Per Stefano Maria Legnani, il Legnanino

L’apertura dello Scurolo di San Gaudenzio a Novara, in occasione della festa patronale (22 gennaio), ha permesso di ammirare uno dei tesori più coinvolgenti del nostro Settecento pittorico: l’affresco sulla volta di Stefano Maria Legnani detto il Legnanino (Milano, 1663-1715).
Si trova in un ambiente progettato secondo un’ottica tutta barocca di fusione delle arti per dilatare e rendere monumentale uno spazio di per sé angusto.

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Fig. 1 Scurolo, veduta d’insieme, Novara, Basilica di San Gaudenzio.

L’architettura è un gioco dinamico di pieni e vuoti, con edicole ai lati abitate da quattro santi di proporzioni monumentali. I riflessi creati dalle poche aperture e il cordone dorato che corrono lungo le pareti impreziosiscono e fanno brillare le pareti nere, rendendo l’ambiente sontuoso e sepolcrale allo stesso tempo. Sull’altare risplende la teca di cristallo con le spoglie del Santo, cuore della chiesa e della comunità religiosa. A terra, intarsiati, corrono, invece, girali vegetali che continuano con vitalità sulla cancellata in ferro battuto, chiusa durante l’anno e ora aperta sul transetto.
E sulla volta esplode in tutta la sua potenza l’opera del Legnanino con una luce resa ancora più brillante dal contrasto con le pareti scure.

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Fig. 2 Legnanino, Gloria di San Gaudenzio, 1691 circa, Novara, Basilica di San Gaudenzio, Scurolo.

Artificio e natura dei materiali si fondono per creare uno spazio unico, inafferrabile per qualsiasi tecnologia. Figure angeliche volteggiano sulle nubi che portano in gloria il Santo patrono, alcune hanno oggetti liturgici, altre con strumenti musicali suonano una musica celeste. Colpi di luci sulle vesti e riflessi dal basso sui volti danno fisicità alle figure, mentre la luce diffusa sullo sfondo dà credibilità all’architettura dipinta sulla volta, le cui rosette riprendono quelle reali dell’edicola centrale. Nessuna tensione drammatica, ma leggerezza e grazia: tali sono gli elementi stilistici del Legnanino. Uno stile maturato sulla lezione del Correggio, appresa durante il suo alunnato bolognese presso il Cignani, quando gli artisti milanesi, in cerca di nuovi stimoli, andavano ad “abbeverarsi in nuove fonti”; così ci racconta il Lanzi nella sua Storia pittorica (1809), l’abate erudito e conoscitore al quale non piacevano questi artisti, ma di cui ne riconosceva pregi e importanza storica, cosicché fosse d’obbligo inserirli nella sua descrizione, la più ampia e sistematica di quella stagione artistica. E se non ci fu identità estetica, non tradì il suo occhio conoscitore che sorrise di fronte a quell’opera, giudicandola il capolavoro di Legnanino. Usciti dallo Scurolo, già vien voglia, per tanta ammirazione, di ripercorrere il suo percorso artistico. Stando ancora in chiesa possiamo vedere l’altra opera di Legnanino in san Gaudenzio: gli affreschi per la cappella della Madonna di Loreto, dove ritroviamo quella sinfonia di angeli fortemente scorciati entro architetture dipinte. A Novara Legnanino licenzia anche due opere per la cappella del Duomo dedicata a San Giuseppe, raffiguranti il Sogno e il Transito, oggi conservate nel Museo Civico della città. Piace ricordare che la tela con il Sogno, per la carica evocativa e la struggente evanescenza del sussurro dell’angelo a San Giuseppe, apriva il catalogo della mostra sul Settecento lombardo del 1991, punto fondamentale per gli studi su un periodo allora negletto dalla critica.
Tornati alla luce del sole bisogna prendere la strada per Milano, dove Legnanino nasce (1661) e dove esordisce nella chiesa di Sant’Angelo con l’affresco sull’arco trionfale raffigurante l’Incoronazione della Vergine: la sua prima opera pubblica (1686) che per la scena milanese dev’essere sembrata come tagli sulla tela.

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Fig. 3 Legnanino, Incoronazione della Vergine, 1686, Milano, Sant’Angelo, arco trionfale.

Infatti la disinvoltura con cui padroneggiava la tecnica ad affresco, la sapiente orchestrazione dello spazio, degli scorci e dei sottinsù, rappresentavano una novità per la tradizione locale poco avvezza a tale tecnica che, per una porzione di spazio così difficile da organizzare, a maggior ragione richiedeva un pittore scaltrito. Ma qui Bologna docet. E’ l’inizio di una carriera folgorante costellata da un susseguirsi di impegni: Novara, Sacro Monte di Orta, Saronno, Monza e Torino. Infatti il Legnanino durante la sua carriera ha lavorato anche fuori dalla Lombardia, di cui Novara faceva ancora parte. Gli impegni a Torino cominciano per la Congregazione dei mercanti e banchieri, ma Legnanino ha modo anche di confrontarsi con la decorazione profana: prima per la nefanda casa di Ottavio Provana di Druent (ora Falletti di Barolo) poi per i principi di Carignano, per il loro palazzo progettato da Guarino Guarini.

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Fig. 4 Legnanino, Trionfo di Scipione, 1694-1697 circa, Torino, Palazzo Carignano.

Qui emerge la sua professionalità nel gestire grossi cantieri e la sua fantasia alle prese, di stanza in stanza, con miti e allegorie a celebrazione della casata. Anche se, a ben guardare, poche di quelle figure travalicano una pratica di bottega ben organizzata. E’ un momento comunque importante del percorso di Legnanino che a Torino ha modo di aggiornarsi e di confrontarsi con l’esuberante tradizione della pittura genovese (Bartolomeo Guidobono e Domenico Piola). Tornato a Milano, ormai maturo, Legnanino rientra una seconda volta in Sant’Angelo per realizzare due tele che decorano la cappella Durini, la Battaglia di San Giacomo contro i Mori e la Predica di San Giovanni Battista; due opere che riconfermano la sapienza artistica di Legnanino come decoratore di ambienti. Infatti sebbene non siano due affreschi, sono dipinti tenendo presente l’inevitabile deformazione prospettica derivata dalla loro collocazione.

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Fig. 5 Legnanino, la Battaglia di San Giacomo contro i mori, 1706-1708 circa, Milano, Sant’Angelo, Cappella Durini.

Le figure principali emergono con chiarezza e addirittura pare che San Giacomo balzi fuori dalla tela, nonostante la poca luce della cappella. Sono aspetti coglibili soltanto ad una visione dal vivo e non in fotografia. La terza volta che Legnanino tornerà in Sant’Angelo, sarà per farsi seppellire. Altre opere milanesi di Legnanino si trovano in San Marco, ben quattro, sebbene due (Natività con san Gerolamo e san Gerolamo e Profeti) provengano dalla chiesa distrutta di San Cosma e Damiano alla Scala. Nella Natività emerge ulteriormente il debito con Correggio, qui citato letteralmente. Il modello è infatti la celebre Notte oggi conservata alla Gemäldegalerie di Dresda, ma un tempo presente nella chiesa di San Prospero di Reggio Emilia, ammirata da uno stuolo di artisti e diffusa dalle incisioni. Nelle tele di San Marco con storie di San Giacomo emerge oltre all’empatia di Legnanino per la pittura sacra, quanto sappia tradurre in chiare immagini valori religiosi come il tema dell’umiltà espresso dalla lavanda dei piedi di Cristo. Sarà stata forse questa facilità espressiva a segnare la fortuna di Legnanino portandolo sui ponteggi di importanti cantieri lombardi. Un successo favorito anche da un rapporto privilegiato con gli ordini religiosi, in particolare con il ramo francescano, già avviato dal padre pittore. C’è spazio nella sua parabola artistica anche per un’esperienza genovese, in San Filippo, sulle pareti del presbiterio con storie di San Filippo Neri. E’ all’apice del successo. La sua terra natale lo reclama indietro come se avesse presagito il suo destino. È richiamato dal Sacro Monte di Varese per la decorazione della cappella dell’Assunzione, che però ha solo modo di cominciare. Forse ci sarebbe stata di lì a poco anche una chiamata da Vienna, ma all’improvviso la morte lo coglie a 52 anni, lasciando un vuoto sulla scena artistica lombarda che solo l’arrivo di Tiepolo a Milano saprà in parte e per poco colmare. Nel 1715 così termina l’esperienza di Stefano Maria Legnani, indiscusso maestro del Settecento lombardo.

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Fig. 6 Legnanino, Storie di Ester (particolare), 1699, Lodi, Tempio dell’Incoronata.

Nota:
Per un approfondimento della biografia di Legnanino e la relativa bibliografia si rimanda alla monografia di Marina Dell’Omo (1998), alla quale si aggiunge la voce del Dizionario Biografico degli Italiani redatta da Lucia Casellato (2005).

Dario Michele Salvadeo

Tutte le immagini, scattate per l’occasione, sono state realizzate dall’autore di questo articolo e da Marco Audisio.

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