Venezia: Tintoretto giovane Vs Tintoretto maturo. Parte 2

«Parve a ognuno, che si svelasse à gli occhi de mortali la celeste beatitudine»

Senza aver fatto troppa coda per entrare a Palazzo Ducale siamo pronti a vedere il proseguo della mostra su Tintoretto. L’esposizione come quella delle Gallerie dell’Accademia è aperta fino al prossimo 6 gennaio 2019, si intitola semplicemente Tintoretto 1519-1594 ed è curata da due studiosi stranieri uno, che abbiamo già incontrato, è Robert Echols, l’altro è Frederick Ilchman. La rassegna raccoglie circa cinquanta dipinti e venti disegni che Tintoretto ha realizzato durante tutto l’arco della sua lunga vita. Le opere esposte vengono da mezzo mondo e dalle più importanti istituzioni museali tra cui, solo per citarne alcune la National Gallery di Washington, il Kunsthistorisches Museum di Vienna e lo Staatliche Museen di Berlino. Dopo questa prima tappa italiana, la mostra volerà in America, a Washington dove rimarrà aperta dal 10 marzo al 7 luglio 2019. Una sorta di compromesso politico tra la città di Venezia e la National Gallery di Washington la quale senza questa trasferta, molto probabilmente, non avrebbe reso possibile la mostra italiana. Una sorta di mostra “pacchetto” con un unico “catalogo”, se così si può chiamare, realizzato in due versioni linguistiche che risulta essere una “monografia recente” dell’opera di Tintoretto. Quindi niente schede critiche delle opere in mostra, ma un lungo discorso sul percorso artistico del pittore veneziano. Senza contare che nel “catalogo” vengono unite le opere presenti alla mostra italiana e quelle che saranno presenti in quella Americana senza una particolare distinzione, creando al sottoscritto, una sorta di fastidio nel dover tutte le volte fare mente locale per ricordare se quelle opere le ha viste fisicamente in mostra oppure no. Insomma un unico catalogo che vorrebbe dare conto di due mostre e allo stesso tempo essere una monografia aggiornata del lavoro dell’artista e che alla fine riesce a rendere conto di ben poco. Non è infatti il catalogo-monografia in se a dare fastidio quanto il fatto che si siano volute unire le due cose creando un pastiche che alla fine rischia di non rendere conto né dell’una né dell’altra cosa: non un catalogo vero e proprio della mostra o meglio delle mostre, né un libro monografico stretto senso.

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Fig. 1 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Autoritratto, 1546-1547, Philadelphia, Museum of Art.

Accantonando la questione del catalogo passiamo ad analizzare la mostra di Palazzo Ducale. Questa è dichiaratamente una esposizione monografica, solo dopo le prime sale ci si accorge che il percorso non è cronologico ma tematico. Essendo questo il primo vero momento di confronto degli studi sull’opera di Tintoretto dopo la mostra di Pallucchini del 1937, ci si sarebbe aspettati che questa moderna esposizione seguisse il filo della cronologia per far capire meglio al visitatore l’evoluzione stilistica di un pittore complesso come il Robusti. Nelle sale invece ci si trova davanti a opere molto diverse per stile e cronologia legate assieme dai cosiddetti “temi” che rischiano da una parte di causare solo confusione e dall’altra appiattiscono invece una figura che ha molte più sfaccettature di quante ne siano emerse in mostra. Insomma sembra che si sia voluta creare un’esposizione “facile” per privilegiare un approccio elementare al pittore cercando forse un maggiore consenso di pubblico; sotto questo punto di vista ho trovato la mostra a Palazzo Ducale decisamente sotto le mie aspettative rispetto a quella delle Gallerie dell’Accademia. Credo si sia voluto “elementarizzare” la figura di Tintoretto a scapito del sicuro riscontro e successo di pubblico. Quello che invece si dovrebbe capire è che il pubblico può essere messo davanti a mostre difficili e allo stesso tempo gli si possono fornire gli strumenti per capire quello che sta vedendo. Sembra che si voglia ormai sempre di più, con questo genere di mostre, creare uno svago, un passatempo per far distrarre il visitatore invece di fargli imparare e capire qualcosa. Sono convinto che una mostra difficile, di ricerca se vogliamo, possa trovare il modo di rendersi, per così dire, facile e comprensibile al visitatore mentre una mostra che è già facile in partenza non può certo essere spacciata per un mostra difficile. Tintoretto è un artista difficile e come tale andava presentato, senza banalizzazioni, senza cliché tematici, andava presentato nella chiarezza della sua difficile cronologia e ciò non è avvenuto. Dopo queste considerazioni che non vogliono affossare ciò che c’è di buono in questa esposizione ma far semplicemente aprire gli occhi ai visitatori e metterli in guardia su certe banalizzazioni, che ormai sono quasi diventate di routine, passiamo adesso all’analisi di che cosa si vede in mostra.

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Fig. 2 Jacopo Robusti detto Tintoretto, San Giorgio, San Marziale e la Principessa, 1552, Venezia, Gallerie dell’Accademia.

In sale immerse nella penombra si parte dall’Autoritratto che Tintoretto esegue nel 1546-1547 all’età di circa trent’anni e che oggi si conserva al Philadelphia Museum of art; è sfrontato il pittore che si affaccia sulla tela, è l’artista che si celebra come nuovo genio della Venezia di metà Cinquecento. Accanto all’autoritratto si trova il San Giorgio, San Luigi e la Principessa del 1552 conservato alle Gallerie dell’Accademia, ma in origine proveniente dal Palazzo dei Carerlenghi ai piedi del ponte di Rialto che ospitava gli uffici dei tesorieri pubblici. L’opera è stata commissionata da Giorgio Venier e Alvise Foscarini e, insieme a molte altre, doveva decorare gli archi ciechi che si sviluppavano lungo le pareti delle sale a volta. Un’altra opera destinata allo stesso ambiente e commissionata da Andrea Dandolo e Girolamo Bernardo è il Sant’Andrea e San Gerolamo pure in mostra. Il San Giorgio e la Principessa rivela la straordinaria abilità virtuosistica di Tintoretto nel rendere il riflesso della figura femminile sull’armatura lucente di San Giorgio, dimostrando di possedere abilità pittoriche impressionanti che non dovettero però convincere i contemporanei che vedevano in quel riflesso un virtuosismo inutile e forse non del tutto appropriato per un’opera di carattere sacro. Nella stessa sala che tratta le opere sacre si trova anche il bellissimo San Marziale in gloria fra San Pietro e San Paolo del 1549, proveniente dall’omonima chiesa a Venezia. È una pala canonica questa dove Tintoretto decide volutamente di non estremizzare le pose dei personaggi; sceglie di lavorare in modo, se vogliamo, più conservatore evitando l’estremizzazione di pose, scorciature ardite e movimenti bruschi. Di solito Jacopo impiega pennellate lunghe e veloci, ma nel San Marziale usa pennellate più brevi, volte a creare un effetto atmosferico più diffuso. Decisamente più dinamico è il Sant’Agostino risana gli sciancati del 1549-1550 circa che si conserva ai Musei Civici di Vicenza. Qui le figure sono prettamente michelangiolesche, i corpi nudi sottendono ad una umanità vera, reale, concreta. La scena è impostata su un ampio cono prospettico e la scena si svolge su due registri sovrapposti: il divino, quasi evanescente, della parte alta è per così dire contrapposto all’umanità tangibile, incorrotta ma mortale della parte bassa del dipinto.

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Fig. 3 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Sant’Agostino risana gli sciancati, 1549-1550 circa, Vicenza, Musei Civici, Pinacoteca di Palazzo Chiericati.

Nella Presentazione di Gesù al tempio del 1554-1556, conservata alle Gallerie dell’Accademia, si cambia ancora registro stilistico e compositivo. Il dipinto proviene dalla chiesa dei Crociferi a Venezia, ed è stato commissionato dalla Scuola dei Bottari il cui emblema è una piccola botte che compare in primo piano nel dipinto. Il formato orizzontale dell’opera accentua la struttura narrativa dell’azione e, anche grazie agli innumerevoli personaggi che vi compaiono, si ha la sensazione di essere immersi nella scena e di prenderne parte attivamente. Le figure di quinta a sinistra e a destra della tela concentrano l’occhio sulla scena principale, ossia la presentazione di Gesù bambino tenuto in braccio dalla Vergine al Sacerdote Simeone, che con le braccia protese verso il Salvatore, lo accoglie nel regno di Cristo. Affollatissima è poi la Resurrezione di Lazzaro del 1573, un’opera appartenente alla fase matura del pittore. Il dipinto di dimensioni modeste contiene in sé ben venti personaggi (come da contratto con il committente) tutti stipati in una sorta di recinto rappresentato dalla tela che sembrano dover uscire da un momento all’altro nello spazio reale tanto sono stipati. L’azione è sempre in divenire e dinamica e la figura di Lazzaro è tratta da un disegno di Michelangelo raffigurante una Deposizione. Tra queste opere c’è anche la Creazione degli Animali delle Gallerie dell’Accademia eseguita assieme al Peccato originale e al Caino e Abele per la Scuola grande della Trinità, di cui abbiamo già avuto modo di parlare nella precedente recensione, poiché le ultime due opere sono esposte in chiusura della mostra il Giovane Tintoretto proprio alle Gallerie dell’Accademia. La Creazione degli uccelli è qui esposta forse come trade d’union tra gli eventi espositivi. La figura di Dio padre proteso nel gesto della creazione richiama un po’ quello ben più noto di Michelangelo della Cappella Sistina; la composizione è qui calibrata e con pochi personaggi, con una progressiva accentuazione degli effetti di luce e ombra che prefigurano gli esiti figurativi del Tintoretto maturo.

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Fig. 4 Jacopo Robusti detto Tintoretto, La Creazione degli Uccelli, 1550-entro il 1553, Venezia, Gallerie dell’Accademia (dalla Scuola della Trinità).

Di intesa bellezza è la Deposizione dalla Croce del 1562 proveniente dalla chiesa di Santa Maria dell’Umiltà a Venezia oggi alle Gallerie dell’Accademia. La composizione di impianto trapezoidale è dinamica eppure calibrata; si percepisce un forte senso drammatico reso anche attraverso vibranti giochi luministici con cui sono modellate le figure e in particolare il corpo di Cristo. I personaggi sono possenti, solidi, terreni, plastici quasi quanto delle sculture che emergono dalle tenebre: sembra una prefigurazione della Deposizione del Caravaggio. I gesti sono eloquenti, l’emotività contenuta, la scena sembra essere cristallizzata, sembra essere sospesa, senza tempo, eterna: c’è qui un senso della classicità assoluto; l’opera è uno dei vertici della pittura di Tintoretto.

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Fig. 5 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Deposizione dalla croce, 1562 circa, Venezia, Gallerie dell’Accademia.

In queste prime sale, dai capolavori di tema sacro del Tintoretto realizzati negli anni più disparati e riuniti assieme dalla cosiddetta tematica sacra, si passa poi alla sezione dedicata al tema e alle opere profane. La carrellata si apre con Ester davanti ad Assuero del 1575 circa proveniente dal Museo del Prado di Madrid. L’opera di piccolo formato è rettangolare e possiede una luminosità che sembra prefigurare esisti di Veronese, mentre sullo sfondo sembra comparire la colonna traiana, un altro riferimento a quella classicità che pure si trova anche in alcune opere di tema sacro. Accanto gli sta Venere, Vulcano e Cupido degli Uffizi. L’opera, databile al 1545-1546, ha anch’essa forma rettangolare e rientra nelle opere giovanili del pittore. Il dipinto rivela uno straordinario sfondo naturalistico sulla destra, mentre la Venere è una tra le più sensuali figure femminili dipinte dal Robusti. Nelle stessa sala si trovano anche due opere di piccolo formato come Giuseppe e la Moglie di Putifarre del 1550 e la Giuditta e Oloferne dei medesimi anni ed entrambe conservate al Prado. Ma l’opera più erotica della sezione è la meravigliosa Susanna e i Vecchioni (1550 circa) del Kunsthistirsches Museum di Vienna. Il primo proprietario del dipinto fu il francese Nicolas Regnier, residente a Venezia nel XVII secolo. Il dipinto raffigura una scena biblica dal forte carattere erotico come d’altra parte le altre due opere poc’anzi citate. Il biancore madreperlaceo di Susanna intenta a bagnarsi e a specchiarsi si contrappone allo “scuro” del meraviglioso sfondo naturalistico, dove le figure dei vecchioni si camuffano alla perfezione tra i rami e i cespugli della vegetazione e sembrano assumere una rilevanza secondaria rispetto alla figura di Susanna, enfatizzandone quindi la forte carica sessuale.

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Fig. 6 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Susanna e i Vecchioni, 1555 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie.

Dopo questo assaggio di erotismo si entra nella sezione dei disegni dove si trovano opere come lo studio di Tintoretto sul Giorno di Michelangelo del Louvre o lo studio da una Testa antica di Rotterdam. Ancora va citato il bel disegno a gessetto nero e carboncino con lumegiatture bianche, guazzo e olio su carta azzurrina quadrettata del 1578 per La battaglia del fiume Taro che oggi si conserva al museo di Capodimonte a Napoli. Notevoli sono anche alcuni disegni di Nudo maschile, uno proveniente da Rotterdam e l’altro del Vittoria and Albert Museum di Londra. Un altro disegno sempre proveniente dal Vittoria and Albert è lo studio per il Martirio di San Lorenzo (pure in mostra) del 1575 e di collezione privata, che riprende nella parte inferiore la felice composizione di Tiziano e di cui esistono anche per Tintoretto due versioni molto simili tra loro. Accanto si trova la Natività del Museum of Fine Arts di Boston databile agli anni Settanta del Cinquecento. Dall’analisi delle radiografie (RX) effettuate sull’opera si evince che la scena era in realtà una Crocifissione; l’opera è stata in seguito tagliata e modificata con l’aggiunta di un pezzo di tela nel centro e al posto della croce è stato inserito il San Giuseppe, il Bambino e l’agnellino, mentre sono state solo parzialmente corrette le figure della Vergine e quella di una pia donna trasformata forse in Sant’Anna. L’opera fa emergere l’ampio aiuto della bottega proprio per l’utilizzo di uno stile più corsivo e meno attento ai dettagli. Un’altra opera che rivela correzioni in corso d’opera è il Matrimonio mistico di Santa Caterina del 1545 circa proveniente dal museo di Lione. Il dipinto è la prima commissione ducale di Tintoretto e in origine doveva raffigurare il ritratto votivo del Doge Francesco Donà. L’esame radiografico ha rivelato che la testa di Santa Caterina è stata dipinta sopra quelle di una figura con il cornù, ossia il copricapo cerimoniale del Doge. La Santa indossa ancora le vesti dogali senza che siano state modificate; è possibile che l’incarico di rappresentare il Doge fu successivamente affidato a Tiziano allora il più importante ritrattista di corte e che quindi Tintoretto abbia in seguito modificato il dipinto raffigurandovi il matrimonio di Santa Caterina.

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Fig. 7 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, 1545 circa, Musée des Beaux Arts de Lyon.

Continuando la visita alla mostra si giunge alla sezione dedicata al tema mitologico e in particolare ai lavori di Tintoretto per Palazzo Ducale a Venezia. La sezione si apre con l’Origine della via Lattea del 1576-1578 (Londra, National Gallery), commissionata assieme ad altre tre tele, da Rodolfo II di Praga. L’opera è mutila della parte bassa dove figurava la Dea Terra come si può vedere da un antica copia conservata in una collezione privata. Le altre opere erano Ercole caccia il fauno dal letto di Onfale, Ercole e Onfale e le Muse. L’opera in mostra, ossia Giove porta Ercole a Giunone meglio conosciuta come l’Origine della via Lattea mostra l’uso di un chiaroscuro smorzato e una tavolozza brillante che comprende l’uso di colori preziosi quali il lapislazzuli. La scena raffigura il momento in cui Giove, il re degli Dei, tenta di far bere ad Ercole il latte di Giunone per fare in modo che diventi un Dio, abbandonando definitivamente le sue spoglie mortali. Giunone resasi conto del tranello è ripresa nell’atto di allontanare dal suo seno la bocca di Ercole e così facendo il latte finisce per disperdersi in cielo, formando per l’appunto la via lattea. La rappresentazione di Giove avvolto in un manto rosso e blu richiama alla mente le sembianze di Dio nella Creazione di Adamo di Michelangelo della Cappella Sistina e non sarebbe la prima volta che Tintoretto riprende all’interno delle sue opere la famosa composizione del Buonarroti.

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Fig. 8 Jacopo Robusti detto Tintoretto, L’Origine della via Lattea, 1576-1578, Londra, National Gallery.

Nella stessa sala sono presenti anche le quattro allegorie per l’Atrio quadrato di Palazzo Ducale ora collocate nella Sala dell’antico collegio. Sono datate al 1578 e realizzate dopo gli incendi di Palazzo Ducale del 1574 e del 1577. Le scene raffigurano le Nozze di Bacco e Arianna, la Fucina di Vulcano, Mercurio e le tre Grazie e Minerva che protegge Pace e Abbondanza da Marte. Le scene qui elencate presentano delle composizioni dinamiche e possiedono un forte senso narrativo, i personaggi che le abitano hanno forme levigate e altamente plastiche rese con un chiaroscuro attenuato e una tavolozza luminosa; sono avvicinabili per stile all’Origine della via Lattea e molto diverse dai coevi dipinti per la Scuola Grande di San Rocco a conferma della capacità di Jacopo di adattare il proprio stile al tema, ai principi e alle peculiarità di ogni commissione. Sono opere dal forte carattere celebrativo di tenore diverso rispetto alle “Poesie” opulente, seducenti e spesso profondamente toccanti per cui era famoso Tiziano.

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Fig. 9 Jacopo Robusti detto Tintoretto, La fucina di Vulcano, 1578, Venezia, Palazzo Ducale, Sala dell’Anticollegio.

Andrebbe citata in seguito, ma per tema e cronologia ritengo utile parlare in questa sede del magnifico Tarquinio e Lucrezia del 1578-1580 proveniente da Chicago. Anche in questo caso il dipinto vuole rivaleggiare e superare l’opera dipinta da Tiziano per Filippo II di Spagna: nell’opera del Vecellio, il pittore coglie l’inizio dell’aggressione nel momento in cui Tarquinio si avventa su Lucrezia; Tintoretto raffigura invece gli ultimi attimi di vana resistenza della nobildonna prima della violenza, allorché un nudo Tarquinio sta per soverchiare la sua vittima. Jacopo rende tangibile la violenza e l’amplifica con l’aggiunta di vari elementi come la collana rotta e alcune perle ancora a mezz’aria, un pugnale sul pavimento, una scultura caduta da una colonna del baldacchino. La composizione è cinetica e magnetica, piena di riferimenti all’antico, i corpi sono muscolosi e plastici e sono ripresi in torsione e in vibrante movimento. Le pennellate sono rapide e corte, pochi tocchi di bianco sul rosso rendono, con una maestria mai vista prima, il tessuto vellutato dei tendaggi e delle coperte che sembra quasi di poter toccare.

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Fig. 10 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Tarquinio e Lucrezia, 1578-1580 circa, The Art Institute of Chicago.

Un po’ affaticati entriamo nella sezione dedicata al tema del ritratto. La mostra è l’occasione per vedere un cospicuo numero di ritratti autografi del grande Tintoretto tutti riuniti sotto lo stesso tetto. Significativo è ad esempio il Ritratto di uomo con una catena d’oro del 1560 circa del Museo del Prado o ancora il Ritratto di un giovane con una manica azzurra del 1548 circa di collezione privata. La manica grigio azzurra del dipinto è realizzata con grande audacia ed evidenzia l’agiatezza e la posizione sociale del personaggio; l’estetica generale del dipinto è misurata e di grande raffinatezza. Precedenti di un tale risultato stilistico compositivo si riscontrano ad esempio nei ritratti di Antonello da Messina e Lorenzo Lotto ma anche di Tiziano. Un altro notevole dipinto in mostra è il Ritratto di un giovane della famiglia Doria datato al 1560 circa proveniente dal Museo Cerrablo di Madrid. L’effigiato sembra tendere la mano all’osservatore mentre viene ritratto frontalmente con il volto illuminato per intero da una luce soffusa e delicata. Indossa un abito blu scuro (oggi molto incupito per via dello stato conservativo non ottimale) che mette in risalto i bottoni dorati e i tocchi bianchi del merletto intorno al collo e ai polsi. Nel 1625 Van Dyck copiò il ritratto nel proprio album di schizzi italiani attribuendolo a Tiziano e affermando che l’originale si trovava a Genova in casa di Giovan Carlo Doria. In base agli inventari di casa Doria è stato ipotizzato che l’uomo ritratto sia Agostino Doria (1534-1607) padre di Giovan Carlo e Doge dal 1601 al 1603. Tuttavia le effigi di Agostino sembrerebbero non combaciare con i tratti fisionomici del ritratto di Madrid, il che rende dubbia tale identificazione. Il Ritratto di donna in rosso del 1550 circa che arriva da Vienna sembra invece un’opera frutto dell’intervento della bottega. La donna indossa un abito di velluto rosso con perle, anelli, cintura d’oro ingioiellata e un tappeto orientale su cui poggia la mano. La ritrattistica del tempo voleva che le figure femminili avessero un’aria seduttrice e civettuola, dolce e remissiva, innocente e fanciullesca; quella ritratta da Tintoretto è invece una donna sicura di sé, scaltra, a suo agio con l’osservatore. È probabilmente una nobildonna dell’entroterra veneziano, forse di origini lombarde come farebbe intendere l’abito che indossa. La critica ha voluto vedere in questo dipinto la mano di una delle figlie di Tintoretto. Non si potrebbe concludere questa carrellata di ritratti senza parlare del ritratto di famiglia del 1575 circa che rappresenta il Doge Alvise Mocenigo e la sua famiglia davanti alla Madonna col Bambino proveniente dalla National Gallery di Washington. Il Doge è raffigurato assieme alla moglie Loredana, morta nel 1572, e il fratello Giovanni con i suoi due figli. In questo ritratto famigliare, la figura di Giovanni appare raffigurata con molti meno anni rispetto a quanti ne avesse effettivamente, che pure viene ritratto più verosimilmente, con il peso di tutti i suoi anni, da Tintoretto in un dipinto del 1579 circa che si conserva a Berlino. Il ritratto di famiglia doveva essere esposto nel portego, il salone centrale al piano nobile di Palazzo Ducale in cui vivevano Giovanni e i suoi figli; questo spiegherebbe perché Jacopo avrebbe deciso di ritrarre l’effigiato di qualche anno più giovane rispetto alle sue reali sembianze. Gli storici dell’arte hanno evidenziato nell’opera l’intervento di più mani e forse anche l’ausilio di un pittore paesaggista. I ritratti di Giovanni, dei figli e della moglie di Alvise, sarebbero stati eseguiti su una tela di trama diversa rispetto al resto dell’opera e in seguito cuciti alla tela principale. I ritratti sono forse stati ritagliati da un’opera precedentemente danneggiata, riutilizzati e risistemati nel dipinto in esame.

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Fig. 11 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Il Doge Alvise Mocenigo e la sua famiglia davanti alla Madonna col Bambino, 1575 circa, Washington, National Gallery of Art, Samuel Kress Collection.

Girando a sinistra entriamo in una sala dove figurano alcune opere di tema sacro e mitologico della tarda maturità di Tintoretto; siamo arrivati alla penultima sala della mostra. Ci soffermiamo in particolare sul Ratto di Elena del 1576-1577 circa proveniente dal Prado di Madrid. È una scena affollata e dinamica, la narrazione si sviluppa tramite una serie di diagonali che rendono la scena estremamente complessa dal punto di vista compositivo. Qui troviamo figure già utilizzate da Tintoretto in altre sue opere tra cui il Martirio di San Lorenzo del 1575, nonché lì accanto si trova anche la seconda versione del martirio del Santo.

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Fig. 12 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Ratto di Elena, 1576-1577, Madrid, Museo Nazional del Prado.

L’ultima sala della mostra è dedicata alle tarde opere sacre del grande maestro, tra cui spicca su tutti il meraviglioso Battesimo di Cristo del 1580 circa proveniente dalla chiesa di San Silvestro a Venezia. La tela è stata realizzata per l’altare della Scuola dei Peateri (barcaroli) all’interno appunto della chiesa di San Silvestro. La pala è uno dei pochissimi capolavori interamente autografi dell’ultimo quindicennio di attività del pittore, che in quell’ultimo periodo lavorava sempre con l’ampio ausilio della bottega. Qui l’acqua è l’elemento preminente, Jacopo dimostra di possedere una eccezionale conoscenza della materia pittorica nonché degli elementi naturali; tutto è sapientemente calibrato, la composizione è tutta giocata sui chiari e gli scuri, senza la prevalenza dell’uno o dell’altro. La pennellata è svelta e il chiaroscuro esalta il rapporto tra le due figure: quella di Cristo in luce, quella del Battista in ombra. Si notano invece meno calibrati giochi chiaroscurali, forse dovuti allo stato di conservazione della tela, della pur sempre notevole Flagellazione di Cristo del 1579 proveniente dalle collezioni d’arte del Castello di Praga. Nel dipinto si evince un maggior contrasto chiaroscurale nonché un robusto plasticismo delle figure che emergono con forza dall’ombra. Con l’Apparizione della Vergine a San Gerolamo si chiude la sezione dedicata alle ultime opere di carattere sacro di Tintoretto in mostra. Il dipinto è del 1580 circa e proviene dall’Ateneo veneto ma in origine era destinato alla sala di lettura della Scuola laica di San Fantin a Venezia. L’opera godette di molta fortuna fin da subito dato che Agostino Carracci nel 1588 ne realizzò un’incisione oggi al British Museum di Londra. L’opera rivela ancora una volta tutto l’estro creativo di un maestro geniale come Tintoretto; la Vergine non scende dal cielo verso San Gerolamo bensì ascende al cielo in veste di Assunta portata in cielo dagli angeli; Maria prima di congedarsi dal mondo terreno benedice San Gerolamo il quale si volta verso di lei in un gesto di affettuosa riverenza e di rispetto. L’opera rivela tutta la drammaticità fisica delle pose in dinamica torsione, accentuata mediante improvvisi guizzi di luce e ombra profonda nonché con lo spettacolare fulgore del sole nascente sul paesaggio nello sfondo.

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Fig. 13 Jacopo Robusti detto Tintoretto, L’apparizione della Vergine a San Gerolamo, 1580 circa, Venezia, Ateneo Veneto (Scuola di San Fantin).

La mostra si chiude com’era d’altra parte iniziata, con l’Autoritratto di Tintoretto del 1588, oggi conservato al Louvre di Parigi. La figura del pittore è ormai quella di un vecchio con gli occhi scavati e dall’aria stanca ma fiera di chi ha attraversato la tempesta delle avveristà ma né è uscito vincitore e trionfante. Qualche secolo dopo Vincent Van Gogh vedendo il dipinto esclamerà che quell’autoritratto è il più bel dipinto del mondo.

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Fig. 14 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Battesimo di Cristo, 1580 circa, Venezia, San Silvestro.

Nonostante la mostra non dia conto degli esiti più estremi di Tintoretto, così come meglio non si potrebbero conoscere nei teleri della Scuola Grande di San Rocco, l’esposizione riesce, pur con tutti i limiti sopra argomentati, a rendere conto di un percorso artistico assai lungo e sfaccettato non privo di difficoltà ma che ha reso grande il pittore. È da dire che oltre al catalogo della mostra, un volume di itinerari appositamente curato per questo evento veneziano prova a dare conto dell’esteso e vasto lavoro di Jacopo all’interno di chiese e scuole di Venezia e dintorni che per il visitatore e lo studioso sono validi strumenti per arrivare a conoscere e comprendere l’opera dell’artista. Va in ultimo sottolineato che né la mostra né tanto meno le pubblicazioni fatte ad hoc per l’evento riescono a dare conto né tanto meno ad affrontare con convinzione la complicata quesitone della bottega e dell’eredità di Tintoretto come ad esempio l’immenso cantiere per la realizzazione del Paradiso in Palazzo Ducale, dove Tintoretto lavorò solo realizzando disegni e bozzetti ma che probabilmente non appoggiò mai il pennello sull’opera vera e propria, realizzata invece dagli allievi. In mostra sarebbe bastato almeno parlare per un attimo di chi tra tutti i pittori riuscì meglio a raccogliere gli esiti stilistici di Tintoretto ossia il grande Domínikos Theotokópoulos detto El Greco e non ci sarebbe voluto molto a realizzare una breve ma esaustiva sezione con qualche opera dei molti epigoni di Jacopo come ad esempio il figlio Domenico o il suo alter ego Giovanni Galizzi. Così facendo l’esposizione, a mio parere, risulta seppure con un bel finale, tronca.

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Fig. 15 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Autoritratto, 1588 circa, Parigi, Musée du Louvre.

Insomma pur rimanendo una mostra da visitare e da studiare a fondo, Tintoretto 1519-1594 a Palazzo Ducale è una mostra che non è riuscita a dire tutto ciò che bisognava dire su uno dei più importanti pittori del Cinquecento veneziano e più in generale della storia dell’arte italiana.

Link per l’acquisto del catalogo della mostra: Tintoretto (1519-1594). Catalogo della mostra (Venezia, 7 settembre 2018-6 gennaio 2019). Ediz. a colori
Link per l’acquisto del catalogo della mostra il Giovane Tintoretto: Il giovane Tintoretto. Catalogo della mostra (7 settembre-2018-6 gennaio 2019). Ediz. a colori

Marco Audisio

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