“Tutti e tre insieme abbiamo visto la mostra, e tutti e tre ne abbiamo fatto la recensione”.
Introduzione
Nelle diciotto sale di palazzo Chiablese a Torino va in scena fino al prossimo 3 novembre 2019 la mostra dal titolo I Mondi di Riccardo Gualino, Collezionista e Imprenditore curata da Anna Maria Bava e Giorgina Bertolino con la collaborazione dei Musei Reali di Torino, Banca d’Italia e dell’Archivio Centrale dello Stato.
La mostra vuole omaggiare e restituire notorietà alla figura di Riccardo Gualino, raccontandone la storia attraverso i documenti e le fotografie, e riunendo una serie di opere che, in parte, sono in esposizione permanente alla Galleria Sabauda, in parte, invece, provengono da altre collezioni che le hanno accolte dopo lo smembramento del nucleo originale. Oltre duecento sono le opere che, in quest’occasione, possono ritrovarsi ancora una volta sotto lo stesso tetto, e la varietà di generi cui appartengono testimonia, come in un ritratto a tutto tondo, le molteplici, eclettiche e raffinatissime inclinazioni di uno straordinario protagonista della cultura del Novecento.

riproduzione da fotografia originale,
Torino, Archivio Erika Hutter
Il profilo biografico
Figlio di un piccolo ma benestante imprenditore orafo, il quale lo pensava destinato alla carriera d’insegnante, Riccardo Gualino (Biella, 25 marzo 1879 – Firenze, 6 giugno 1964) volle dimostrare che non era solamente una persona dalla vasta erudizione artistica e letteraria. Soprattutto, intraprese con decisione la strada più lunga, rinunciando ai favori che avrebbe ricevuto lavorando, come avevano fatto già i suoi nove fratelli, nell’impresa del padre. A Genova, studiò giurisprudenza e svolse il servizio militare. Impegnandosi nei vari settori della lana, del legname e del cemento – con un giro d’affari che collegava Italia, Austria e Carpazi, per poi espandersi in Russia e in America –, Gualino provò immediatamente le sue brillanti capacità di venditore. Viaggiando, strinse legami con importanti figure di quel mondo che, nel corso degli anni, non senza incontrare delle avversità, l’avrebbe visto sempre più protagonista (passando da commesso a imprenditore) e conoscendo realtà industriali diverse. Poté quindi affinare l’arte del business, integrando una formazione umanistica che mai l’avrebbe abbandonato e che restò probabilmente la sua vera passione. Nel 1912, infatti, dopo che ebbe sposato Cesarina Gurgo Salce (Casale Monferrato o Torino, 1890 – Roma, 1992), e fu andato a vivere con lei nel castello di Cereseto, sulle colline del Monferrato, fatto erigere in stile medievale dall’ingegnere Vittorio Tornielli, diede inizio ad un’instancabile collezione, originariamente con funzione d’arredo, accresciuta poi nel gusto e nelle dimensioni dalle amicizie di Gualino con il pittore Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963), e con lo storico dell’arte Lionello Venturi (Modena, 1885 – Roma, 1961).

Dipinti, sculture, reperti archeologici, ceramiche, vetri, tessuti, arazzi e gioielli. Dall’antichità al XX secolo, tante cose furono collezionate dai signori Gualino e, nel 1928, esposte alla Pinacoteca Sabauda di Torino, città dove nel frattempo l’imprenditore/mecenate aveva stabilito la sua dimora e il nuovo centro operativo dei suoi affari. Qui fece costruire un teatro di sperimentazione artistica presso la sua residenza e un moderno palazzo, sede del suo gruppo, in corso Vittorio Emanuele II, su progetto degli architetti Gino Levi-Montalcini (Milano, 1902 – Torino, 1974) e Giuseppe Pagano (Parenzo, 1806 – Mauthausen, 1945) e secondo i canoni delle più moderne teorie funzionaliste. Poi, dopo anni prosperi, segnati dall’amicizia con Giovanni Agnelli (Villar Perosa, 1866 – Torino, 1945) e dalla fortuna di imprese come la Snia, diventata poi Snia Viscosa, e la Unica, la sua carriera ebbe una battuta di arresto e, nel 1930, Mussolini lo fece arrestare per avere criticato le sue politiche economiche. Confinato dapprima a Lipari e dopo a Cava dei Tirreni, intanto che la sua collezione veniva smembrata, Gualino terminò due autobiografie, intitolate Frammenti di vita e Solitudine nonché il romanzo Uragani.
Tornato libero nel 1932, si trasferì a Parigi e qui avviò una nuova impresa, questa volta nel settore cinematografico: la Lux Film, futura produttrice di capolavori come Riso Amaro, Senso, I soliti ignoti e Divorzio all’italiana. Deciso a ricostruire la propria fortuna, non soltanto divenne proprietario della Rumianca e della Viset, operanti nel campo chimico e cosmetico, ma stabilì nuove residenze a Portofino, Firenze e Roma, aprendole alla frequentazione degli uomini e delle donne più in vista del suo tempo. Insieme alla consorte, ricominciò a collezionare opere d’arte, dando vita ad una seconda raccolta che, insieme alla prima, rappresenta a tutt’oggi il suo lascito più importante.

La mostra: Gualino e l’arte antica
L’interesse di Gualino per l’arte antica e contemporanea sorge intorno alla fine degli anni Dieci e si deve in gran parte al fortunato incontro con Lionello Venturi, che dal 1919 aveva assunto la carica di docente di Storia dell’arte presso l’Università di Torino. Il critico indirizza Gualino verso il collezionismo di opere dei cosiddetti “primitivi” fin dal 1918; infatti una tra le più importanti e controverse opere d’arte antica che figura nella collezione dell’imprenditore è la Madonna con Bambino che oggi porta un’attribuzione al pittore Duccio di Boninsegna (Siena, 1255 – 1318/19 circa) e che viene esposta alla prima mostra della collezione nelle sale della Galleria Sabauda nel maggio del 1928 curata dalla storica dell’arte Noemi Gabrielli (Pinerolo, 1901 – Asti, 1979). Il dipinto, oggi in mostra, è una delle prime opere che viene donata alla Galleria Sabauda nel 1930. Lionello Venturi quando fa acquistare la tavola a Gualino la ritiene nientepopodimeno che di Cimabue (Firenze, 1240 circa – Pisa, 1302) e come tale entra nella sua collezione. Successivamente storici dell’arte e conoscitori del calibro di Gustave Soulier, Roberto Longhi, Carlo Volpe, Ferdinando Bologna fino a Luciano Bellosi spostano l’attribuzione e propongono il nome di Duccio, datando la tavola tra il 1280 e il 1283 circa. Secondo i critici l’opera sarebbe di poco anteriore della ben più famosa Madonna Rucellai (1285) degli Uffizi in quanto anticipatrice di alcuni caratteri “gentileschi” sviluppatisi e pienamente presenti nella tavola di Firenze. Il dipinto è stato gravemente danneggiato in seguito alle diverse ridipinture eseguite nel Quattro e nel Cinquecento oltre che nei tentativi maldestri di restauro che negli anni si sono succeduti, alcuni dei quali, hanno cercato di accomodare la tavola fornendo un aspetto decisamente più orientato in senso arcaizzante e pre-giottesco, di fatto avvalorando e accomodando la prima attribuzione di Venturi a Cimabue.

Rimanendo in tema di pittori “primitivi” la mostra propone una buona selezione di opere e di artisti collezionati dall’imprenditore, come ad esempio la bella quanto austera e antica Madonna con il Bambino del Maestro della Madonna di Sant’Andrea a Rovezzano del 1250 circa o il Trittico del fiorentino Andrea di Giusto (documentato dal 1423 al 1450), e ancora le tavole con i due dolenti ossia San Giovanni Evangelista e la Vergine di Paolo Veneziano (documentato dal 1333 al 1362 circa). Se ci si sposta poi ben dentro il Rinascimento, la mostra espone alcune delle opere più interessanti della collezione Gualino tra cui non si può non fare menzione della Madonna con il Bambino (1470-1475) del Maestro dell’agosto di Palazzo Schifanoia uno degli anonimi collaboratori ferraresi presenti nelle stanze di Palazzo dei Diamanti a Ferrara accanto a Ercole De Roberti e Francesco del Cossa. Nella stessa sala sono presenti anche la Madonna con il Bambino e Santa Caterina d’Alessandria (1480-1490 circa) di Liberale da Verona (notizie dal 1445 al 1529 circa) e la Natività (1497 -1498) attribuita al pittore toscano Luca Signorelli (Cortona, 1445/50 circa – 1528) non senza qualche (così ci sembra) richiamo vagamente leonardesco.

Interessante è poi la Crocifissione (1450-1455) di Giovanni di Piermatteo detto Giovanni Boccati (Camerino, 1410 circa – 1486); anche in questo caso ci sembra che quest’opera, dal gusto ancora assai arcaico, dimostri qualche dialogo con la pittura leonardesca. Ed è proprio ai leonardeschi che si fa riferimento nella sala successiva con una selezione di dipinti di alcuni esponenti della grande tradizione lombarda, tra cui bisogna citare almeno la Madonna con il Bambino (1499-1510 circa) di Giovanni Ambrogio De Predis (Milano, 1455 – post 1509). A testimonianza dell’eterogeneo gusto collezionistico di Gualino nei confronti dell’arte antica, manierista e pienamente cinquecentesca in questo caso, figurano in mostra anche l’intima Venere della tartaruga (1545-1555) di Girolamo Siciolante di Sermoneta (documentato dal 1521, morto a Roma nel 1580) e la piccola ma potente tela con Venere e Marte del grande Paolo Veronese (Verona, 1528 – Venezia, 1588).

Passando poi all’età barocca e quindi al pieno Seicento, i gusti dell’imprenditore si concentrano, ad esempio, su Francisco De Zubaran (Fuente De Santos, 1598 – Madrid, 1664) con la sua Santa Caterina d’Alessandria (1650 circa) e su opere vagamente attribuibili a Rembrandt Van Rijn come si evince nella Fanciulla che si affaccia da una porta del 1650 circa. Per il Settecento, Francesco Guardi e Canaletto sono gli artisti prediletti e collezionati da Gualino, che sotto l’attento vaglio critico di Lionello Venturi si accaparra alcuni prezzi di grande valore nonché di bellezza.

Anche dal punto di vista della scultura non mancano pezzi decisamente interessanti; si va dallo splendido Crocifisso ligneo della seconda metà del XII secolo di un anonimo scultore romanico alla delicatissima e dolcissima Madonna Annunciata della metà del XV secolo di un altrettanto sconosciuto maestro toscano per giungere alla scultura lignea tedesca, anch’essa anonima, rappresentata sia dal Cristo dolente del XVI secolo, parte forse di un complesso scultoreo più ampio rappresentante un Ecce Homo, sia dall’impressionante e un poco macabro Piatto con la testa del Battista databile al XV secolo. Chiude l’esposizione delle sculture della collezione Gualino l’austera e bellissima Madonna orante di scultore marchigiano del XVI secolo.

Gualino e l’arte contemporanea
Il sodalizio sia umano che professionale fra Gualino e Lionello Venturi porta, come abbiamo visto, fra il 1910 e il 1919 ad un notevole arricchimento della collezione dell’imprenditore, che Venturi indirizza verso l’arte contemporanea europea, e, nello specifico, verso i mastri dell’impressionismo francese. Sono questi gli anni di importanti acquisizioni, quali il Paesaggio campestre, opera del 1863-1864 di Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926), o la coeva Négresse di Édouard Manet (Parigi, 1832 – 1883), che richiama l’analoga figura di fantesca che compare nella celeberrima Olympia. La passione per il XIX secolo, tuttavia, si concretizza anche nella particolare considerazione che Gualino riserva all’impressionismo e post-impressionismo italiani: ecco dunque che, accanto alle opere d’arte francesi, entrano a far parte della sua collezione capolavori di Giovanni Fattori (Livorno, 1825 – Firenze, 1908) e Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931).

Il legame con Venturi costituisce l’inizio, per l’imprenditore, di un decennio aureo, durante il quale al grande successo professionale ed economico, sancito, come poc’anzi ricordato, dal sodalizio con Giovanni Agnelli e dalla fondazione della Snia Viscosa, si affianca un’intensa attività di mecenatismo culturale. Gualino e la moglie Cesarina frequentano le più importanti esposizioni di arte contemporanea, non solo a Torino, ma in tutto il territorio nazionale e presenziano con regolarità alle Biennali di Venezia. Sebbene riservino un particolare riguardo ad artisti loro conterranei, i coniugi si dimostrano aperti anche ai nuovi linguaggi che vengono proposti in scala nazionale: un esempio è l’acquisizione di Bambini allo studio (1918) di Armando Spadini (Firenze, 1883 – Roma, 1925), esponente di spicco della Secessione Romana. Quest’ultima opera è nota, peraltro, poiché nel 1990 venne scelta per essere riprodotta sulle banconote da mille lire, in sostituzione dell’effige di Marco Polo.

Un particolare riguardo è comunque sempre riservato ad artisti loro conterranei, come dimostrano le acquisizioni di opere di Felice Carena (Cumiana, 1879 – Venezia, 1966) o dello scultore Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato, 1859 – La Loggia, 1933).
La dimora di Cereseto Monferrato, fatta edificare dall’imprenditore nelle forme di un castello neogotico, diviene un vivace centro di scambi culturali: lì, i coniugi ricevono personaggi del calibro di Bernard Berenson (Butrimonys, 1865 – Fiesole, 1959) e Benedetto Croce (Pescasseroli, 1866 – Napoli, 1952) e si dedicano alla promozione delle personalità più promettenti del panorama culturale piemontese, come Felice Carena, del quale acquistano il dipinto La quiete (immagine di copertina), eccellente esemplare della corrente novecentista che, in quegli anni, si contrapponeva all’imperare delle avanguardie in Europa. L’artista prediletto è tuttavia Felice Casorati che diviene per i due una sorta di moderno “artista di corte”. Nel 1921 Gualino acquista dall’artista il capolavoro Le due sorelle; l’anno successivo, giunge da parte dell’imprenditore la commissione del proprio ritratto, insieme a quelli di Cesarina e del secondogenito Renato: la fissità delle pose, il sapiente utilizzo della luce e la presenza di oggetti simbolici, come gli imponenti volumi o i tendaggi che chiudono il fondo, richiamano gli esiti del ritratto rinascimentale e sono vertici indiscussi dell’arte del XX secolo.

La particolare predisposizione di Gualino nei confronti degli artisti a lui contemporanei, in particolare quelli della nuova generazione, favorisce inoltre lo sviluppo di tendenze di carattere avanguardistico, che si contrappongono all’egemonia classicista del “ritorno all’ordine”: è il caso del cosiddetto “Gruppo dei Sei di Torino”, movimento che raccoglie alcuni allievi di Casorati e prende le mosse proprio grazie al supporto economico dell’imprenditore, ancora una volta consigliato e affiancato da Venturi. I “Sei di Torino” – ovvero Gigi Chessa (Torino, 1898 – 1935), Jessie Boswell (Leeds, 1881 – Moncrivello, 1956), l’unica donna del gruppo, Nicola Galante (Vasto, 1883 – Torino, 1969), Carlo Levi (Torino, 1902- Roma, 1975), acclamato scrittore oltre che artista, Francesco Menzio (Tempio Pausania, 1899 – Torino, 1979) ed Enrico Paulucci (Genova, 1901- Torino, 1999) – proponevano una rielaborazione della pittura francese, in particolare per ciò che riguardava gli esiti espressionisti e antinaturalistici ottenuti dai fauve e nel contesto della Scuola di Parigi; un valido esempio del loro linguaggio ammirabile nella collezione di Gualino è il Nudo sdraiato di Menzio, esplicito omaggio al Nudo rosso di Amedeo Modigliani (Livorno, 1884 – Parigi, 1920), opera, quest’ultima, che il giovane artista aveva potuto ammirare all’interno del nucleo originario della raccolta torinese e oggi conservata presso una collezione privata in Cina.

Il decennio di massimo splendore delle vicende dell’imprenditore si concluderà in modo purtroppo drammatico nel 1931, a causa di un grave crack finanziario, seguito dall’arresto e dal confino sull’isola di Lipari, siglato da Mussolini in persona.
Il periodo di allontanamento forzato, tuttavia, non determina la fine delle molteplici attività di Gualino: una volta scontata la pena, l’imprenditore, come detto, si trasferisce a Roma e Parigi dove inizia una nuova avventura nel campo della produzione cinematografica e prosegue parallelamente all’ampliamento della propria collezione; risalgono agli anni Trenta le acquisizioni di dipinti di Degas e Picasso, mentre l’amico Casorati realizza per l’imprenditore un altro capo d’opera della propria produzione, il dipinto Ragazza di Pavarolo o Clelia.
La sapiente consulenza di Venturi si concretizza, a partire dal 1918, anche nell’acquisto, da parte dell’imprenditore, di una serie di esemplari di arte asiatica, in particolare cinese e giapponese, che costituiscono un’altra interessante sezione della collezione, purtroppo smembrata fra la Galleria Sabauda di Torino e la Banca d’Italia di Roma in seguito all’arresto di Gualino. In ogni caso, la mostra riunisce in un’unica sala le opere provenienti da entrambe le sedi, fra le quali è possibile ammirare il pregiatissimo Buddha Shakyamuni in meditazione, una delle ultime opere a travalicare i confini della Cina, prima della chiusura verso l’estero avvenuta negli anni Quaranta.

Gualino e il teatro
Una piccola sezione della mostra è dedicata al teatro. Qui si è cercato di ricostruire, attraverso le immagini e gli oggetti, sia la storia del “teatrino” privato che Gualino aveva voluto presso la sua abitazione torinese, e che aveva fatto progettare da Felice Casorati insieme all’architetto Alberto Sartoris (Torino, 1901 – Pompaples, 1998), sia quella del teatro pubblico che nello stesso anno, il 1925, aveva preso il posto dello Scribe in via Verdi, grazie ad un progetto di restauro di Gigi Chessa. Se comunque nel primo, «una camera metafisica, concepita per spettacoli d’intrattenimento colto», Cesarina fece ricerche sulla danza d’avanguardia insieme a Bella Hutter e Raja Markman, il secondo vide Venturi e il musicologo Guido Gatti (il quale aveva conosciuto Gualino mentre lavorava in una delle sue imprese, la Fabbrica Italiana Pianoforti), coordinatore e direttore di cinque stagioni che avevano portato ad esibirsi in Italia il direttore d’orchestra Richard Strauss, la compagnia di Pirandello, i balletti russi di Diaghilev, la danzatrice statunitense Loïe Fuller (musa di Toulouse-Lautrec), oppure gli spettacoli futuristici di Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956) così come sette dipinti di Amedeo Modigliani, esposti per un mese nel foyer dopo che, nel 1928, erano entrati nella collezione Gualino.

Considerazioni sull’allestimento, critiche, plausi e conclusioni
Le sale della mostra provano a ricreare idealmente gli ambienti dove un tempo le opere della collezione di Gualino erano sistemate, come ad esempio la villa di Cereseto Monferrato, cercando quindi di evocare l’antica aura e quindi il primigenio contesto espositivo. Alle buone intenzioni delle curatrici tuttavia non fa seguito una oggettiva chiarezza espositiva che viene continuamente inframmezzata e forse disturbata dalla grande eterogeneità della collezione stessa. Alle opere antiche sono interposte quelle contemporanee nonché quelle di carattere esotico come alcuni pezzi di arte orientale e asiatica. Sembra che non ci sia un reale filo conduttore se non quello dell’evocazione storica, che tuttavia viene tradita dal fatto che gli ambienti non rispecchiano esattamente quelli delle dimore dov’era un tempo sistemata la collezione Gualino, lasciando quindi libero arbitrio alla curatela. Se da una parte tutto ciò disorienta il visitatore, almeno per noi è stato così, dall’altra questa constante tensione evocativa, mista a scelte arbitrarie, mantiene alta l’allerta e permette quindi di cogliere in maniera, tutto sommato, piacevole l’esposizione e i gusti “schizofrenici” di Riccardo Gaulino, di sua moglie e anche dell’ingombrante Venturi junior. Anche dal punto di vista dell’illuminazione si poteva fare meglio, infatti in queste sale così piene di oggetti, non sempre tutte le opere risultano efficacemente illuminate adeguatamente e in alcuni casi compaiono i soliti e fastidiosi riverberi luminosi, in altri invece le opere permangono in una sorta di ombra perenne quasi che le si volesse eclissare. Ma la nota più dolente spetta al catalogo che è il grande assente della mostra. Un’esposizione come questa non avrebbe dovuto essere aperta senza che il catalogo delle opere fosse pronto e a disposizione dei visitatori. In questo caso più di altri, il catalogo di corredo all’esposizione avrebbe aiutato nel districarsi nel marasma di autori, collezionisti e vicende che la sola mostra non può restituire a pieno né in maniera approfondita, nonostante il bel video iniziale. A chiusura della mostra, imbarazzati addetti al bookshop rispondono che l’acquisto del catalogo si può effettuare via mail contattando direttamente la casa editrice che spedirà il volume direttamente a casa dell’interessato; tuttavia anche una volta contattata la casa editrice si resta in attesa di una risposta che ahimè non ci è ancora giunta, nonostante manchino poche settimane alla fine della mostra. Imbarazzante! Ciò ha contribuito a chiaroscurare una mostra che tutto sommato ci è piaciuta e che porta in sé il peso del lavoro scientifico di chi l’ha curata.

Per concludere con più positività, si può in ultima analisi affermare che Riccardo Gualino è stato sicuramente un genio, capace d’investire tanto nei settori più redditizi della sua epoca, e vantaggiosi nei riguardi dell’Italia, quanto nell’intelligenza e nel talento degli artisti che la stessa aveva saputo generare. Una sorta di genio troppo spesso sottovalutata e che oggi, a ben vedere, sembra persino caduta in disuso, consistente infatti nell’unire abilità imprenditoriale e sviluppo della cultura, sapendo che un paese economicamente florido è cieco da una parte se, allo stesso tempo, gli mancano prosperità artistica e dinamismo intellettuale.
Marco Audisio, Chiara Franchi e Niccolò Iacometti
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