Un uomo solo di Isherwood è un libro di poche pagine, 148 per la precisione, che racconta una giornata della vita di un uomo solo appunto, un professore universitario, non più giovane, che da poco ha perso il suo compagno in un incidente d’auto. In un così breve spazio l’autore riesce ad esprimere una gamma molto ampia di emozioni e a toccare temi diversi tra di loro, che tengono il lettore incollato alla pagina e con la voglia di sapere dove il racconto stia andando a parare.
Il nostro protagonista si chiama George, vive in California, ormai solo nella sua casa fuori città, ancorato alla sua routine, alla sua quotidianità. La prima scena che Isherwood descrive sulla pagina è il risveglio di George e con questo passo l’autore riesce a creare un Incipit d’effetto:
“Il risveglio comincia con due parole, sono e ora. Poi ciò che si è svegliato resta disteso un momento a fissare il soffitto, e se stesso, fino a riconoscere Io, e a dedurne Io sono ora. Qui viene dopo, ed è, almeno in negativo, rassicurante; poiché stamattina è qui che ci si aspettava di essere; come dire a casa.
Ma ora non è semplicemente ora. Ora è anche un freddo promemoria; un’intera giornata più di ieri, un anno più dell’anno scorso. Ogni ora ha un’etichetta con una data, che rende obsoleti tutti gli ora passati, finché prima o poi, forse – no, non forse, di sicuro – succederà.
La paura contorce il nervo vago. Un malsano ritrarsi da ciò che, da qualche parte là fuori, ci sta aspettando.
Ma intanto la corteccia, questo severo controllore, ha preso il suo posto ai comandi e li ha verificati uno per uno; le gambe si stirano, la parte inferiore della schiena si inarca, le dita si tendono e si flettono. E a quel punto l’intero sistema riceve il primo ordine del giorno: IN PIEDI.”

La perdita di Jim, il compagno di George, non viene mai affrontata direttamente, solo in alcuni momenti del libro si fa accenno distrattamente a questo incidente stradale che ha interrotto troppo presto la sua vita. Il dolore per la perdita del compagno non è indagato direttamente ma questa sensazione si ripercuote su tutta la vita di George che sembra non avere più un riferimento: il nostro protagonista pare non sapere più chi sia, quale sia il suo posto nella società, che cosa può attendersi ancora dalla vita, in che modo affrontare il susseguirsi dei giorni in modo non apatico.
George si sveglia alla mattina, fa colazione, si prepara per andare in università a tenere la sua lezione in modo quasi meccanico e nel frattempo ricorda quando Jim e lui si erano trasferiti in quel quartiere e come avevano scelto la loro casa e riflette su alcuni comportamenti dei suoi vicini che nascondono qualche segnale di bigottismo.

George, sebbene sembri imprigionato da questa routine soffocante e meccanizzata, durante la sua giornata ha dei momenti che lo fanno sentire vivo: la vita gli offre degli stimoli, degli incontri, delle conversazioni, dei sentimenti che rischiarano il suo stato di obnubilamento.
George è felice di recarsi a lezione, di sentirsi importante quando entra in aula e di incutere un certo rispetto; è curioso di sapere che cosa pensino di lui i suoi studenti ed è disposto a controllare ogni sua parola e ogni suo gesto pur di attirare la loro attenzione.
La vita nel campus è fermentante e viva, vedere questi giovani, disposti ad apprendere e ad affrontare anche spericolatamente ciò che capita loro, permette a George di riflettere e di sorridere.
Persino i corpi giovani e pieni di vitalità di questi giovani risvegliano in lui la passione e la voglia di uscire dal grigiore che lo possiede.
Questo libro dimostra che bisogna saper cogliere gli spunti positivi che una sola giornata offre e viverli. Quando Charley, un’amica di lunga data, lo chiama o lo invita a cena, George non vuole andare e si inventa una scusa, solo in seguito deciderà di andarla a trovare piuttosto che passare la sera da solo. E da questa occasione nascerà un bel momento di confronto. George capisce che Charley lo rende felice, parlare con lei lo fa stare meglio. Sì, anche gli amici hanno dei difetti e a volte possono essere insopportabili, ma il sentimento di affetto che George prova per Charley va oltre questi difetti.

Questa lunga giornata nella vita del professore finisce con l’incontro con Kenny, uno degli studenti di George, in un bar vicino alla spiaggia. La conversazione tra Kenny e George è interessante e ricca di spunti.
«Dì qualcosa» ordina a Kenny.
«Devo?».
«Sì».
«Che posso dire?».
«Qualunque cosa. Qualunque cosa ti sembri importante, in questo preciso momento».
«Questo è il guaio. Non so cosa è importante e cosa non lo è. Mi sento la testa piena di sciocchezze insignificanti – insignificanti per me, beninteso».
[…]
«Riguarda l’esperienza. Continuano a ripeterci che quando saremo più grandi avremo esperienza, come se fosse chissà quale conquista. Lei cosa ne pensa, professore? L’esperienza serve davvero?».
«Che tipo di esperienza?».
«Be’, posti in cui si è stati, gente che si è incontrata. Situazioni già vissute, così che quando si ripresentano sai come affrontarle. Tutte quelle scemenze che con gli anni dovrebbero farti venire saggio».
«Lascia che ti dica una cosa, Kenny. Non posso parlare per gli altri, ma per quel che mi riguarda nulla mi ha fatto diventare saggio. Certo, siccome alcune cose mi sono già capitate, quando si ripresentano mi dico: ci risiamo. Ma non mi pare di nessun aiuto. Secondo me, io semmai sono diventato più stupido, anzi divento sempre più stupido: è un fatto».
[…]
«Che mi pigli un colpo… Allora l’esperienza è inutile? Che uno ce l’abbia oppure no non cambia nulla?».
«No, non sto dicendo questo. Dico solo che uno non se ne fa niente. Ma se non ci prova nemmeno… se si limita a sapere che esiste, e che la si possiede… allora può essere meravigliosa…».
E con questo incontro, con questo faccia a faccia con la vitalità e con la giovinezza, che fa fare cose impulsive anche a George, si chiude la giornata del protagonista di Un uomo solo.
Quello di Isherwood è un libro breve ma che porta tanto all’attenzione dei lettori: i pensieri di George sono vulcanici quasi, sempre in movimento e le sue parole sempre intelligenti. Proprio tra questi pensieri e tra queste parole il lettore si perde fino ad arrivare alla conclusione, che forse è l’unica cosa che non mi ha convinto di questo romanzo perché la trovo un po’ in contrasto con il messaggio del libro, ma non vi dico altro per non rovinarvi il piacere di leggerla da voi.
Alessandro Audisio
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