Carlo Fornara, alle Radici del Divisionismo.

Dopo una lunga assenza, lo ammetto, per motivi, chiamiamoli così, istituzionali ed anche accademici, di cui mi scuso con voi cari lettori, in questo articolo che celebra la ripresa (dopo la fisiologica pausa estiva di agosto) dell’attività di LetterArti, è mia intenzione raccontarvi una mostra vista a Domodossola nell’affascinante e suggestiva cornice di Casa De Rodis.

Prima però è mio desiderio esprimere un sincero ringraziamento a tutti i collaboratori di LetterArti che in questi mesi hanno continuato a produrre articoli di grande interesse e di grande qualità, dovendo fare i conti con la mancanza di un elemento e quindi di un articolo in meno ogni mese. A Niccolò Iacometti, Chiara Franchi e Federica Rossi va dunque un doveroso e sentito ringraziamento.

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Fig. 1 Casa De Rodis a Domodossola.

Tornado alla mostra, sono sempre più convinto, infatti, che questo genere di iniziative, “artigianali” nel senso più alto del termine, facciano bene ad una storia dell’arte locale che, lontana dalle logiche di “sbigliettamento” e dalle esposizioni di consumo, metta in evidenza le opere e racconti personaggi poco conosciuti al grande pubblico ma che nonostante tutto hanno lasciato testimonianze di grande importanza e bellezza e influenzato a loro volta opere e artisti che sono venuti dopo di loro.

Come molti lettori ormai sapranno, la pittura dell’Ottocento non è esattamente il “mio campo” e mi sarebbe piaciuto che la mostra di Domodossola l’avesse vista Chiara Franchi che si sarebbe espressa con ben altre parole e con ben altri concetti, ma impegnata su altri fronti, non ha potuto venire con me a vedere questa bella mostra e dunque, come si suol dire, si è fatta di necessità virtù. La recensione che qui propongo è un resoconto critico delle opere che ho visto e che mi hanno colpito di più, proprio come feci con la mostra di Novara Ottocento in Collezione. Per tutti gli aspetti più nozionistici rimando al piccolo e bel catalogo della mostra edito da Silvana Editoriale che invito fin d’ora il visitatore ad acquistare per la “modesta” cifra (se si considerano gli esorbitanti prezzi attuali dei cataloghi delle “grandi mostre”) di venti euro; soldi, a mio avviso davvero ben spesi.

In scena fino al prossimo 20 ottobre 2019 e curata da Annie Paule Quinsac, massima studiosa ed esperta del pittore nonché di Giovanni Segantini, la mostra dal titolo Carlo Fornara alle radici del Divisionismo 1890-1910 racconta il primo ventennio della vita e della carriera artistica di uno tra i più importanti ed influenti esponenti della pittura vigezzina. La rassegna inoltre celebra il cinquantenario dalla morte di Carlo Fornara (Prestinone, 21 ottobre 1871 – 15 settembre 1968) ed espone trentacinque opere e sedici disegni dell’artista provenienti in gran parte (oltre che da collezioni pubbliche e private) dalla collezione di Alessandro e Paola Poscio appassionati collezionisti di opere d’arte vigezzina. Diciamolo subito, la mostra a casa De Rodis a Domodossola è un’esposizione raffinata con poche pecche. L’unica, forse, è la luce che illumina i dipinti. In diversi casi i faretti, uno o due per opera, sono troppo sparati sulle opere, il che ovviamente, fa nascere quei fastidiosi riverberi e “macchie luminose” che pregiudicano la visione dei particolari delle opere. Si potrebbe obiettare che opere di carattere “divisionista” si dovrebbero osservare da una certa distanza, il che sarebbe certamente sensato, tuttavia se lo specialista vuole soffermarsi un poco di più sui particolari, l’illuminazione non glielo permette. Ripeto ciò non toglie alla mostra e all’atmosfera che si respira a Casa De Rodis, quel fascino impregnato di artigianalità e qualità.

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Fig. 2 Veduta d’insieme dell’allestimento della mostra a Casa De Rodis.

Sarebbe impossibile in questa sede ripercorrere approfonditamente la biografia di Fornara, tuttavia ritengo che alcune tappe della sua vita e della sua carriera artistica siano indispensabili per capire l’opera di questo importante personaggio. Carlo Fornara nasce a Prestinone frazione di Craveggia in Valle Vigezzo il 21 ottobre 1871; dal 1883 al 1884 e poi dal 1890 al 1901 si forma presso il pittore Enrico Cavalli alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini (nata nel 1878) di Santa Maria Maggiore, altro importante centro della Valle Vigezzo. Ben presto parte per la Francia e si reca a Lione tra il 1894 e il 1895 insieme all’amico e maestro Gianbattista Ciolina, un altro esponente della “scuola vigezzina”. È in questo frangente che partecipa con fermento al dibattito sui concetti di modernità, en plein air, grande peinture e che avviene la fascinazione per la pittura neoimpressionista. Frequenta alcune lezioni all’Ecole des Beaux arts dove ha modo di studiare una delle pinacoteche più ricche di tutta la provincia transalpina, come aveva già fatto il suo maestro Enrico Cavalli. Nella scelta di studiare a Lione deve aver pesato anche la conoscenza di Enrico Fontanesi (Reggio Emilia, 1818 – Torino, 1882), pittore che Fornara deve aver imparato ad apprezzare durante una retrospettiva, dedicata al pittore, andata in scena all’Esposizione Cinquantenaria della Promotrice di Torino nel 1892, dov’erano esposte anche alcune opere di Giovanni Segantini. L’anno precedente Fornara aveva esposto alla Triennale di Brera due sue opere La bottega del calderaio e Ricordanze primi dipinti dal sapore divisionista. Nel 1897 dopo la sua prima esperienza francese partecipa alla Triennale di Brera con l’opera En plein air che viene clamorosamente rifiutata pur ricevendo gli elogi di alcuni suoi colleghi pittori tra cui Giuseppe Pellizza da Volpedo e Giovanni Segantini, i “padri” della pittura divisionista. Nell’agosto del 1898 a Maloja, in Svizzera, avviene la svolta nel percorso artistico del giovane Fornara: l’incontro con Giovanni Segantini. Il consolidamento del loro rapporto professionale e artistico è avvenuto quando Segantini ha preso Fornara presso di lui come assistente personale. Da allora, tra i due artisti, è nata una profonda ed intima amicizia che li legherà indissolubilmente fino alla prematura morte di Segantini avvenuta nel settembre 1899. In quello stesso anno Fornara partecipa alla III Esposizione internazionale di arte a Venezia; è ormai un pittore piuttosto affermato e considerato dalla critica. Il vero apice della sua carriera inizia però con la conoscenza di Alberto Grubicy fratello del ben più famoso e potente mercante d’arte e pittore Vittore Grubicy de Dragon il quale lo aiuta a partecipare all’Esposizione di Parigi del 1900. Questi anni così effervescenti rappresentano per Fornara un periodo di fervida attività artistica. In seguito alla morte dell’amico Segantini, che lascerà nel pittore vigezzino una ferita indelebile, mai completamente guarita, Fornara passa dalla fase divisionista a quella simbolista, probabilmente un omaggio proprio alla figura di Segantini. L’avvicinamento e l’amicizia con Vittore Grubicy fanno in modo che Fornara riesca a partecipare, con buoni risultati di pubblico ed anche economici, a numerose esposizioni nazionali ed internazionali d’arte moderna che ne sanciscono la definitiva stabilità finanziaria. Divenuto un “pittore famoso”, dal 1922 deciderà di ritornare nella sua amata Valle Vigezzo continuando a produrre numerosissime opere segnate dalla messa a punto di un linguaggio figurativo del tutto peculiare ed immediatamente riconoscibile. Muore a Prestinone, nella casa avita, all’età di novantasette anni. Oggi è ricordato da tutti gli studiosi di questo artista e più in generale dagli studiosi di pittura ottocentesca, e a buona ragione, come il maggiore e più importante esponente della scuola dei pittori vigezzini nonché un maestro del divisionismo.

La mostra di Casa De Rodis racconta il periodo più fervido dell’attività di Fornara, gli anni che vanno dal 1890 al 1910 circa, e che sono come si è visto, gli anni che stanno alla base, o meglio per citare il titolo della mostra, alle radici della svolta divisionista del pittore. Il percorso inizia dall’ultimo piano della dimora, in mansarda e se vogliamo un po’ in sordina. Il primo dipinto che si incontra è l’Autoritratto a vent’anni della Collezione Poscio. L’opera sbalorditiva sotto molti aspetti, presenta una composizione di tre quarti tutta giocata sull’introspezione. Il busto nudo del giovane pittore, dai tratti vagamente sensuali presenta una carnagione bianca con punte di verde e giallo sapientemente mescolati che contrastano con l’uso delle terre del fondo. Il colore non è materico ma steso con acume e dimostra di meditare sugli esiti della pittura scapigliata lombarda.

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Fig. 3 Carlo Fornara, Autoritratto a vent’anni, 1890, Domodossola, Collezione Poscio.

Potente come l’opera appena commentata è il Ritratto di Enrico Cavalli, il maestro di Carlo Fornara. Il ritratto dimostra capacità artistiche sorprendenti, nonché il già pieno possesso della tecnica del cosiddetto “sfumino”. L’opera esprime al meglio le capacità interpretative di Fornara nel cogliere ogni sfumatura psicologica del personaggio effigiato. Sono già gli anni in cui il pittore inizia a discostarsi dagli insegnamenti del maestro creando un ritratto in grado di esprimere e di percepire il soggetto esteriore e superficiale restituendone tuttavia la vita interiore. Occhi profondi e azzurri, sguardo severo e penetrante, vagamente altezzoso sono i tratti immediatamente riconoscibili di questo personaggio. La pennellata è più mossa, spezzata, non esente da certe ricerche già filo divisioniste. Altri ritratti meriterebbero di essere commentati con dovizia di particolari, ma lo spazio a nostra disposizione non ce lo consente. Al visitatore basti sapere che deve fare attenzione, tra gli altri, al bello quanto malinconico Ritratto della sorella Marietta e all’inquietante opera dal titolo La pazzia.

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Fig. 4 Carlo Fornara, Ritratto di Enrico Cavalli, 1890, Collezione privata.

Si scendono le scale e si arriva al secondo piano dove va in scena la sezione dal titolo “Al rientro dal primo soggiorno a Lione”. Siamo nel 1894 e Fornara è appena rientrato dal suo soggiorno francese, il primo dipinto che si incontra è La Saone à Lyon, una chiusa del fiume Saone a Lione è ripresa dal vero, en plein air, ed è resa con una tecnica a impasto grasso e a larghe pennellate. L’opera, che necessiterebbe di una pulitura, presenta toni cupi e grigiastri che tuttavia non fanno perdere quel senso di velata malinconia che accompagna questa piccola tavola, memore di ricordi forse non poi così felici.

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Fig. 5 Carlo Fornara, La Saone à Lyon, 1894, Domodossola, Collezione Poscio.

Degna di essere menzionata è la tela dal titolo Sotto Toceno, un paesaggio boschivo ripreso a pochi metri dal comune di Toceno in Valle Vigezzo, terra cara a Fornara. L’opera vuol essere forse un omaggio al suo antico maestro Gianbattista Ciolina che aveva a suo tempo dipinto un paesaggio simile tra i sentieri del piccolo borgo. La tavolozza è più chiara rispetto all’opera precedente ed è qui evidente la tecnica pienamente divisionista di Fornara. Gli alberi, i muschi, i licheni, il cielo, le nubi, le pietre, le pozze d’acqua sono resi mediante brevi, medi e lunghi filamenti di colore accostati gli uni agli altri dando un senso tridimensionale all’opera, riuscendo a percepirne l’essenza e la spiritualità della natura.

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Fig. 6 Carlo Fornara, Sotto Toceno, 1894, Collezione privata.

Il Seminatore è poi il vero protagonista di questa sezione. Una tela (di 26,5 x34,5 cm) che rappresenta, con grande realismo, dato dalla ripresa dal vero, la figura di un uomo ritratto nell’atto quotidiano di seminare un campo, lontano da sentimentalismi e da riferimenti simbolisti e romantici come già aveva fatto Millet con le sue Spigolatrici. La figura umana sembra imporsi per la sua forza vitale rappresentata con toni ocra e marroni che si riflette nella sua ombra realizzata mediante l’accostamento di toni azzurri e grigi. Tutta la composizione, nonché la maniera con cui è condotta, ricordano vagamente alcuni esisti impressionistici tipici della prima fase artistica di Fornara memore del Monet degli anni Settanta. Il comune che fa da sfondo all’opera è Prestinone, paese natale del pittore, realizzato mediante campiture parallele di colore e da molteplici piani prospettici che accentuano la monumentalità del piccolo dipinto. Le pennellate sono filamentose e tendono a sottolineare l’essenza delle cose dando ancora di più il senso quotidiano della rappresentazione. Deliziosa è poi la donna in secondo piano che incede verso lo spettatore, reca con sé una pala per aiutare l’uomo nel duro lavoro che deve portare avanti. Forse quella donna è sua moglie, forse la figlia, ma la cosa che più conta è che quella figura è il vero fulcro dell’intera composizione e conferisce equilibrio e poesia a tutta l’opera.

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Fig. 7 Carlo Fornara, Il Seminatore, 1895, Tortona, Pinacoteca.

Prima di passare alla terza sezione, non si può anche in questo caso non menzionare la straordinaria Processione a Prestinone realizzata nel 1896 e proveniente dalla Galleria di Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni di Novara. Nella sua collocazione tradizionale così come in mostra, la tela, che dimostra un aggiornamento di Fornara sulla lezione di Giuseppe Pellizza da Volpedo, rappresenta forse un mondo che oggi sta lentamente scomparendo, ossia quello del mondo contadino legato alle sue usanze e alle sue tradizioni religiose, compresa la processione per celebrare il santo patrono del paese portato in spalla dai montagnini per le vie del paese. Una ritualità e una spiritualità con i suoi tempi lenti che oggi, nel moderno mondo dell’internet e della tecnologia, facciamo forse fatica a capire e anche ad apprezzare, ma che rende il dipinto straordinario.

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Fig. 8 Carlo Fornara, Processione a Prestinone, 1896, Novara, Galleria Giannoni.

Scendendo un’altra rampa di scale si arriva al primo piano di Casa De Rodis dove si apre la sezione intitolata “Al rientro dal secondo soggiorno a Lione e dal primo viaggio a Parigi (1896-1897)”.  All’inizio di questa sezione viene ricordata, attraverso una fotografia in bianco e nero (l’originale, già nella collezione di Vittore Grubicy, è andata perduta nel 1930 in circostanze non ancora chiaramente definite), l’opera che rese celebre Fornara nel 1897, ovvero En plein air, traducibile con All’aria aperta. Il dipinto è il frutto di anni di intense ricerche da parte di Fornara sugli avanguardistici esiti degli Impressionisti e dei Neoimpressionisti nonché sulle ricerche della Scuola di Barbizon e della Scuola di Morestel conosciuti dal pittore a Lione. L’opera, dipinta in atelier, rappresenta una scena all’aria aperta di dolcissimo sentimento materno nei confronti del piccolo bambino che le sta accanto. Gli sguardi che i due protagonisti della tela si scambiano (anche se la madre sembra intenta nel cucito, la sua attenzione verso il figlio è lampante), sono tra i più dolci di tutta la pittura ottocentesca vigezzina. Questa è l’opera che consacra Fornara come uno tra i maggiori esponenti del divisionismo europeo.

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Fig. 9 Carlo Fornara, En plein air, 1897, Collezione privata.

Simile per impostazione compositiva ed esisto stilistico di En plein air, è l’opera dal titolo A giornata finita dipinta da Fornara nel 1898. Due pastorelle stanno riportando nella stalla due mucche, la giornata è ormai al crepuscolo e sta per terminare anche per loro una lunga giornata di duro lavoro. La stalla rappresentata è verosimilmente quella di proprietà di Fornara a Prestinone e la figura femminile di spalle con il gerlone pieno di fieno sulle spalle in primo piano a destra è forse la sorella del pittore Marietta, protagonista anche di En plein air. L’opera colpisce per la sua travolgente quotidianità nonché per l’uso di colori brillanti stesi attraverso filamenti di colore sovrapposti gli uni sugli altri.

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Fig. 10 Carlo Fornara, A giornata finita, 1898, Collezione privata.

Pienamente divisionista è l’opera Le lavandaie dipinta nel medesimo 1898 dopo il rientro dell’artista dal suo secondo soggiorno a Lione. La tela risente fortemente dello stile di Giovanni Segantini ed è forse l’opera “più divisionista” dell’intera esposizione. Il fascino del dipinto risiede nei rapporti cromatici giocati sulla stessa dominante cromatica blu-viola nonché tra la gamma dei bianchi colorati della neve e quelli dei panni che stanno lavando le tre donne. L’ombrello rosso posto in alto a sinistra è l’elemento che Fornara usa per siglare d’irrealtà le donne al lavatoio, sullo scorcio di Prestinone coperta di neve. La scena ha infatti qualcosa di metafisico e insieme di magnetico, cattura l’osservatore che rimane stregato dai particolari, non tanto quelli della scena quanto da quelli tecnici: dal modo con cui i filamenti di colore si mischiano con gli altri creando ritmiche onde dal sapore quasi melodico.

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Fig. 11 Carlo Fornara, Le lavandaie, 1898, Collezione privata.

La penultima sezione si chiama “Sulle orme di Segantini”; morto l’amico, Fornara aderisce alla poetica simbolista di Segantini, non abbandonando però lo stile divisionista. In questa sezione va menzionata almeno la Festa della Primavera a Malesco dove quattro figure femminili disposte in cerchio stanno danzando in una sorta di girotondo dai vaghi sapori esoterici. Le danzatrici vestite di bianco stanno danzando attorno ad un albero in fiore, personificazione della primavera. Sul lato destro della composizione una donna sta suonando un primitivo strumento musicale non altrimenti identificato, per far ballare un bue, il cui dondolio, quasi aggraziato è solo suggerito da un impasto di colore chiaro con una sicurezza del tratto che trasla il rimo della bestia incantata dalla musica. L’opera seppur accomunata da certi esisti stilistici “alla Segantini” è tutta risolta verso altre tipologie stilistiche che lasciano emergere l’inizio delle ricerche di Fornara verso un peculiare risultato stilistico del tutto personale.

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Fig. 12 Carlo Fornara, La festa della Primavera a Malesco, 1900, Collezione privata.

Incantevole, in questa sezione, è anche La notte di Natale dipinto nel 1902. Ciò che qui emerge è sicuramente un’atmosfera fantasiosa e a tratti malinconica; il momento è quello che precede immediatamente il sorgere del sole, quando una luce fioca e allo stesso tempo avvolgente circonda la natura vigezzina. Due ombre sono già pronte ad affrontare una nuova giornata. Le pennellate a trattini irregolari, concavi ed obliqui movimentano la superficie pittorica e conferiscono al paesaggio un silenzio e una sensazione di gelido freddo, pensiero che trova sollievo solo al pensiero del sorgere del sole.

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Fig. 13 Carlo Fornara, La notte di Natale, 1902, Collezione privata.

La penultima sezione della mostra si intitola “Il giardino di Armida: ridimensionare la lezione segantiniana alle atmosfere dell’universo vigezzino”. Qui gli esiti della lezione di Segantini lasciano il posto all’emergere in Fornara del suo maturo linguaggio artistico. Opere come Rocce (1900-1902) o La chiesetta bianca (1902), Luci e ombre (1904), Crana (1904), Vocogno pomeriggio inverale (1908) dimostrano, pur mantenendo vivo il ricordo dell’amico, un modo di affrontare la materia pittorica tutto giocato sulla fusione di più linguaggi che se da una parte dimostrano affinità col divisionismo, dall’altra sono il risultato di un sentire e di una sensibilità del tutto inediti e nuovi, frutto del genio dell’artista.

L’ultima opera che vorrei commentare è Chiara Pace dipinta dall’artista nel 1903. La monumentale tela è un perfetto ritratto del borgo di Craveggia. Il realismo con cui Fornara affronta il soggetto è qualcosa che ha dell’incredibile; per farlo il pittore si avvale di uno scatto fotografico che utilizza per lavorare alla tela all’interno del suo studio e a più riprese. L’atmosfera che si respira è di serena tranquillità e pace proprio come recita il titolo dell’opera, eppure l’uomo, verosimilmente Gian Maria Rastellini (l’amico pittore di Fornara, anch’egli esponente della scuola vigezzina) disteso sotto un albero dalle foglie rosse e gialle per l’inverno ormai alle porte, pervade tutta l’opera di una certa malinconia che ritengo sia un’altra delle peculiarità di questo pittore che come un lite motive anima i suoi più importanti capolavori. Per chiudere l’analisi di questa opera riporto le belle parole della scheda di catalogo dell’opera, che credo riassumano molto bene il significato davvero straordinario di quest’opera, divenuta emblema della Collezione Poscio: “La purezza dello stile divisionista non si ripeterà mai più con tale e limpida esattezza coesistendo con un trattamento a smalto delle superfici contribuendo a rendere la fissità della luce cristallina. L’impressione che ne scaturisce è di vita bloccata in un attimo, in lenta osservazione di un meriggio smagliante di luce”.

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Fig. 14 Carlo Fornara, Chiara Pace, 1903, Domodossola, Collezione Poscio.

Chiude la mostra la sezione dedicata ai disegni, ma è inutile dire che dopo aver visto le opere pittoriche dell’artista, la selezione di stampe e disegni non riesce a reggerne il confronto anche perché relegata in un seminterrato poco illuminato e un poco angusto: peccato. Forse i disegni avrebbero dovuto essere accostati insieme alle opere così da meglio evidenziare il percorso mentale e figurativo dell’artista.

Dopo questa carrellata di opere di Carlo Fornara che qui si sono brevemente esaminate e di tante altre che si trovano esposte in mostra e che per mancanza di spazio non si è potuto commentare e mostrare nella loro totalità, non si può che concludere questa recensione se non dicendo di andarla a vedere perché questa volta ne vale davvero la pena.

Marco Audisio

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