L’estate, dopo il primo periodo passato ad affrontare la lunga sessione di esami, lascia un po’ di tempo da dedicare all’ozio e a un po’ di meritato riposo, che mi piace comunque occupare leggendo un bel libro e visto che il tempo è più del solito scelgo un bel classicone della letteratura con un numero di pagine corposo. La mia lettura è stata Jane Eyre di Charlotte Brontë, un classico della letteratura inglese vittoriana, di cui avevo sentito parlare molto e da cui sono stati tratti diversi adattamenti cinematografici. La storia di questo romanzo, bene o male, è conosciuta da tutti a grandi linee e, inoltre, avevo letto La bambinaia francese di Bianca Pitzorno che in più punti riprende la storia di Jane Eyre, ed era stato un libro che mi era piaciuto molto.

È sempre bello tornare a leggere questi grandi classici della letteratura perché sono in grado di coinvolgere il lettore nel susseguirsi degli eventi, grazie ad uno stile che è sempre coinvolgente e che permette di vivere più da vicino il mondo dei vari personaggi: le preziose descrizioni della brughiera inglese e dei grandi saloni delle varie dimore che Jane frequenta permettono di toccare con mano ciò che i personaggi vedono e di immergersi nelle loro sensazioni. Nella narrativa contemporanea a volte è difficile trovare questa costruzione, questa resa così verosimile di un mondo, un mondo che, ben inteso, non sempre deve essere quello reale e il più vicino possibile a quello in cui viviamo, anche un mondo fantastico però deve avere la sua verosimiglianza e deve sottostare a delle regole interne che lo rendono in qualche modo reale.

Un’altra riflessione che questa lettura mi ha portato alla mente e che oggi nei romanzi si tende sempre di più a prediligere l’aspetto psicologico e a trascurare la vicenda, i vari fatti che si susseguono: riprendendo un’idea che era già di Calvino, e che spesso portava all’attenzione dei giovani scrittori che a lui si rivolgevano, un romanzo deve raccontare dei fatti, l’uomo è alla continua ricerca di storie, di azione, di avventura. Questo non toglie che l’approfondimento psicologico sia una caratteristica fondamentale di un buon libro, come ci dimostra Charlotte Brontë, ma non bisogna trascurare che l’immaginazione dell’uomo ha bisogno anche di un intreccio, di una trama avvincente. Se uno scrittore è in grado di mescolare sapientemente questi due aspetti, queste due componenti fondamentali, il libro sarà un libro riuscito.
Jane Eyre racconta la storia di questa giovane ragazza, che dopo essere rimasta orfana viene adottata dallo zio, venuto a mancare il quale, rimane nella casa della arcigna zia che nutre una profonda antipatia nei suoi confronti. Jane è una bambina che avverte l’ingiustizia del modo con cui viene trattata, ha un animo che ribolle di fronte al comportamento della zia e dei cugini nei suoi confronti e non esita a combattere per quello che ritiene giusto.

Jane viene mandata in un collegio, a Lowood, e anche qui deve affrontare diverse difficoltà, tra le quali la scarsezza di cibo, il clima rigido, il rischio della malattia e le dicerie che la dipingono come una ragazza cattiva e ingrata. La nostra protagonista riesce a farsi ben volere e impara a contenere la sua passione ribollente e il disprezzo per le ingiustizie e, dopo il periodo trascorso a Lowood, viene assunta come istitutrice presso la casa di un nobile, il misterioso Mr. Rochester, di cui si innamora. Ma Thornfield Hall nasconde dei segreti di cui, nel corso della vicenda, Jane subirà le conseguenze.
Jane Eyre ha uno sguardo metafisico sul mondo, nel senso che riesce a penetrare nel profondo di ciò che vede, riesce a cogliere con precisione e istantaneità ciò che la circonda, ad inquadrare il carattere delle persone, ad analizzare attentamente le varie situazioni in cui si trova. La nostra eroina inoltre è pienamente consapevole di quello che è, dei suoi difetti e dei suoi pregi, ma anche da un angolo della sala riesce a cogliere gli umori delle persone presenti.
Jane è una eroina sui generis, costantemente viene ribadito nel romanzo che non è una bella ragazza, o meglio ciò che i canoni indicherebbero come una bella ragazza, ma quello che è al suo interno, questa sua capacità di capire qual è il suo ruolo le permette di brillare su tutti.
La narrazione è in prima persona, è proprio Jane a guidarci in questo mondo, nella sua vita, e la sua è una voce unica che accompagna il lettore piacevolmente per quasi seicento pagine.

Gli eventi sono avvincenti, i colpi di scena, se proprio non si sa nulla della vicenda, sono molti e ben congegnati, la psicologia della protagonista è netta e precisa e si sviluppa nel corso delle pagine e anche i ritratti degli altri personaggi che accompagnano Jane sulla pagina sono realizzati con grande abilità. Mi viene in mente il personaggio di St. John ad esempio, che davvero mi ha infastidito, per questo contrasto netto tra ciò che lui pensa di sé, ovvero di essere un uomo pio e di conoscere ciò che è davvero giusto e puro, e ciò che invece dimostra, di essere una persona insensibile e intenta a guardare solamente ai propri interessi.
Forse è vero che alcuni momenti sono un po’ melodrammatici e un po’ troppo melensi, ma la Brontë riesce a mescolare sapientemente questi momenti con altri passi più gotici e misteriosi, come le descrizioni della brughiera o le notti misteriose a Thornfield Hall.
Jane Eyre è un classico che prima o poi dovete leggere e che di sicuro non vi farà pentire. I pochi fatti della trama a cui ho accennato sono solo una infinitesima parte delle vicende del romanzo, questo perché non voglio mai togliere il piacere di stupirsi di fronte agli eventi, ma molto altro accade alla giovane eroina, tra le più celebri della letteratura.
Alessandro Audisio
Rispondi