Viaggio a NEW YORK – Ritorno

Alle Gallerie d’Italia, in Piazza Scala a Milano, è possibile visitare il secondo capitolo della mostra New York, New York. Arte italiana. La riscoperta dell’America, continuazione dell’esposizione in scena al Museo del Novecento. Questo evento, sebbene complementare al primo e facente parte dello stesso progetto, propone una sorta di rovesciamento della prospettiva: non più, o meglio, non solo l’Italia del Novecento che guarda all’America, ma soprattutto il fenomeno contrario. Lo scopo principale dell’esposizione è infatti illustrare ed approfondire la fitta rete di scambi e di rapporti che interessò le gallerie e i collezionisti statunitensi e gli artisti italiani a partire dal secondo dopoguerra.
Il punto di partenza di questo articolato percorso è stato individuato dai curatori nella mostra Twentieth Century Italian Art, organizzata al Museum of Modern Art di New York nel 1949. L’esposizione, come dice il titolo, riguardava gli sviluppi dell’arte del nostro paese dagli anni Venti sino agli anni Quaranta e poneva l’accento, in particolare, sulla sua specificità rispetto al panorama del resto dell’Europa, quello francese prima di tutto. Uno spazio era riservato al futurismo, in qualità di grande avanguardia “autoctona”, e, a questo proposito, alle Gallerie d’Italia è possibile osservare alcuni esempi di opere di artisti che parteciparono all’esposizione americana, come il pittore Giacomo Balla (1871 – 1958) e il suo Bambina che corre sul balcone, dipinto del 1912 trasferito per l’occasione dal Museo del Novecento, sua sede abituale.

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Afro, Cronaca nera, 1951, Milano, Collezione Prada

La mostra del 1949 costituì inoltre un’occasione, per i due paesi, non solo per conoscersi reciprocamente, ma anche per aprire il mercato statunitense all’arte italiana: negli anni successivi, molti galleristi americani si interessarono infatti alle novità provenienti dal Bel Paese e si dedicarono alla promozione di alcune personalità già consacrate in Europa. Fra di essi, ricordiamo lo scultore Marino Marini (1901 – 1980) e i pittori informali Afro (nome d’arte di Afro Libio Basaldella; Udine, 1912 – Zurigo, 1976) ed Ennio Morlotti (Lecco, 1910 – Milano, 1992), artisti per certi versi agli antipodi, vista la predilezione per forme tradizionali, quasi primitive, del primo e la tendenza alla dissoluzione delle figure degli altri due, ma che vennero considerati, con lo stesso interesse e la stessa attenzione, portabandiera di ciò che di nuovo si stava ormai affermando nel nostro paese.

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Alberto Burri, Miniature per James Johnson Sweeney, realizzate a partire dagli anni Cinquanta

Dagli scambi culturali e commerciali a quelli personali ed umani il passo è breve, infatti, ben presto diversi artisti italiani cominciano ad intrattenere rapporti di amicizia e di condivisione con i colleghi d’oltreoceano. Numerosi sono, a questo proposito, gli esempi in mostra; uno dei più curiosi ed esemplificativi è quello che riguarda l’esponente dell’Informale “materico” Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), che a partire dagli anni Cinquanta inviò regolarmente al critico newyorkese James Johnson Sweeney (New York, 1900 – 1986), autore della prima monografia a lui dedicata, piccole opere contenenti gli auguri di Natale. Questi lavori costituiscono una preziosa testimonianza del modo di procedere di Burri e possiedono un grande valore: nonostante le piccole dimensioni, non si tratta infatti di semplici campioni o di prove, ma di vere e proprie opere finite, miniature degli esempi più grandi e più noti, a loro volta ammirabili nel corso dell’esposizione.

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Piero Dorazio, Crack Blue, 1959, Collezione Intesa San Paolo

La tappa successiva di questo interessante percorso porta gli artisti, sia italiani che statunitensi, a passare da brevi scambi e viaggi a lunghi soggiorni e trasferimenti. È il caso, ad esempio, del pittore Piero Dorazio (Roma, 1927 – Perugia, 2005), il quale, dopo essersi affermato come uno dei principali esponenti dell’arte astratta in Italia e in Europa, della quale abbiamo un eccellente esempio nel dipinto Crack Blue, nel 1960 sarà fra i fondatori della School of Fine Arts alla Pennsylvania University di Filadelfia, con cui collaborerà per quasi un decennio.

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Cy Twombly, Senza titolo, (Roma [Il muro]), 1961, Torino, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea

Questo fenomeno non “risparmiò”, naturalmente, gli artisti americani, sempre più attratti dalla vitalità e dalle innovazioni del panorama culturale italiano e, in particolare, romano: proprio la città eterna sarà meta del trasferimento del pittore Cy Twombly (Lexington, 1928 – Roma, 2011), che vi trascorrerà il resto della propria vita, sviluppando un tipo di pittura che prende ispirazione soprattutto dai muri cittadini, con i loro segni e i loro graffiti, isolati ed ingranditi fino a raggiungere risultati tendenti all’astrattismo.

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Enrico Baj, Général se promeant avec son petit chien, 1960, Vergiae, Archivio Baj

Con l’ingresso negli anni Sessanta, gli accadimenti storici e sociali e il progredire delle ricerche culturali determinano un nuovo modo di intendere l’arte. I recenti movimenti del Nuveau Réalisme  – francese –  e del New Dada e della Pop-Art – statunitensi – sono accomunati dall’abbandono dell’astrattismo che aveva caratterizzato gli anni passati, considerato ormai troppo cerebrale e ripetitivo, e dal recupero, al contrario, dell’immagine figurativa, intesa tuttavia come critica nei confronti del nuovo “stile di vita” consumista. Queste ricerche confluiscono nella mostra The New Realists, organizzata nel 1962 alla Sidney Janis Gallery di New York, alla quale partecipa, nelle file del neodadaismo, anche il pittore e scultore Enrico Baj (Milano, 1924 – Vergiate, 2003).

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Lucio Fontana, Concetto spaziale: la luna a Venezia, 1961, collezione Intesa Sanpaolo

Un’ultima sezione è infine dedicata ai rapporti specifici fra le città di Milano e New York. Fra gli artisti del capoluogo lombardo che furono influenzati dall’ambiente e dall’atmosfera della Grande Mela figura Lucio Fontana (Rosario, Argentina, 1899 – Comabbio, 1968), presente nel corso dell’esposizione con alcuni Concetti Spaziali dedicati alla città di Venezia, realizzati prima di partire alla volta degli Stati Uniti, nel 1962. Proprio questo importante viaggio ispirerà all’artista la serie dedicata ai grattacieli di New York e, poiché una di queste opere accoglie i visitatori all’ingresso dell’altra sezione della mostra, al Museo del Novecento, la presenza di Fontana si configura sia come tappa finale di questa parte percorso, sia come punto di raccordo fra le due sedi.
Le due mostre costituiscono quindi un unico itinerario, denso di rimandi, ma anche di contrapposizioni. L’esposizione alle Gallerie d’Italia, in particolare, rende molto bene l’idea degli intrecci che sono intercorsi fra Europa ed America nel corso del Novecento ed è senza dubbio basata su studi e ricerche rigorosi. Si presenta infatti estremamente ricca ed accurata, in alcuni tratti addirittura troppo, tanto da rendere, a volte, un poco ostico persino alle persone del settore orientarsi nella fitta rete di nomi, date e movimenti.

Chiara Franchi

Se vi siete persi la prima parte cliccate qui: Viaggio a NEW YORK – Andata

 

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