Il Novecento secondo André Derain

Lo scorso 27 settembre, presso il Museo d’arte Mendrisio, è stata inaugurata la mostra “André Derain. Sperimentatore controcorrente”: si tratta, come suggerisce il titolo, di un’ampia retrospettiva dedicata alla lunga carriera dell’artista francese (Chatou, 1880 – Garches, 1954), in occasione della quale i curatori, Simone Soldini, Francesco Poli e Barbara Paltenghi Malacrida, hanno riunito circa centocinquanta dipinti, disegni, sculture, ceramiche e progetti teatrali realizzati da Derain nell’arco di più di cinquant’anni. La buona riuscita di questo evento è stata possibile anche grazie alla collaborazione con gli Archivi André Derain e a importanti prestiti da parte di prestigiosi musei francesi, come il Centre Pompidou o il Musée d’Art moderne de la Ville de Paris.         
L’obiettivo dell’esposizione è quello di portare alla conoscenza del pubblico la vastità della produzione di questo poliedrico artista, troppo spesso ricordato solo – seppur sia stato un fatto di innegabile importanza – per il ruolo giovanile ricoperto nell’ambito del gruppo dei fauves, agli albori del ventesimo secolo. Tuttavia, quella del fauvisme è stata una parentesi temporanea nella lunga carriera di Derain, che è poi proseguita fino alla sua morte, avvenuta nel 1954, in un continuo rinnovarsi di stili e di riferimenti estetici, nell’ottica di quella “sperimentazione controcorrente” richiamata nel titolo della mostra. Proprio tale varietà è l’aspetto che più emerge dal percorso ideato dai curatori, che si articola in numerose sezioni dedicati ognuna ad un genere pittorico – paesaggi, ritratti, nature morte, nudi, scene allegoriche – e ai suoi sviluppi lungo gli anni di produzione dell’artista.           
Nell’introdurre questa esposizione, cogliamo l’occasione per approfondire a nostra volta la figura di Derain, del quale cercheremo di delineare, insieme all’evoluzione stilistica, anche un profilo biografico.             
André Derain era nato nel 1880 nella cittadina di Chatou e aveva iniziato a dipingere sin dall’adolescenza. Nel 1898, all’Académie Camillo, conobbe Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 1869 – Nizza, 1954) e, due anni più tardi, Maurice de Vlamick (Parigi, 1876 – Rueil-la-Gadelière, 1958), con il quale avrebbe a lungo condiviso un atelier all’Ile de Chatou, lungo la Senna.    
Una prima svolta nella sua carriera avvenne nel 1905, quando Matisse lo invitò a partecipare prima al Salon des Independents e, in seguito, al Salon d’Automne, da poco fondato: qui espose nove opere in una sala che ospitava, oltre allo stesso Matisse, de Vlaminck, Henri Manguin (Parigi, 1874 – Saint-Tropez, 1949) e Charles Camoin (Marsiglia, 1879 – Parigi, 1965). L’organizzatore dell’esposizione, il pittore George Desvallières (Parigi, 1861 – 1950), nel riunire questi artisti, aveva compiuto una scelta mirata, in virtù delle loro caratteristiche comuni: fra queste, vi era l’estrema carica espressiva, ottenuta mediante l’utilizzo di colori accesi puri e stesi con pennellate vigorose, nonché l’assenza di disegno o di rigore accademico; per tali motivi, questi artisti sono considerati gli esponenti francesi del più ampio movimento dell’Espressionismo. Proprio in questa occasione, inoltre, fu coniato il termine “fauves”, con il quale sarebbero stati poi identificati i membri del gruppo: pare infatti che il critico d’arte Louis Vauxcelles (Parigi, 1870 – 1943) avesse definito la sala una “cage aux fauves”, ovvero una “gabbia di belve”, rendendo celebre il nome con il quale il gruppo di artisti fu da quel momento ribattezzato.       

Fig. 1. André Derain, L’Estaque, 1906, La Chaux-de-Fonds, Musée des beaux-arts © 2020, ProLitteris, Zurich.

Questo movimento, nato, come si evince, spontaneamente, risentiva in modo deciso del vivace clima culturale che caratterizzava la Parigi degli albori del Novecento: da un lato raccoglieva l’eredità dell’impressionismo e del post-impressionismo, in particolare di Cézanne e Van Gogh, che saranno riferimenti costanti anche nella pittura dello stesso Derain; dall’altro, a causa del suo anti-accademismo, si distaccava decisamente dalla cultura ufficiale, aprendo la strada alle avanguardie storiche. Non a caso, proprio in questo periodo Derain inizierà un lungo rapporto di amicizia e di scambi professionali con Georges Braque (Argenteuil, 1882 – Parigi, 1963) e Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins, 1973), contemporaneamente impegnati nell’elaborazione del nuovo linguaggio cubista.                            
Come si accennava all’inizio, in mostra sono esposti alcuni esemplari appartenenti a questa fase di esordio, fra i quali segnaliamo L’Estaque, una delle opere più celebri del corpusdi Derain: il luminoso borgo che si affaccia sul Mar Mediterraneo, nei pressi di Marsiglia, è un soggetto ricorrente nelle sue opere coeve, nonché un omaggio a Paul Cézanne, fra i maggiori punti di riferimento dell’artista, che fra il 1882 e il 1885 aveva a sua volta dedicato a questo luogo un’opera. Il dipinto di Derain, se da un lato rispetta i canoni del fauvismo, dall’altro se ne differenzia per il gradevolissimo equilibrio cromatico e per l’utilizzo quasi decorativo delle linee.           

Fig. 2. André Derain, Couple enlacé, 1906-1907, Collezione privata © 2020, ProLitteris, Zurich.

Una volta esauritasi la breve esperienza con i fauves, Derain prosegue per qualche tempo la propria ricerca sui nuovi linguaggi delle avanguardie: rafforza il legame con Picasso e Braque, collabora come illustratore con i poeti Guillaume Apollinaire (Roma, 1880 – Parigi, 1918) e Max Jacob (Quimper, 1876 – Drancy 1944) e stringe amicizia con André Breton (Tinchebray, 1896 – Parigi, 1966), avvicinandosi dunque anche all’ambiente surrealista. Oltre all’incisione, sperimenta la tecnica della ceramica e prosegue la collezione di arte cosiddetta “primitiva”, passione che lo accomuna a molti altri artisti della sua generazione, anche grazie alla presenza di tali manufatti nelle periodiche esposizioni universali e all’ampliarsi della collezione del Museo d’etnografia di Parigi.
Tuttavia, a partire dalla metà degli anni Dieci, l’artista inverte la propria tendenza verso la modernità e le sue opere cominciano a preannunciare, in anticipo sul “ritorno all’ordine” degli anni Venti e Trenta, quel recupero del rigore formale e delle lezioni dei grandi maestri del passato che condizioneranno la sua produzione successiva: una scelta, questa, che susciterà l’ostilità degli ambienti avanguardistici.       

Fig. 3. André Derain, Nature morte au pichet et verre de vin, 1938, Collezione privata © 2020, ProLitteris, Zurich.

Il percorso espositivo della mostra di Mendrisio analizza in particolar modo la produzione successiva al 1921, anno in cui Derain, in seguito ad un viaggio in Italia, alla scoperta delle origini dell’arte classica, avvia un serrato confronto con la tradizione pittorica dei secoli precedenti.     
Come tuttavia accade per gli altri artisti europei che vi si cimentano, questo “ritorno all’ordine” non si traduce in una banale ripetizione di schemi e linguaggi del passato, poiché dallo sguardo dall’artista traspaiono quell’inquietudine esistenziale e quel senso di mistero propri della condizione moderna. Ciò si riflette, probabilmente anche in richiamo agli esiti del realismo magico, innanzitutto nel tentativo di sondare la vera essenza dei soggetti più comuni e quotidiani, come nel caso della Nature morte au pichet et verre de vin del 1938, raffigurante una tavola apparecchiata, sulla quale sono enigmaticamente disposti alcuni oggetti di uso comune.

Fig. 4. André Derain, La Clairière, ou le déjeuner sur l’herbe, 1938, Association des Amis du Petit Palais, Ginevra e Portrait de femme, 1926-1928, Musee d’art Moderne de la Ville de Paris, Parigi © 2020, ProLitteris, Zurich

Altre opere sembrano invece omaggiare esplicitamente i grandi predecessori della pittura francese, come il dipinto La Clairière, ou le déjeuner sur l’herbe, contenente molteplici allusioni alla stagione impressionista, dall’ovvio riferimento all’omonima opera di Manet (1863), alle pose e alle caratteristiche fisiche delle donne, probabilmente derivate dalle Grandi Bagnanti della fase matura di Renoir (1884-1887). Un richiamo a quest’ultimo torna anche in un bellissimo Portrait de femme, dai contorni sfumati e imprecisi e dal tono quasi sognante, che sembra invece recuperare il Renoir più propriamente impressionista.

Fig. 5. André Derain, Geneviève à la pomme, 1937-1938, Collezione Geneviève Taillade, © 2020, ProLitteris, Zurich

Alcuni ritratti femminili, come quello intitolato Geneviève à la pomme, sembrano determinare un ulteriore allontanamento dal linguaggio delle avanguardie e una maggiore aderenza ai valori che in quegli stessi anni venivano sostenuti, ad esempio, dal gruppo di Novecento. Il giusto che traspare è, infatti, quasi neorinascimentale, dalla linearità e solidità del soggetto, alla fissità ieratica della posa, fino al sapiente utilizzo della luce e alla natura morta collocata in primo piano.

Fig. 6. André Derain, Le vieux gaulois, post 1938, Collezione privata © 2020, ProLitteris, Zurich

La mostra offre infine la possibilità di ammirare alcuni esempi di scultura degli anni Trenta, che rispecchiano l’interesse di Derain per le culture “primitive” e l’arte africana, nonché una serie di bozzetti e disegni dedicati al teatro, passione meno nota dell’artista, che collaborò numerose volte e a vario titolo a spettacoli operistici e balletti, come, ad esempio, Jack per Sergej Pavlovič Djagilev, nel 1919, e Il barbiere di Siviglia per il Festival di Aix-en-Provence, nel 1953.     
La partecipazione ad un viaggio ufficiale nella Germania di Hitler, al quale Derain prese parte insieme ad altri colleghi nel 1941, con l’obiettivo di ottenere in cambio la liberazione di alcuni prigionieri francesi e di riscattare la sua casa di Chambourcy, occupata dai nazisti, diede luogo agli infondati sospetti di collaborazionismo con il regime che segnarono l’ultima fase della via dell’artista, solo parzialmente riscattato dalla grande retrospettiva a lui dedicata dal Musée National d’Art moderne di Parigi, subito dopo la sua scomparsa, e dall’interessamento dello scultore svizzero Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa, 1901 – Coira, 1966), suo grande amico.   
Derain è stato riconsiderato nel suo ruolo di personaggio chiave del XX secolo solo in tempi recenti, grazie ad eventi come la mostra “André Derain: le peintre du trouble moderne”, allestita presso il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris nel 1994. L’interessante percorso espositivo messo in opera a Mendrisio contribuisce a portare avanti il processo di conoscenza della carriera di questo artista, non solo in relazione al suo ruolo di antesignano delle avanguardie, ma rendendo giustizia al suo intero percorso, eterogeneo e versatile; proprio questo suo essere refrattaria a ogni classificazione, fa sì che la produzione di Derain possa costituire una nuova strada da cui partire per elaborare un’innovativa lettura della complessa storia dell’arte del Novecento, in un’ottica meno rigidamente legata a singoli personaggi o netti schieramenti e più obiettiva e critica.

Chiara Franchi

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