Alle origini della pittura moderna: Giovanni Testori racconta Gustave Courbet

Torino, dicembre 1988: nelle sale della Mole Antonelliana viene inaugurata la mostra “Courbet e l’Informale”, incentrata, come suggerisce il titolo, da un lato sulla nascita del realismo francese e, dall’altro, sui più tardi sviluppi della pittura italiana del secondo dopoguerra. L’ideatore dell’esposizione è Giovanni Testori (Novate Milanese, 1923 – Milano, 1993): ideatore, appunto, più che semplice curatore, poiché tale evento non si limitava ad essere una rassegna storico-artistica, ma il suo rilievo era assai più ampio. Testori intendeva, infatti, argomentare visivamente una tesi da lui elaborata negli anni precedenti, riguardante l’interpretazione e i legami esistenti fra i movimenti del realismo e dell’Informale, apparentemente separati da un’incolmabile distanza geografica, temporale e stilistica. La lettura di Testori non si sviluppava in senso meramente tecnico o critico, ma portava con sé dei risvolti assai più ampi, filosofici, se non addirittura esistenziali. Così scriveva, infatti, nel saggio introduttivo del catalogo:

“Esiste, nell’arte contemporanea, una presenza della “realtà-materia”, così densa, così greve, così ingombrante […] da indurre a pensare che sia rintracciabile una sorta di gran filo, o gran vena “materica”, che percorre l’intera vicenda di quell’arte. Questa onnipresenza […] lascia supporre che il nucleo materico debba essere considerato come uno dei chiodi fissi; anzi, come uno dei chiodi “infissi” nelle tormentate palme dell’avventura artistica del nostro secolo”.

Testori, quindi, aveva individuato una sorta di filo conduttore che attraversa la storia dell’arte Otto e Novecentesca, la quale, nonostante la varietà delle scuole, delle correnti e dei linguaggi, appare, secondo tale lettura, unificata dalla presenza di una concreta “vena materica”, ossia di una concezione della pittura concreta, corposa, al limite dell’espressionismo.
L’argomentazione proseguiva poi in questo modo:

“Ora è proprio questo (il “chiodo fisso” della materia) assai più che la di lui tanto, forse troppo conclamata iconografia realistica, la ragione per cui Courbet può davvero chiamarsi il padre della pittura moderna”.

Dunque, Testori ravvisava l’origine della pittura moderna proprio nelle vicende artistiche di Gustave Courbet (Ornans, 1819 – La Tour-de-Peilz, 1877), offrendo in questo modo un’alternativa rispetto alla preponderante tradizione storiografica, che individuava – e individua, ancora oggi – in artisti quali gli impressionisti, in particolare Claude Monet, i veri padri del Novecento.

Figura 1[10701]
Fig. 1. Copertina del catalogo della mostra Courbet e l’Informale, (Torino, Mole Antonelliana, 15 dicembre 1988 – 19 febbraio 1989), a c. di Giovanni Testori, Milano, Fabbri, 1988.

La trattazione di Testori prendeva in esame, innanzitutto, l’esordio di Courbet, che si situa negli anni Quaranta dell’Ottocento: la produzione dell’artista è caratterizzata, in questa fase, da un consistente numero di autoritratti, che lo vedono in posa – con cipiglio romantico ed eroico – in primissimo piano, nelle vesti di violoncellista o, ancora, in compagnia del proprio cane. Dalle testimonianze dei contemporanei si evince come un tratto preponderante della personalità di Courbet fosse proprio un certo compiacimento verso sé stesso e infatti la critica del tempo era stata pressoché unanime nel leggere gli autoritratti in questa chiave. A titolo esemplificativo, riportiamo il commento del giornalista e intellettuale Théophile Gautier (Tarbes, 1811 – Neuilly, 1872), che, da sempre avverso a di Courbet, nel 1856 affermerà, riferendosi all’artista: “L’ame de Narcisse s’est arretée en lui”.

Di differente avviso è invece Testori, secondo il quale il continuo replicare, da parte di Courbet, della propria immagine in contesti differenti non è altro che il tentativo di “immergere anche la propria immagine nel murmure solenne della natura e dell’essere e così riuscire a sentirsi, a vedersi e a contemplarsi come parte del tutto”. Insomma, inserendo gli autoritratti in una prospettiva più ampia – quella del corpus completo delle opere dell’artista – l’idea che emergerebbe di Courbet è quella di un elemento integrato nell’insieme del proprio microcosmo pittorico, al pari degli animali, degli oggetti o degli elementi naturali.

Figura 2[10700]
Fig. 2. Gustave Courbet, da sinistra a destra: Autoritratto con il cane nero, 1842, Parigi, Petit Palais, Musée des Beaux Arts de la Ville de Paris; Autoritratto come violoncellista, 1847, Stoccolma, Nationalmuseum e L’uomo con la pipa (autoritratto),1847, Montpellier, Musée Fabre.

Il 1848 è un anno di svolta per Courbet: i recenti moti francesi, a cui l’artista guarda con interesse e partecipazione, lo inducono a trasformare la propria cifra stilistica e a concentrarsi su soggetti prevalentemente popolari. Il nuovo corso si concretizza innanzitutto nell’imponente Dopocena ad Ornans, concluso nel 1849, che varrà all’artista una medaglia di seconda classe e l’acquisizione da parte dello Stato francese.
Poco tempo dopo, fra il 1849 e il 1850, è la volta di Funerale ad Ornans, opera che viene definita da Testori una “enorme ed enormemente muta e straziata epopea”. Le vicende che portarono alla realizzazione del dipinto sono note: la scena riprende il primo funerale celebrato nel cimitero di Ornans – città natale di Courbet – che era recentemente stato ricostruito. Siamo di fronte ad una sorta di racconto visivo di un fatto di cronaca, dunque, e anche i numerosi personaggi che animano la grandiosa tela sono tutti realmente esistiti: fra di essi si riconoscono i membri del clero, il sindaco, alcuni parenti dell’artista. L’assoluta novità consiste nel formato della tela, che, con i suoi quasi sette metri di lunghezza, accomuna i soggetti che la popolano ai grandi eroi del mito, della storia o della religione, consegnando di fatto alla Storia un ordinario funerale in una piccola cittadina. 
Testori, fra tutte le opere realiste di Courbet, sceglie proprio il Funerale per portare avanti la propria argomentazione, esulando, come di consueto, dalla lettura predominante: secondo lui, la vera carica rivoluzionaria dell’opera non si esaurisce nelle innovazioni che abbiamo illustrato, ma si esplica piuttosto nel rendere percepibile in ogni sua parte le molecole di cui si compone. L’analisi si sviluppa su due livelli differenti: la materia a cui fa riferimento Testori è, innanzitutto, quella pittorica, concreta, che emerge nell’opera di Courbet nelle pennellate corpose ed è accentuata dall’utilizzo di una gamma cromatica neutra e terrosa. L’altro livello è trascendentale e assolutamente testoriano: il funerale di Ornans è una riflessione sul finire della vita, il disgregarsi della materia pittorica si riflette nel disgregarsi del corpo umano a cui la scena implicitamente prelude. Tali sottintesi passano tuttavia in sordina rispetto alle già imponenti novità apportate dal dipinto; “questo” scrive Testori, riferendosi alle proprie conclusioni filosofiche “non lo si dice per la cenere d’una così povera, eppure sconfinata sera”.

Figura 3[10704]
Fig. 3. Gustave Courbet, Funerale a Ornans, 1849-1850, Parigi, Musée d’Orsay.

Questa fase dell’attività di Courbet, ormai pienamente realista, raggiunge il suo apice fra il 1854 e il 1855, quando egli completa il celeberrimo Atelier del pittore.
Sebbene si tratti di un’allegoria che riassume l’attività dell’artista fino a quel momento, quindi il concetto è prevalentemente simbolico, ancora una volta i soggetti sono estremamente realistici e riconoscibili, mentre la tecnica pittorica si configura di nuovo come materica e antistituzionale: si noti, ad esempio, il fondo, appena abbozzato. L’opera, per questi motivi, sarà rifiutata all’Esposizione Universale di Parigi del 1855; secondo Testori, però, a queste ragioni di stampo prevalentemente accademico bisogna aggiungerne un’altra, psicologica: secondo la sua analisi, è probabile che il pubblico, nel proprio inconscio, rifiutasse di accogliere quelle immagini così sfrontatamente materiche a causa dell’incapacità di non riuscire a ridurle ad una linea compiuta, a un disegno.

Figura 4[10699]
Fig. 4. Gustave Courbet, L’atelier del pittore, 1854-1855, Parigi, Musée d’Orsay.

Nel corso degli anni Sessanta, si susseguono una serie di opere che permettono a Courbet di consolidare ed amplificare la sua fama. La sua produzione ruota prevalentemente attorno a dipinti di genere tradizionale – ritratti, paesaggi, scene di genere, nature morte – a cui si accompagna, tuttavia, un certo numero di prove che, sebbene destinate al collezionismo privato, destano di nuovo scandalo nell’opinione pubblica: appartengono a questo gruppo, in particolare, Donna con pappagallo, Il sonno e la controversa Origine del mondo, tutte completate nel 1866.

Figura 5[10702]
Fig. 5. Gustave Courbet, Donna con pappagallo, 1866, New York, Metropolitan Museum of Art.

Verso la fine degli anni Sessanta, la pittura di Courbet è interessata da un progressivo mutamento. I soggetti dei dipinti, infatti, si avviano verso una graduale semplificazione, mentre l’attenzione dell’artista sembra concentrarsi ormai esclusivamente sui rapporti fra colore e materia. Le opere si allontanano dall’indagine sulla realtà, dai simbolismi e dai significati più strettamente iconografici, per prendere corpo e senso quasi esclusivamente nella presenza materica della pittura.
L’emblema di questo nuovo corso è la serie del Mare in tempesta, che l’artista inizia durante un soggiorno ad Etretat, in Normandia, dove si ritira nel 1869. L’ambiente selvaggio con il quale si misura, il cielo prevalentemente tempestoso e la vicinanza al mare, gli ispirano opere a tratti inquietanti e opprimenti, complice anche il ricorrente articolarsi delle immagini su tre strisce orizzontali, occupate rispettivamente dalla spiaggia e, nelle superfici più ampie, dalle onde burrascose e dal cielo. In questa fase, abbandonati i pennelli, Courbet applica il colore sulla tela mediante l’utilizzo di una spatola o, in alcuni casi, come riferiscono dei testimoni dell’epoca, attraverso strumenti assai meno convenzionali, come i coltelli da cucina. Si è ormai giunti alla massima espressione di ciò che Testori definisce la “reductio ad primum”, cioè la riduzione dell’opera alla sua molecolarità primitiva. Come afferma inoltre lo stesso critico, riferendosi alle Marine: “Se l’immagine, se l’icona non ha più potere scatenante, cosa mai assegnerà ai quadri di Courbet la loro forza emozionale di presenze se non la materia che li compone?”

Figura 6[10703]
Fig. 6. Gustave Courbet, Mare in burrasca (L’onda), 1870, Parigi, Musée d’Orsay.

Gli anni che seguono il ritiro ad Etretat sono frenetici. Nel 1870, Courbet aderisce alla Comune di Parigi, ricevendo la carica di Presidente della Commissione delle arti; una volta caduto il governo, temendo di essere arrestato, si reca in esilio volontario in Svizzera.
Lontano dalla Francia e dai maggiori circuiti culturali, l’artista si dedica con crescente discontinuità alla pittura: possiamo riferire a quest’ultima fase l’opera La cascade de la Pissouse, realizzata nel 1876. L’anno successivo un’asta pubblica decreta lo smembramento della bottega di Courbet, il quale morirà di lì a poco, presso La Tour-de-Peliz.
Attraverso i nostri articoli cerchiamo generalmente di portare alla luce le vicende di artisti poco noti, magari dimenticati dalla storia, e lo facciamo seguendo un metodo prettamente critico e filologico. L’esempio che abbiamo voluto porre alla vostra attenzione in questa sede è invece, per molti versi, opposto: costituisce la dimostrazione di come si possa narrare le vicende di un artista chiave, presente in tutti i manuali, da un punto di vista inedito e anticonvenzionale. Giovanni Testori si è distinto, nel corso della sua attività come critico e intellettuale, proprio per le sue analisi mai scontate e per aver spesso percorso sentieri poco battuti, in aperto contrasto con il pensiero dominante. É ciò che accade anche in questo caso: la sua personale lettura delle opere di Courbet e delle origini della pittura moderna ci ricorda che, al di là dei fatti oggettivi, le stesse vicende possono essere analizzate da prospettive differenti, che non si escludono a vicenda ma contribuiscono, casomai, a consegnare nuovi strumenti e più ampi orizzonti a chi si approccia allo studio di questa disciplina.

Chiara Franchi

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Blog su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: