Quale è il primo ricordo che vi verrebbe in mente se vi chiedessero di raccontare la prima volta che, a scuola o in qualsiasi altro contesto, siete venuti a contatto con i poemi omerici?
Dal canto mio, in tutta onestà, una domanda del genere mi farebbe apparire immediatamente davanti agli occhi l’immagine di un libro per bambini in cui i personaggi dell’Odissea erano tutti animali e la storia della volpe Ulisse veniva riportata abbastanza fedelmente. Diversa sarebbe la mia risposta se mi si chiedesse di quando, invece, ho studiato l’Iliade; qui la situazione da rievocare sarebbe un po’ più complessa e frammentata: del momento in cui, come a tutti, hanno fatto memorizzare anche a me il proemio del poema conservo poche suggestioni. Di quando invece, qualche anno dopo, ho ascoltato con attenzione maggiore la vicenda di Achille, ricordo il fascino che il desiderio di fama eterna e la furia vendicativa di Achille avevano esercitato su di me.
Il grande Achille. Il luminoso, splendido Achille; Achille simile a un dio. Montagne di epiteti che le nostre labbra non hanno mai pronunciato. Per noi era solo un macellaio.
Come accade a ogni mito personale, quindi, anche per questo mio altarino immaginario era giunto il momento di crollare. E quale strumento migliore allora delle parole di Pat Barker per abbatterlo, ho pensato. L’incipit del romanzo Il silenzio delle ragazze, infatti, promettendomi una narrazione condotta dal punto di vista di una delle categorie maggiormente colpite dalle conseguenze della guerra, le donne, mi faceva sperare quasi che Achille non fosse più ritratto come eroe forte e tormentato, spaccato fra il mondo terreno e la sete di avere la stessa gloria immortale di un dio, bensì che ne venisse restituita una immagine miseramente umana di violento combattente e carnefice senza pietà alcuna. Un macellaio, appunto, le cui azioni non fossero più avvolte da un alone mitico e venissero finalmente descritte senza fronzoli nella loro crudezza inaudita.

Bene, mi sbagliavo. Ma andiamo con ordine.
Il silenzio delle ragazze, uscito nel 2018 ed edito in Italia da Einaudi nella collana Stile Libero Big, non è forse il tipo di lettura che ci si aspetterebbe leggendo la quarta di copertina, ma rimane comunque, a mio avviso, un buon romanzo che, oltre a presentare almeno lo scheletro degli episodi del poema omerico, risulta anche avvincente nella presentazione della storia.
La narrazione è condotta quasi interamente in prima persona da Briseide e l’azione prende inizio proprio dal saccheggio di Lirnesso, città dove quest’ultima conduceva la vita di ricca nobildonna. La distruzione di Lirnesso avviene ad assedio di Troia già in corso e, dopo essere stata presa prigioniera come parte del bottino di guerra della scorribanda degli achei, Briseide diventa la schiava personale di Achille.
Il romanzo si presenta come un mezzo per dare voce alle donne vittime del conflitto troiano, ma, leggendolo, non ho trovato la grande varietà di punti di vista femminili promessa e, anche nei momenti in cui Briseide si sofferma a descrivere la condizione di se stessa e delle sue compagne, non si può certo affermare che la storia sia costruita intorno a loro. Poco lo spazio dedicato anche a un’altra grande protagonista della guerra, Elena, a cui viene dedicato un solo capitolo in tutto il libro.

Briseide è la schiava di Achille e, come tale, gode anche in questa situazione svantaggiata di un certo privilegio: quello di avere la “protezione” del guerriero più forte di tutta la Grecia. Briseide è consapevole di questa intoccabilità di seconda mano di cui può usufruire, ma, nonostante questo le torni ovviamente utile per sopravvivere, non se ne lascia ammaliare né ammorbidisce il tono della sua testimonianza. Una testimonianza che, viste le premesse, non può che avere come punto centrale la figura di Achille, il suo rapporto con Patroclo e, soprattutto, la difficile infanzia segnata dall’assenza della madre Teti.
Penso sia proprio questo il nodo fondamentale da sciogliere per comprendere il perché la narrazione di Pat Barker non possa essere adoperata per sfatare il mito di Achille. Il forte guerriero acheo infatti viene sì descritto nella sua ferocia, la sua furia in battaglia e le atrocità compiute non sono certo celate, ma l’umanizzazione del personaggio che viene contemporaneamente portata avanti nella narrazione non fa altro che creare di Achille un ritratto di ragazzo problematico e tormentato, un «bambino stizzito», come lo definisce la stessa Briseide, che come possiamo immaginarci, riesce comunque a suscitare empatia. Nemmeno Briseide riesce infatti a trattare la storia personale del guerriero come una materia del tutto aliena alla sua vita. Questo in parte perché il portato personale di Achille, di fatto, influenza anche il trattamento e le condizioni in cui Briseide si trova a vivere, in parte perché, anche se non emerge esplicitamente dalle pagine del racconto, la fanciulla sembra comunque avvertire una sorta di forza magnetica nei confronti dell’eroe acheo.
Poi lui mi chiese, in un tono che voleva sembrare disinvolto ma non lo era affatto: – Perché sei tornata?
Quindi aveva capito tutto. Con la bocca riarsa, ragionai tra me e me […]. Aveva davvero capito tutto. Per un istante rimasi paralizzata dallo sgomento, poi pensai: «Se sapevi che ero nel carro, perché non mi hai fermata?»
– Non lo so, – risposi infine, strascicando le parole […]. A farmi tornare indietro era stato […] qualcosa che ancora non riuscivo a capire. Forse era la sensazione di appartenere a quel luogo, di dover vivere lì.
Non ho potuto impedirmi di notare infatti che in molti passaggi il rapporto fra Achille e Briseide è raccontato sì in modo romanzato, ma anche facendo assumere ai personaggi atteggiamenti simili, scusatemi il paragone, con le così dette fanfiction angst. Capiamoci, non penso necessariamente che questo sia un punto che vada a sfavore del lavoro della Barker, anzi, io stessa ho divorato Il silenzio delle ragazze in un solo giorno e sono personalmente rimasta soddisfatta della lettura. È però necessario calibrare le proprie aspettative e non credere di trovarsi davanti un libro che affronti con particolare profondità la condizione delle donne nelle guerre dell’antichità, perché, come ho già avuto modo di sottolineare, anche nei capitoli dove più ci si addentra nei ritmi di vita delle schiave prigioniere si ha comunque la sensazione di star semplicemente leggendo descrizioni di ambiente necessarie alla caratterizzazione del personaggio di Briseide in sé e dei suoi comportamenti risultanti nei confronti di Achille.
Penso infine che la conclusione della vicenda della guerra di Troia e degli achei sia nota a tutti; non ho quindi particolari osservazioni sul punto di arrivo della vicenda. Il silenzio delle ragazze si configura in definitiva come un libro scorrevole con dialoghi modernizzati e immediati, una buona lettura insomma per rilassarsi intrattenendosi con uno dei più famosi e amati episodi dell’epica classica.
Federica Rossi
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