Il bar sotto il mare e l’arte di raccontare l’animo umano con leggerezza, empatia e ironia

«Puoi alzarti molto presto all’alba, ma il tuo destino si è alzato un’ora prima di te».
(Proverbio africano)

Inspiegabilmente felice, una notte, passeggi sul lungomare di Brigantes, senza prestare particolare attenzione al vecchio che ti cammina davanti. Ad un certo punto però l’arzillo signore decide di immergersi e scomparire fra le onde. Che fare? Cerchi di fermarlo, lo segui, ti tuffi anche tu, perché, bhe, perché è l’unica cosa che ti viene in mente di fare nell’agitazione, perché sei una brava persona e devi aiutare quello sconosciuto, ecco! Sai nuotare, dovresti cavartela, il destino qui non c’entra proprio niente…

«Non so se mi crederete. Passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono, e l’altra metà a credere in ciò che altri deridono».

Ti sei tuffato, sei nell’acqua gelida. In pochi secondi apri gli occhi, scruti il fondale ed eccolo lì, il vecchietto cammina (proprio così!)sulla fanghiglia, spedito, verso quello che ha tutta l’aria di essere un locale. Un bar, per la precisione. Un bar non sul, ma nel mare, sottoil mare, con una porta che si apre e con l’uomo che credevi di dover salvare che, sull’uscio dell’edificio, si volta, ti guarda e ti fa cenno di entrare con lui.
L’ambiente è caldo, frequentato da altri avventori e, quando fai la tua comparsa il barista ti accoglie cordialmente, pregandoti di sederti con tutti loro e ascoltarli: quella sera, infatti, ognuno dei presenti racconterà una storia.

Il bar sotto il mare è una raccolta di racconti pubblicata da Stefano Benni nel 1987 per la collana I Narratori di Feltrinelli. Escludendo il Prologo, le storie contenute nel libro sono 20 più 1. L’ultimo racconto, infatti, potremmo considerarlo come “comprensivo” di tutto ciò che abbiamo letto fino a quel momento, della raccolta stessa, insomma. È una struttura circolare quella che Benni sceglie di dare al suo lavoro: così come nel Prologo la vicenda del narratore raccontata in prima persona da questo ci introduce a tutti gli altri racconti, allo stesso modo a raccoglierli e riunirli in una sola voce è l’ultima storia, Finale: racconto dell’ospite. Qui l’«ospite» altri non è il narratore iniziale del Prologo e il «racconto» coincide con il contenuto del libro che in quell’esatto momento finiamo di leggere:

A questo punto nel bar sotto il mare tutti si voltarono a guardarmi.
– Siamo stati lieti di averla tra noi – disse il vecchio con la gardenia – e ci auguriamo che lei non vorrà venire meno alla nostra consuetudine: chiunque entra nel bar sotto il mare deve raccontare una storia […].
Li guardai uno per uno. Sembrava che si aspettassero qualcosa da me.
– Ho capito – dissi all’improvviso. E iniziai a raccontare:
“Camminavo una notte in riva al mare di Brigantes, dove le case sembrano navi affondate, immerse nella nebbia…”

Questo è solo uno di quelli che a mio parere sono degli espedienti che Benni ha messo in atto per favorire una ricezione attiva della materia del libro. Noi infatti non ci troviamo davanti una semplice trama da assimilare via via che procediamo nella lettura, passivamente. Siamo invece più volte chiamati a collegare tasselli distinti presenti nelle pagine e non solo. La necessità di compiere un’operazione di questo genere era resa evidente dall’immagine di copertina scelta per la prima edizione del 1987. Come possiamo notare dalla Figura 1, sotto il titolo del libro sono ritratti gli avventori presenti quella sera nel bar. Lo stesso disegno, spogliato di qualsiasi particolare e formato solo di sagome numerate si ritrova nell’occhiello presente subito dopo. Si tratta di un gruppo eterogeneo, formato da individui di cui difficilmente si può conoscere l’identità precisa. Sebbene infatti alcuni di questi abbiano le fattezze di attori famosi e dive, quando andiamo a controllare quale nome corrisponde alla sagoma numerata del personaggio che ci incuriosisce, tutte le nostre supposizioni crollano. Vicino ad ogni numero infatti non è riportata altro che una vaghissima descrizione. Accade così che quello che pensiamo sia John Belushi ci venga presentato solo come «15. L’uomo con gli occhiali neri» e la bellissima donna che ha tutta l’aria di essere Marilyn Monroe sia in realtà semplicemente «5. La bionda». Per confondere ancora di più le acque, poi, ogni storia è presentato come “racconto di…” qualcuno dei presenti e preceduto da una breve citazione proveniente da contesti letterari, musicali, cinematografici o culturali più disparati. Ecco, proprio il racconto dell’uomo con gli occhiali neri è introdotto dalla famosissima «Quando il gioco diventa duro i duri incominciano a giocare di John Belushi». Si tratta forse di un caso?

Figura 3.jpg
Fig. 3 fotogramma dal film The Blues Brothers. A sinistra John Belushi.

Tutto il tono della raccolta è comico e anche lo spunto più banale viene sfruttato a dovere per costruire le storie. Come non citare, a questo proposito, Il Racconto della pulce del cane nero. Racconto breve:

C’era un uomo che non riusciva mai a terminare le cose che iniziava. Capì che non poteva andare avanti così. Perciò una mattina si alzò e disse:
“Ho preso una decisione: d’ora in poi tutto quello che inizie…”

Anche prescindendo dall’ispirazione che sta dietro ad ogni capitolo del libro, ritroviamo comunque una leggerezza di fondo nel raccontare drammi umani come amori non ricambiati, morti, improvvise carestie e così via. Non sfugge poi il ricorso alla parodia: ne Il racconto del secondo uomo col cappello. Achille ed Ettore, ad esempio, i due protagonisti con nomi omerici si sfidano a duello, proprio come nell’Iliade, ma, questa volta, oggetto della discordia è una bicicletta e le armi sfoggiate nel combattimento non sono altro che insulti.
Anche nello stile non si risparmiano sperimentazioni. Se si ha familiarità con lo stile americano, infatti, non può sfuggire come Californian Crawl, con la sua sintassi spezzata e il suo lessico spoglio e diretto sia ricalcato su un modello di scrittura tipico di oltreoceano.

Figura 4.jpg
Fig. 4 L’azione in Californian Crawl si svolge quasi interamente intorno alla piscina di una ricca villa californiana.

Il bar sotto il mare è insomma una raccolta eterogenea tanto quanto le voci che la compongono con i loro racconti. È un libro consolatorio, dove anche le verità più amare sono raccontate con la giusta dose di saggezza, empatia e soprattutto ironia. Aprirlo casualmente e leggere la prima storia che capita sotto gli occhi per me è sempre stato un piacere agrodolce, come la risata amara di quando capiamo il nostro stato d’animo e lo mettiamo in prospettiva rispetto a tutto ciò che nel frattempo ci accade. Più che consigliarne la lettura, ne consiglio una continua rilettura, anche disordinata: non è detto infatti che le parole di cui abbiamo più bisogno non siano proprio quelle che, una sera, il nostro destino ci faccia trovare nel racconto che ci si apre davanti.

Federica Rossi

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