Modigliani Art Experience: storia di un format alla ricerca di un nome

Li chiamano cyber-musei e sono l’ultima frontiera delle manifestazioni espositive: musei, in buona sostanza, dove la componente della più moderna tecnologia informatica può essere addirittura dominante. Senza più tanto pudore, ormai si parla anche d’intrattenimento culturale. E nel panorama milanese della sua offerta, il Museo delle Culture in via Tortona 56, altrimenti noto come Mudec – ospitato in una struttura recuperata all’interno della vecchia area industriale Ansaldo, ad opera dell’architetto britannico David Chipperfield – è il caso di un’istituzione che ha sempre fatto uso di queste risorse controverse. Ricordiamo una mostra di qualche anno fa su Vasilij Kandinskij, in cui la visione delle opere in presenza veniva integrata da un intorno di supporti audiovisivi. Quest’anno, con Gustav Klimt, ha esordito una forma nuova di spettacolo al servizio della divulgazione, il cui nome scelto dal vocabolario anglofono (ma non anglofilo, così dicono) del villaggio globale è art experience.

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Fig. 1 Amedeo Modigliani (Livorno, 1884 – Parigi, 1920) nel suo studio.

Nel tentativo di superare un’idea di mostra che si ritiene un po’ antiquata, il progetto art experience, giunto ormai alla seconda edizione con un nuovo allestimento dedicato alla figura di Amedeo Modigliani, presentato in conferenza stampa lo scorso 19 giugno, propone di entrare in maniera rilassata nel mondo degli artisti più famosi. Senza barriere e, in un certo senso, forse anche troppo allontanandosi dal linguaggio esclusivistico di storici e altri addetti ai lavori. All’incontro, cui ha fatto seguito una visita in anteprima per quanti si erano accreditati, hanno partecipato i dottori Chiara Giudice e Massimo Pietro Colombo, rispettivamente direttrice e amministratore delegato di 24ORE Cultura, il dottor Filippo Del Corno, assessore alla cultura del Comune di Milano, la dottoressa Anna Maria Montaldo, direttrice del Mudec (la quale ha dato il benvenuto all’uditorio), e il professor Francesco Poli, curatore di quello che egli stesso, molto onestamente, ha voluto definire “mostra” con grande cautela.
Perché Modigliani? Come mai la scelta di 24ORE Cultura, autore della proposta di allestimento, è ricaduta proprio su questo personaggio del Novecento, non certo sconosciuto al grande pubblico? La risposta sarebbe da individuare nel ruolo cruciale assunto dal pittore livornese nel contesto artistico del secolo scorso, cui è dedicato quest’anno il palinsesto culturale estivo del Comune di Milano, e nella complessità di un artista che s’intende invogliare a conoscere e approfondire. Ecco a cosa serve Modigliani Art experience.
Nella polemica sull’utilità e la giustezza di una moda accusata di volersi sostituire alle più tradizionali mostre, questa volta il Mudec fa proprio il vanto di una serie di punti messi bene in chiaro. Modigliani Art experience non è solamente un percorso di immersione multisensoriale, dice Del Corno, ma anche intellettuale. In più fondato su un apparato di ricerca scientifica non meno coinvolgente dell’apporto tecnologico, e invece di sostituire una mostra – rifiutando per altro, come si è detto, di assegnarsi questa denominazione – viaggia in parallelo con essa. Come ha detto il professor Poli, cui si deve anche la definizione più calzante, per quanto molto astratta e generica, di format, si vuole instillare nel visitatore la stessa curiosità di chi va al cinema e sceglie poi di comprare il libro da cui è stato tratto il film che ha appena visto. E questo, a differenza di tante pellicole (cita per esempio Il codice Da Vinci), alcune delle quali proprio su Modigliani, senza creare narrazione distorcenti.

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Fig. 2 A sinistra: Amedeo Modigliani, Beatrice Hastings, 1915, olio su cartone riportato su tavola, Milano, Museo del Novecento. Al centro: Amedeo Modigliani, Rosa Porporina, 1915, olio e matite colate su carta, Milano, Museo del Novecento. A destra: Maschera, cultura Baulé, legno scolpito e intagliato, patine oleose, Milano, Museo delle Culture.

Detto questo, il percorso si articola in quattro sale. La prima va incontro all’esigenza di non connotare questo format come un’intenzione museale o solamente espositiva o solamente multimediale, e serve a introdurre al tema Modigliani. Nella cosiddetta “Sala scrigno”, infatti, sono esposte due opere del pittore, provenienti dal prestigioso partner che si è voluto cercare nel Museo del Novecento di Milano e proposte in un confronto con alcuni esemplari d’arte africana mai usciti prima dai depositi del Mudec; da sempre impegnato nella creazione di ponti tra contemporaneità occidentali ed etnografia dei manufatti artistici, e che ha la sua peculiare vocazione nel legare sempre la collezione permanente con la mostra temporanea. E come ha riconosciuto la dottoressa Montaldo, l’esperienza diretta con le opere d’arte non può essere che un valore aggiunto.
Citando Alessandro Passarè – il medico italiano che tra la fine degli anni Cinquanta e il 2006, quando è scomparso, è diventato un punto di riferimento per il collezionismo d’arte contemporanea e africana –, e invitando a cogliere in maniera diretta e intuitiva le suggestioni modiglianesche per l’umanità quasi divinizzata che traspare dalle maschere e le sculture gabonesi o ivoriane, sempre Anna Maria Montaldo ha detto: «Modigliani ha fatto al contrario le cose di Picasso». Nel clima vivace di Parigi, capitale di una potenza economica basata altresì sul colonialismo, infatti, ciascuno a modo proprio, gli artisti trovano ispirazione nelle meraviglie importate dall’Africa, e i risultati della loro ricerca formale saranno tali da influenzare e fare da guida a una nuova generazione di collezionisti.

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Fig. 3 Alcuni momenti della proiezione nella sala principale.

La seconda sala, sia per la grandezza sia come peso nel racconto della figura di Amedeo Modigliani, è quella più importante e per questo invita alla lunga permanenza. Che si rimanga in piedi o ci si accomodi su panche predisposte, guardando in ogni direzione, perfino sul pavimento, si possono vedere le immagini di quell’epoca ormai lontana: fotografie di luoghi e personaggi, ritagli di giornale che hanno testimoniato eventi passati alla Storia, il tutto intervallato da contenuti più attinenti la vita e l’opera di Modì, opportunamente amalgamato in una sceneggiatura ricca di fantasiose transizioni animate e accompagnato da suoni e musiche per ricreare ulteriormente l’atmosfera della Parigi di primo Novecento. La narrazione ha un suo ritmo, dice Francesco Poli, il quale ha scritto la traccia che è stata poi sviluppata con tutti i segreti del video editing dal pluripremiato studio fiorentino THE FAKE FACTORY (mentre Crossmedia Group, altra azienda nota a livello internazionale, ha curato l’allestimento di schermi e macchine da proiezione). Inoltre, essa percorre un doppio binario: cronologico-biografico e tematico, alla scoperta del primitivismo (internazionale etnografico e italiano duecentesco) che ha influito sulla produzione di Modigliani.
Sulla falsariga della seconda, la terza sala, molto più piccola, racconta invece l’esperienza di Modigliani disegnatore. Dovrebbe fungere da “ambiente di decompressione”.

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Fig. 4 La “camera di decompressione” in cui viene proiettata un’antologia dei disegni di Modigliani, e la “Sala degli specchi” riflessa nel pavimento.

Per finire, l’ultima è chiamata “Sala degli specchi” e, ancora una volta nelle parole del professor Poli, avrebbe la funzione di un luna park: un luogo dove i visitatori possono ammirarsi nelle superfici specchianti che ricoprono tre pareti su quattro – l’ultima è nuovamente destinata a proiezioni –, il pavimento e il soffitto, e scattarsi dei selfie. Non ci esprimiamo sull’opportunità di questa denominazione. Certamente però la avversiamo, e solo vogliamo dire che c’invita sempre più a guardare con diffidenza a quello che, non sapendo bene ancora come chiamare, visto il suo status piuttosto ambiguo nei confronti delle forme consolidate di pratica museale, viene più volte definito ricorrendo a parole non certo povere anche se concise e mediaticamente efficaci: esperienza immersiva, rappresentazione multisensoriale e multimediale. Quando poi di multisensoriale, a conti fatti, visto che gli unici sensi realmente coinvolti sono la vista e l’udito, non ha molto in più del vecchio cinema (che pure non è stato di certo sperimentato recentemente nella sua versione a 360°).

La mostra, o comunque la sia voglia chiamare, aperta dal 20 giugno, continuerà fino al 4 novembre.

Niccolò Iacometti

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