniziato a dedicarsi, come autodidatta, proprio all’esercizio pratico della tecnica di cui lui era stato il primo fautore. La maggior parte della sua opera – una buona parte esposta alla Galleria d’Arte Moderna di Milano – è composta da paesaggi naturali di piccole dimensioni, colti nel variare delle stagioni e delle condizioni atmosferiche: la sua scelta fu dunque quella di utilizzare la tecnica divisa per indagare nel dettaglio i fenomeni luministici, ottenendo paesaggi suggestivi e dai richiami vagamente romantici. Concludiamo con un’altra parte della già menzionata lettera a Benvenuto Benvenuti, nella quale Grubicy espone in poche, ma illuminanti parole, lo spirito che animava la nuova corrente che lui più di ogni altro aveva contribuito a creare, il suo essere una tecnica con una base scientifica e, allo stesso tempo, libera di essere interpretata e declinata con maggiore o minore metodo:
“Ricordo che in quel tempo io avevo la visione chiara e sicura di questo procedimento in pittura: ma ero in pari tempo convinto che — nell’applicazione pratica di esso — ogni artista doveva trovarsi il proprio mezzo di estrinsecazione. In modo che, mentre stavo guardando Segantini a distendere i suoi filamenti di colori netti […] nel mio spirito dicevo: va benissimo anche così, ma sono certo che se la facessi io, la strada che io farei sarebbe tutta diversa; che le mie pennellate sarebbero messe giù in tutt’altro modo […] che la mia (strada) avrebbe avuto per risultante quel mistero d’esecuzione che invece in Lui era fatto con procedimento o metodo”.
Chiara Franchi
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