Pierre e Jean è un romanzo che Guy de Maupassant scrive di getto tra il 1887 e il 1888 in soli due mesi di elaborazione e che viene considerato dalla critica una delle prove migliori dello scrittore francese.
Si tratta di un romanzo breve che conta poco meno di 150 pagine, ma che riesce a sviluppare una vicenda che contiene tutto quello che un romanzo deve contenere, in primo luogo una situazione di contrasto tra quelli che sono i protagonisti della narrazione, i due fratelli Roland, e riesce ad indagare con precisione ed esaustività i sentimenti di una famiglia piccolo borghese, i cui equilibri vengono sconvolti dall’arrivo di una eredità inaspettata.

Questo romanzo ha attirato la mia attenzione anche perché era stato inserito da Italo Calvino nella collana Centopagine, da lui diretta dal 1971 al 1985 per la casa editrice Einaudi. Calvino si poneva come obbiettivo la valorizzazione del romanzo, non nelle sue forme più estese e conosciute, ma proponendo romanzi brevi, scelti tra i titoli meno noti degli autori più importanti per la storia del genere. Il romanzo, infatti, in quegli anni stava subendo dei duri attacchi da parte degli scrittori della Neoavanguardia e Calvino si oppone a queste nuove tendenze mettendo in primo piano la narrazione romanzesca, che può soddisfare quel costante bisogno di storie che è insito nella natura umana. Calvino sceglie romanzi brevi perché sono quelle narrazioni che possono essere lette in ogni momento della giornata, anche quando si è presi dai molti impegni e pubblica per la sua collana 77 titoli tra cui: La sonata di Kreutzer di Tolstoj, Le notti bianche di Dostoevskij, Daisy Miller di James, Cuore di tenebra di Conrad, La monaca di Diderot e tanti altri.

È una collana che raccoglie dei veri e propri gioielli della letteratura mondiale e che permette a volte di accostarsi ai grandi autori dell’ottocento e del novecento da una prospettiva defilata, ma sempre interessante. Calvino non si limita a selezionare i titoli per la sua collana secondo il proprio gusto personale, ma cura nei minimi dettagli il progetto editoriale corredando i testi con delle note introduttive che mettono in luce quelli che sono gli aspetti che più lo hanno colpito e che lo hanno spinto a sceglierli. Inoltre, lo scrittore de Il barone rampante si occupa della stesura della quarta di copertina di molti dei romanzi della collana, a testimonianza di un grande impegno intellettuale e critico da parte dello scrittore anche nelle sue scelte editoriali.
Attraverso le introduzioni scritte da Calvino, sempre molto acute, si riescono a cogliere aspetti delle opere che magari potrebbero passare in secondo piano; e inoltre questi scritti offrono a volte anche spunti interessanti di riflessione per l’interpretazione della produzione romanzesca dello stesso Calvino in quel periodo.
Queste sono testimonianze di un modo di fare editoria che probabilmente non vedremo più, ma che insegnano ancora qualcosa ai nostri giorni. Sicuramente sceglierò altri titoli di questa collana per le mie letture.

Ma torniamo al romanzo di Maupassant.
Pierre e Jean sono due fratelli che fanno parte di una famiglia borghese, figli di un gioielliere di Parigi, ormai in pensione, che, per poter smettere di lavorare e godersi i suoi anni di riposo, ha rinunciato a guadagni ben più remunerativi che avrebbe potuto mettere da parte se avesse continuato a lavorare. La narrazione si apre con una tranquilla gita in barca: il padre è ansioso di pescare qualcosa e la moglie si gode la gita in famiglia, ma è preoccupata per le tensioni che crescono sempre di più tra i due figli, che ultimamente si stavano contendendo la stessa donna, la signora Rosémilly, anch’ella presente sulla barca. Durante la narrazione la tensione tra Pierre e Jean cresce sempre di più e tutto si acuisce in seguito alla notizia che un conoscente e caro amico dei loro genitori ha lasciato una cospicua eredità, tutta in favore del più giovane dei fratelli, Jean.
All’inizio Pierre è invidioso della sfacciata fortuna del fratello, ma non è sconvolto in modo irreparabile, ma alcune persone che lo conoscono iniziano a istillare il dubbio in lui: perché un amico di famiglia, che aveva rapporti di affetto sia con Pierre sia con Jean, ha lasciato tutti i suoi averi solo a uno dei due? Perché Jean è così diverso fisicamente dal fratello Pierre?
Il dubbio che Jean sia figlio dell’improvviso benefattore si impadronisce letteralmente di Pierre che non riesce più a trovare pace. Questo tarlo insopportabile inizia a logorarlo e non gli permette nemmeno più di guardare con gli stessi occhi sua madre.

All’inizio Pierre:
“Sentiva male in qualche parte, senza sapere dove; portava in sé un piccolo punto addosso, uno di quegli indolenzimenti quasi insensibili che non si sanno localizzare, ma che impacciano, irritano, rendono tristi e depressi; una sofferenza ignota e lieve. Qualcosa come un seme di un dolore.”
Ma questa sensazione di spaesamento e di perdita delle certezze, dei propri punti di riferimento continua ad acuirsi nel corso del romanzo:
“Pierre camminava in mezzo a quella gente, più smarrito, immerso nel suo torturante pensiero, così separato dagli altri di quanto non sarebbe stato se l’avessero gettato in mare dal ponte di una nave a cento leghe al largo. Sfiorava quelle persone, udiva, senza ascoltare, qualche frase e vedeva, senza guardare, gli uomini che parlavano alle donne e le donne che sorridevano agli uomini.”
Certamente Pierre è il vero protagonista del romanzo; l’autore riesce a descrivere in modo molto preciso i suoi pensieri e i suoi sentimenti, riesce a trasmettere questo senso di estraniamento da ciò che lo circonda. Pierre vaga per il piccolo paese di Le Havre in cerca di svago, di consolazione, di risposte, di un perché. Questa analisi psicologica così minuta e questo continuo vagare fisico e mentale mi ha ricordato il modo di narrare di Dostoevskij, in particolar modo in Delitto e castigo, sicuro segno di trovarsi al cospetto di un grande autore.

Jean è meno presente nella narrazione, non è descritto nello stesso modo con cui è tratteggiato il fratello maggiore, ma anche questo personaggio anche nelle poche parole che gli vengono attribuite nel romanzo ha una sua profondità.
L’altra grande protagonista è la madre dei due fratelli, Louise, la cui credibilità viene messa in dubbio da Pierre e che vede la sua famiglia cadere a pezzi irrimediabilmente. Pierre non si fida più della madre e gli diventa insopportabile vivere sotto lo stesso tetto a stretto contatto, non sopporta l’idea di dover rivalutare completamente la sua opinione su una delle persone che ogni essere umano ha più cara al mondo.
Maupassant è riuscito a creare un perfetto gioco di tensioni e di equilibri precari, è riuscito in uno spazio ridotto di pagine a scrivere un romanzo che contiene l’essenza della narrazione romanzesca: un libro dall’intreccio ben congeniato e caratterizzato da un’importante analisi psicologica e da forti tensioni oppositive.
Pierre e Jean è un romanzo tutto da scoprire e che vi farà conoscere da una prospettiva particolare un grande autore francese come Guy de Maupassant.
Alessandro Audisio
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