All’inizio dell’XI secolo, in Europa, poteva accadere piuttosto frequentemente di imbattersi in gruppi di avventurieri e mercenari provenienti dal nord della Francia, i quali vagavano alla ricerca di terre da conquistare, soprattutto nell’Italia meridionale. Fra le famiglie più ambiziose vi era quella degli Altavilla, il cui capostipite, Tancredi (Coutances, 980-990 circa – 1041 circa), si era distinto per essere fra i più valorosi comandanti al servizio del duca Riccardo II di Normandia.
Due dei figli di Tancredi, Roberto – detto “il Guiscardo” (Hauteville-la-Guichard, 1015 circa – Cefalonia, 17 luglio 1085) – e Ruggero (Hauteville-la-Guichard, 1031 circa – Mileto, 22 giugno 1101), avevano contribuito a mantenere alta la reputazione della dinastia, riuscendo ad impossessarsi di alcuni territori tra Calabria e Puglia: il loro potere era stato quindi legittimato da papa Niccolò II, che nel 1059 aveva formalmente investito il Guiscardo del titolo di Duca di Puglia, Calabria e Sicilia. Quest’ultima, tuttavia, continuava ad essere sottomessa al dominio islamico, iniziato circa due secoli prima con l’invasione araba di Mazara del Vallo, che aveva spodestato il controllo dell’Impero Bizantino. La sempre maggiore frammentazione dell’isola in emirati indipendenti e, spesso, in contrasto fra loro, aveva però indotto alcune famiglie musulmane a chiedere aiuto all’esercito normanno, con l’intento di ristabilire la pace interna: fu così che ai due fratelli d’Altavilla si presentò l’occasione per invadere e assoggettare anche questo territorio al proprio dominio, che fu pressoché completato nel 1071 con l’assedio e la conquista di Palermo, anche se Noto, l’ultima, isolata roccaforte del potere arabo in Sicilia, sarebbe caduta solo nel 1091.
Il compito di instaurare un nuovo governo fu affidato a Ruggero, il quale, nonostante la brutalità che aveva caratterizzato alcuni momenti dell’invasione, decise in seguito di adottare una politica generosa nei confronti degli abitanti dell’isola, ai quali fu permesso di mantenere la propria religione e la propria lingua, di continuare a possedere le terre e, in alcuni casi, i castelli e addirittura di servire nell’esercito.
Proprio questo regime di convivenza e tolleranza avrebbe contribuito a dare vita a uno degli scenari culturali più variegati e interessanti del Medioevo occidentale: da un lato, infatti, i Normanni importarono in Sicilia un tipo di civiltà fino ad allora sconosciuta, feudale, latina e cattolica, ma Ruggero fu abbastanza lungimirante da comprendere che le altre espressioni presenti sull’isola, ovvero quella greco-orientale e quella musulmana, erano elementi da cui avrebbe potuto trarre diversi benefici e decise quindi di assorbirli nel nuovo impianto governativo. Così, ai rapporti aristocratici tipici del vassallaggio, che caratterizzavano la sua amministrazione, combinò il cerimoniale di corte bizantino, secondo il quale il sovrano era un individuo superiore, il cui potere, assoluto, derivava direttamente da Dio. Il medesimo sincretismo si rifletté nel panorama artistico: la già radicata cultura ortodossa e orientale finì per fondersi con i nuovi influssi nordeuropei e con gli stilemi propri dell’architettura islamica, dando vita a quella stagione che gli storici dell’Ottocento avrebbero in seguito definito “arabo-normanna”.
Queste tendenze trovarono probabilmente la loro massima espressione in seguito all’ascesa al potere del figlio di Ruggero, Ruggero II (Mileto, 1095 – Palermo, 1154), primo vero sovrano del Regnum Siciliae, incoronato nella cattedrale di Palermo, città eletta a capitale, il 25 dicembre 1130.
![Figura 1[13620]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/09/figura-113620.jpg?w=736)
La più significativa committenza di Ruggero II fu indubbiamente il Palazzo Reale, o Palazzo dei Normanni, la cui edificazione iniziò probabilmente già nel 1130 sui resti del Qasr, l’antico castello fatto costruire dal governatore arabo. Abbandonata agli inizi del Quattrocento e rimaneggiata poi in stile barocco e settecentesco, la sontuosa reggia conserva la propria decorazione originale unicamente nella cosiddetta Stanza di Ruggero, all’interno della Torre Gioaria, completata in realtà intorno al 1170, dopo la morte del sovrano. Su un fondo completamente oro, si stagliano coppie simmetriche di animali – leopardi, leoni, cervi, pavoni – e scene di caccia, inquadrate da una raffinata vegetazione stilizzata che riproduce alberi da frutto e palme. Sebbene tali motivi appartengano alla cultura persiana del III-IV secolo d. C., si ritiene che la realizzazione dei mosaici sia da ricondurre a maestranze bizantine, assai attive in quagli anni.
![Figura 2[13624]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/09/figura-213624.jpg?w=736)
Il vero simbolo del regno di Ruggero II e la massima espressione dell’arte arabo-normanna palermitana è tuttavia la splendida Cappella Palatina, fatta edificare dal sovrano all’interno del proprio Palazzo a partire dal 1132 e consacrata infine nel 1140, con dedica a San Pietro.
Preceduto da un piccolo portico in cui si apre una serie di archi a sesto acuto, l’edificio è caratterizzato da una pianta commista: le tre navate latine, all’inizio delle quali è collocato il trono imperiale, in marmo, terminano infatti con un Santuario sopraelevato e triabsidato, sormontato da una cupola semisferica, in stile bizantino. Le pareti sono pressoché interamente coperte dalla straordinaria decorazione musiva a fondo oro, realizzata, per quanto riguarda il presbiterio, probabilmente da mosaicisti provenienti direttamente da Costantinopoli, come farebbe intuire l’altissima qualità della realizzazione. Inconsueta risulta la disposizione dei soggetti e delle scene del Santuario, con la figura di Cristo ripetuta per ben tre volte – oltre a dominare il centro della cupola, campeggia infatti anche nel catino dell’abside centrale e nella lunetta sovrastante l’absidiola destra – e le dodici Feste della Cristianità inserite nel transetto destro; tale singolarità è stata spiegata con l’esigenza di volgere l’assetto della decorazione verso il punto di vista del sovrano che, come accennato sopra, assisteva alle cerimonie dalla tribuna collocata sul lato opposto all’altare.
Il corpo longitudinale dell’edificio assolveva invece una funzione laica, di rappresentanza, e per questo motivo la navata centrale venne dotata di uno straordinario soffitto ligneo ornato da maestranze arabe, che si servirono della tecnica a muqarnas, una soluzione decorativa propria dell’architettura islamica. In ogni spicchio di queste peculiari e raffinatissime nicchie sono dipinte scene di caccia, danze e banchetti, che configurano un ciclo pittorico laico, di celebrazione del sovrano e della vita di corte, fra gli esempi più vasti e completi di pittura islamica giunti fino a noi. Le navate centrali vennero infine completate, in seguito alla morte di Ruggero, fra il 1150 e il 1160, con mosaici tratti dall’Antico Testamento e dalla vita dei Santi Pietro e Paolo, eseguite in questo caso da maestranze locali educate ad un gusto più romanico ed “europeo”, come farebbe intuire la maggiore robustezza delle figure e degli edifici.
![Figura 3[13619]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/09/figura-313619.jpg?w=736)
Poco lontano da Palazzo Reale, Ruggero II ordinò l’edificazione di un altro edificio religioso, su un luogo probabilmente in precedenza occupato da una moschea. Il nuovo complesso, iniziato intorno al 1132 e composto da un monastero e dalla chiesa annessa, venne affidato ai benedettini di Montevergine e dedicato a San Giovanni degli Eremiti; lo stile architettonico scelto per il santuario sintetizza perfettamente il clima di sincretismo e fusione culturale che caratterizzava la Palermo ruggeriana. L’essenzialità del corpo principale, con le massicce mura perimetrali interrotte da rade e sottili feritoie, richiama infatti il romanico francese, sensazione ulteriormente accentuata visitando l’interno della chiesa, spoglio e rigoroso. Le terminazioni delle absidi e del campanile sono invece un deciso riferimento agli stilemi della cultura islamica: il modulo scelto è infatti quello della qabba araba, che combina un elemento cubico a una cupola semisferica e che incontrerà larga fortuna anche nei decenni successivi; si tratta probabilmente del simbolo più inconfondibile della Palermo medievale. A completare le suggestioni esotiche, la lussureggiante vegetazione del chiostro, unica area superstite del monastero benedettino.
![Figura 4[13621]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/09/figura-413621.jpg?w=736)
Con la morte di Ruggero II si chiuse la prima e, probabilmente, la più significativa fase dell’epoca normanna. Il suo regno, come abbiamo visto, lasciò in eredità diverse, importantissime tracce artistiche e architettoniche e una nuova concezione del ruolo del sovrano e del suo potere, assoluto e di derivazione divina: un mosaico all’interno della chiesa Santa Maria dell’Ammiraglio, fondata intorno al 1143 da Giorgio d’Antiochia, Grande Ammiraglio di Ruggero II, raffigura il re normanno nell’atto di ricevere la corona imperiale direttamente dalle mani di Cristo. La sua corte fu celebrata non solo per la ricchezza e i fasti, degni dei principi orientali, ma anche perché fu un centro di scienza e cultura internazionali; il geografo magrebino Muhammad al-Idrisi (Ceuta, 1099 circa – Sicilia, 1165), stabilitosi proprio in quegli anni a Palermo, descrisse la città siciliana come “il massimo e splendido soggiorno; la più vasta ed eccelsa metropoli del mondo; quella che, a narrarne i vanti, non si finirebbe quasi mai”.
![Figura 5[13622]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/09/figura-513622.jpg?w=736)
Le tendenze volte all’integrazione delle diverse espressioni culturali presenti sull’isola trovarono conferma anche durante il regno di Guglielmo I (Palermo o Monreale, 1120 – Palermo, 1166), figlio di Ruggero. Al suo governo si può infatti ricondurre un altro piccolo gioiello dell’architettura arabo-normanna, la chiesa di San Cataldo, commissionata e fatta edificare verso il 1160 dal gran cancelliere Maione da Bari (Bari, 1115 – Palermo, 1160). L’edificio, che sorge di fianco a Santa Maria dell’Ammiraglio, colpisce per il netto contrasto, stilistico e cromatico, fra le forme squadrate ed essenziali del corpo e le piccole, caratteristiche cupole rosse che svettano sulla copertura, di chiara matrice islamica, come la raffinata cornice che corona l’edificio.
Da ascrivere alla fase normanna e, nello specifico, al regno di Guglielmo II (Palermo, 1153 – 1189), figlio di Guglielmo I, è poi la riedificazione della Cattedrale di Santa Rosalia, commissionata dall’arcivescovo di Palermo Gualtiero Offamilio (Sicilia o Inghilterra, XII secolo – Palermo, 1190) sui resti di una precedente basilica, trasformata durante la dominazione islamica in moschea e infine restituita al culto cristiano, nel 1184. Nonostante all’epoca della consacrazione fosse ormai completo in tutte le sue parti, l’edificio subì, nei secoli successivi, continui rimaneggiamenti fino a giungere ai radicali interventi di Ferdinando Fuga (Firenze, 1699 – Napoli, 1782), il quale fra il 1791 e il 1801 fece aggiungere le navate laterali e un transetto aggettante, trasformando così la pianta da basilicale a croce latina, al centro della quale impostò l’imponente cupola neoclassica.
![Figura 6[13623]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/09/figura-613623.jpg?w=736)
Come già era avvenuto con Ruggero II, anche il regno di Guglielmo II fu assai fruttuoso per il fiorire dell’arte e dell’architettura in Sicilia; oltre alla ricostruzione della Cattedrale, si devono a lui l’edificazione dell’imponente Duomo di Monreale, alle porte di Palermo, e la realizzazione della Cuba e della Zisa, le splendide residenze di caccia reali.
La Zisa (1165-1190 circa), nello specifico, costituisce un ulteriore, interessante esempio di amalgamazione fra la cultura medievale europea e l’influsso islamico, questa volta integrati in una residenza di piacere. Il corpo dell’edificio, su tre ordini, è infatti una derivazione del Dongione medievale, dall’aspetto massiccio e fortificato, con rare aperture verso l’esterno, mentre per la centrale Sala della Fontana, alla quale si accede dal piano terra e che fungeva da area di rappresentanza, Guglielmo scelse di servirsi del modulo islamico dell’iwan, aperto su un lato e scavato da nicchie negli altri. L’ambiente risulta infatti articolato attorno a tre esedre finemente lavorate, mentre le pareti sono ornate da tarsie marmoree e da un ciclo musivo a fondo oro di carattere profano, probabilmente realizzato, considerata l’alta qualità tecnica, da maestranze bizantine. Il ruscello che scorre al centro della Sala, e che le conferisce il nome, serviva invece a rinfrescare l’ambiente, inserendosi in un più vasto e complesso sistema di areazione degli ambienti.
Il percorso proposto in questo articolo costituisce una sintesi dei luoghi e dei momenti più rappresentativi di una fase della storia europea che rimane ancora oggi fra i più riusciti esempi di cosmopolitismo e di integrazione linguistica, religiosa e culturale. Nel 2005 l’itinerario arabo-normanno, che comprende tutti gli edifici che abbiamo qui trattato, insieme ad altri monumenti e alla Cattedrale di Monreale e al Duomo di Cefalù, è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità: una decisione che ha contribuito a suggellare e a dare ufficiale riconoscimento all’importanza e all’unicità di questo lascito.
Chiara Franchi
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