“La storia dei personaggi di Tolstòj è sempre la storia della scoperta e della conoscenza d’una realtà: d’una realtà che si rivela ricca e violenta e impervia e complessa, dolente e generosa e sanguinosa come gli occhi della fantasia non avevano saputo immaginarla. Si potrà obbiettare che la storia d’un personaggio di romanzo è sempre questo e niente altro che questo: scoperta e conoscenza della realtà. Ma nei romanzi di Tolstòj la scoperta e la conoscenza si svolge e cresce quasi sotto i nostri occhi, in un ritmo solenne e festoso; e ogni romanzo, ogni destino d’ogni personaggio si chiude in una festosa e solenne celebrazione della realtà.”
Natalia Ginzburg
Così inizia l’introduzione che Natalia Ginzburg scrisse per Resurrezione, l’ultimo dei grandi romanzi dello scrittore russo Lev Tolstòj. L’autrice era da sempre una grande amante della letteratura russa, Cechov era uno dei suoi numi, e inoltre era particolarmente legata a Tolstòj perché il marito Leone Ginzburg aveva curato l’edizione di Guerra e Pace, uscita per l’Einaudi nel 1941, e aveva tradotto Anna Karenina, sempre per l’Einaudi, altro capolavoro dello scrittore russo.

La Ginzburg coglie subito quello che è il centro focale di Resurrezione, ovvero la scoperta della realtà da parte del protagonista del romanzo, il principe Dmitrij Nechljudov, il quale nel corso della narrazione scoprirà la meschinità degli uomini di potere, che sono corrotti, dediti al vizio, spietati, alla ricerca solamente del proprio guadagno, e all’opposto imparerà a conoscere un’umanità degradata, fatta da persone umili, da contadini che non sanno come tirare avanti; da carcerati condannati ingiustamente che rischiano di non vedere mai più la luce del giorno.
“Per quanto gli uomini, raccolti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, si studiassero di deturpare la terra su cui s’accalcavano; per quanto la ricoprissero di sassi perché non vi crescesse nulla; per quanto strappassero ogni filo d’erba che riusciva a spuntare fra gli interstizi; per quanto affumicassero l’aria col carbone minerale e con la nafta; per quanto avessero reciso gli alberi e cacciato via animali e uccelli, la primavera è primavera perfino in città. Il sole riscaldava, l’erba ravvivata cresceva e verdeggiava dovunque non l’avessero estirpata, e non solo nei viali ma anche fra le lastre di pietra del selciato; le betulle, i pioppi, i cerasi allargavano le loro foglie attaccaticce e odorose, i tigli gonfiavano le gemme prossime a sbocciare; le cornacchie, i passeri, i colombi preparavano gioiosamente i nidi, come usano in primavera, e le mosche ronzavano sui muri intiepiditi dal sole. Piante, uccelli, insetti, bambini, tutti erano allegri. Ma gli uomini, quelli grandi, quelli adulti, non cessavano di ingannarsi e di tormentarsi a vicenda. Gli uomini giudicavano sacro e importante non già questo mattino di primavera, non questa bellezza del mondo di Dio donata a tutti gli esseri per il loro bene, bellezza che disponeva l’animo alla pace, alla concordia e all’amore, ma giudicavano sacro e importante quel che avevano escogitato per spadroneggiare gli uni sugli altri.”
Questo è l’incipit di Resurrezione, un inizio in grande stile, bellissimo, che ci fa capire subito che siamo di fronte a un capolavoro, a un romanzo che ci parla direttamente, che ancora nel 2020 ha moltissimo da dire e da insegnare. Tralasciando il fatto che questa descrizione della natura, che non si ferma nemmeno di fronte alle brutture e ai tentativi dell’uomo di rovinarla, mi ha ricordato la situazione nella quale ci troviamo noi tutti ormai da un mese (la primavera, seppur con qualche interruzione, è arrivata anche qui, ed è strano vedere le belle giornate e le piante in fiore quando tutta l’umanità è chiusa in casa alle prese con un terribile virus), già all’interno di queste prime righe si può trovare, a mio avviso, tutto il senso del romanzo.

Tolstòj contrappone gli uomini, almeno quelli adulti, che pensano solo a come prevaricare gli uni sugli altri, alla natura che cresce rigogliosa e senza sosta, in armonia. Gli uomini sono egoisti, hanno perso la loro umanità, la loro compassione, non sanno più guardare agli altri come a delle persone che possono avere bisogno di aiuto: gli altri devono essere sopraffatti. Anzi questi sono i nobili, coloro che appartengono alle classi dirigenti, all’amministrazione: sono i giudici, i governatori, i generali, gli avvocati e gli amministratori vari che vengono presentati nelle pagine del romanzo.
All’opposto vengono descritti gli esseri umani più umili: i contadini, che faticano a vivere perché sfruttati fino all’osso; i detenuti, che come arriverà a sostenere Nechljudov per la maggior parte sono innocenti, oppure non avendo mai conosciuto la giustizia e il bene non sono poi così tanto da biasimare se hanno agito male; e tutti i reietti della società come le prostitute.
Questa immagine solare della primavera che avanza fa capire che forse qualcosa di buono si può ancora fare in questa umanità e così sarà, come arriva a capire il protagonista alla fine del romanzo.
Il principe Nechljudov, dopo una giovinezza durante la quale aveva sviluppato tutte le buone qualità che un giovane uomo dovrebbe avere e molti nobili ideali, si lascia corrompere dalle usanze della sua classe sociale e quando inizia la sua carriera militare comincia a farsi prendere dal vizio: beve, gioca d’azzardo, consumando una quantità enorme di denaro; vede l’amore come solo qualcosa di sensuale senza pensare ai sentimenti, è entusiasmato dalla guerra come mezzo di distruzione e di morte. Quello che viene messo in evidenza è che durante la sua giovinezza veniva rimproverato, ad esempio dalle sue zie, per i suoi ideali troppo liberali, mentre i suoi atteggiamenti da scialacquatore e seduttore non vengono biasimati perché sono la normalità per l’aristocrazia russa.

Proprio durante un soggiorno dalle sue zie, Nechljudov, ancora giovane, conosce Kàtjuša Màslova, una ragazza che le zie del principe avevano accolto a casa loro dopo essere rimasta orfana e che era a metà tra una dama di compagnia e una serva delle due signore. Nechljudov si innamora della bella Kàtjuša, di un amore ricco di buoni sentimenti e di rispetto, ma durante una seconda visita alla casa delle zie, prima di partire per il suo arruolamento nell’esercito, cede alla tentazione e seduce la Màslova. Il giorno dopo il principe parte e lascia Kàtjuša di fretta, dandole cento rubli.
La ragazza rimane incinta e proprio per questo motivo viene cacciata dalle zie del protagonista: da questo momento, dopo aver perso il bambino, inizia una spirale negativa per Kàtjuša che verrà spinta sempre più in basso fino a diventare una prostituta, come se quei cento rubli che le erano stati quasi gettati addosso fossero un segno premonitore.
Nechljudov non ha più notizie della Màslova e non si interessa più di tanto della sua sorte, ma un giorno, chiamato a prendere parte come giurato ad un processo, la vede accusata di aver ucciso un ricco mercante con la complicità di altre due persone. Proprio questo incontro fa nascere in Dmitrij il senso di colpa, perché era stato lui a disonorare quella giovane, ad averla abbandonata anche se per lei aveva provato dei sentimenti di vero amore.
Kàtjuša è accusata ingiustamente, è innocente, e Nechljudov lo sa per certo perché l’animo di quella che era una dolce e pura ragazza non poteva essersi spinto fino a quel punto, ma il principe è scosso e confuso e durante la decisione della giuria non riesce a prendere la parola con fermezza: i giurati non esprimono con la giusta formula giuridica la loro convinzione dell’innocenza della Màslova e per questo viene condannata dal tribunale ai lavori forzati in Siberia.
Dmitrij all’inizio è solo preso dall’incertezza, si domanda se il suo modo di vivere sia giusto, si domanda se come ha sempre agito sia il modo più giusto per condurre la sua esistenza: una voce dentro di sé lo inizia a far ragionare, è arrivato il momento di cambiare, ma un’altra parte di lui è troppo radicata in quelle abitudini malsane che caratterizzano l’intera società russa.
Tòlstoj racconta nelle pagine del suo romanzo proprio il percorso attraverso il quale Nechljudov arriverà a riscattare se stesso e proverà a cambiare vita.
Il nostro protagonista si sente in dovere di fare qualcosa per la Màslova, deve fare arrivare la sua causa in cassazione e chiedere anche la grazia se necessario, deve rimediare assolutamente a quello sbaglio che ha commesso una notte di tanti anni prima.
Dmitrij inizia a frequentare il mondo delle carceri dove si reca per parlare con Kàtjuša e qui entra in contatto con un’umanità del tutto diversa rispetto a quella a cui era abituato, conosce delle persone che hanno perso la speranza, che sono vessate da un sistema ingiusto, persone che non hanno mai conosciuto la giustizia perché nessuno l’ha mai insegnata loro, persone che, pur nella loro povertà e miserabilità, hanno ancora una dignità.

Sempre a causa della frequentazione delle prigioni Nechljudov deve avere a che fare con una variegata serie di amministratori, di generali, di governanti, di procuratori e avvocati e qui Tòlstoj ritrae una società ipocrita, che pensa solo a se stessa e ai propri interessi, che ha perso la sua umanità. Lo scrittore russo dà sfogo a pieni polmoni alla sua critica nei confronti della nobiltà che già era presente nei sui capolavori precedenti.
Tòlstoj dimostra tutta la sua bravura di scrittore nella creazione dei ritratti dei vari personaggi che il suo protagonista incontra, personaggi che prendono vita tra le pagine e che sono palpabili dai lettori di ogni tempo.
Nechljudov impara a conoscere molti detenuti e si dà da fare per aiutarli, ascoltando le loro richieste e portando la loro voce a quei funzionari ipocriti che tanto li disprezzano ma che forse si meriterebbero di più di essere in galera.
Dmitrij arriva anche a ripensare il suo ruolo di latifondista e decide di concedere le proprie terre ai contadini che da sempre le hanno lavorate senza però trarne profitto: man mano che si reca nei vari paesi in cui possiede delle tenute, convoca i contadini ed espone loro la sua intenzione di concedergli l’usufrutto della terra, ma questi fanno fatica a comprendere, pensando che ci sia un trucco.
Il nostro protagonista nel corso del romanzo cambia completamente la sua vita e il suo modo di pensare e di vedere le cose, anche se a volte il dubbio e la voglia di tornare l’essere egoista di un tempo, a volte, lo assalgono.
Ma della trama del libro vi ho già detto troppo e lascio a voi il piacere di scoprire cosa succede ai protagonisti della narrazione: riuscirà Nechljudov a salvare la Màslova, ripagando parte del proprio debito nei suoi confronti?
Resurrezione è una sorta di testamento spirituale di Tòlstoj, il quale proprio come il protagonista del suo ultimo grande romanzo aveva trasformato radicalmente la sua vita, facendo dell’aiuto degli altri uno dei suoi doveri principali; è un romanzo grandioso, ricco di umanità e di sentimenti universali che ancora dobbiamo imparare.
Alessandro Audisio
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