I libri che leggiamo creano sempre nella nostra mente immagini e fantasie sui luoghi e i personaggi che descrivono. Ogni storia ha una sua particolare atmosfera, uno stato d’animo a cui possiamo ricondurla e, perché no, a volte anche un colore: per esempio, nella mia immaginazione, tutti i libri di Calvino sfumano nell’azzurro tenue, un colore per me bellissimo e leggero (come quella leggerezza che non è superficialità…)
Acciaio di Silvia Avallone ha sempre rappresentato per me il colore della terra bruciata, un marroncino rossiccio che degrada verso l’azzurro intenso del mare nelle ore più calde della giornata. Potrebbe sembrare una descrizione troppo particolareggiata e poetica, questa, ma nel suo romanzo vincitore del Premio Campiello Opera Prima nel 2010, Silvia Avallone riesce a infondere una tale vitalità al paesaggio sul cui sfondo si svolge la vicenda che, quando penso ai personaggi del racconto, non posso fare a meno di prendere anche in considerazione le alte e vecchie palazzine, le rimesse in disuso e gli altiforni delle fabbriche che guardano immoti e imperturbabili l’agire umano.

Acciaio è ambientato a Piombino, città della toscana con un importante porto da cui partono traghetti per la Sardegna e l’Isola d’Elba. Qui, in via Stalingrado (non cercate sulle cartine questo luogo, perché, di fatto, è puramente invenzione della Avallone), vivono le due protagoniste assolute del romanzo: Anna e Francesca, due ragazze giovanissime, di «tredici anni quasi quattordici», che si trovano a vivere gli anni iniziali e più difficili dell’adolescenza in un enorme complesso abitativo dove le entrate di tutte le famiglie che vi alloggiano dipendono strettamente dall’acciaieria della zona. Il padre di Francesca, così come sia il padre che il fratello di Anna sono impiegati come operai nella fabbrica e le due ragazze sentono stringersi su di loro la morsa di un ambiente chiuso dove il futuro sembra un concetto troppo grande da affrontare e padroneggiare.

Le uscite e i giochi di Anna e Francesca si svolgono tutti sullo sfondo dei pianerottoli della palazzina dove vivono, nei magazzini dismessi delle fabbriche e sul bagnasciuga di Piombino. Qui le due amiche, la cui bellezza non passa inosservata, si sentono confortevolmente nel loro elemento. I loro stati d’animo vengono descritti dalla Avallone in modo sempre concorde con le asperità del luogo in cui si trovano: se in una delle prime scene vediamo le due ragazze rincorrersi sulla sabbia bruciata dal sole, quasi accecate dall’intensità della loro amicizia e del loro legame, in un’altra scena di poco successiva leggiamo di Anna sola che, insicura e più riflessiva si addentra in una zona poco contaminata dall’edilizia, una palude piena di alghe dove ogni suono esterno arriva distorto e appare lontano. Sono segnali del distacco progressivo che Anna e Francesca si trovano a fronteggiare a causa di silenzi e fraintendimenti che rompono il loro rapporto simbiotico e che le portano a scegliere strade di vita opposte, iscrivendosi anche a scuole superiori differenti.
Oltre ad Anna e Francesca, un altro personaggio quasi determinante per lo svolgimento della trama di Acciaio è Alessio, fratello di Anna, che, come già anticipato, lavora in acciaieria e con i macchinari da lavoro sembra avere una profonda intesa. Anche Alessio, infatti, risulta perfettamente integrato nell’ambiente della fabbrica. È taciturno, schivo con i colleghi e lo vediamo spesso fissare l’incombente altoforno meccanico quasi con devozione. Alessio è innamorato di Elena, sua storica ex fidanzata, che, per uno scherzo del destino torna a Piombino e viene assunta nei quadri dirigenti dell’acciaieria.

Servendosi di personaggi come Anna, Francesca, Alessio e anche Elena, Silvia Avallone riesce ad arricchire le vicende di amore e amicizia narrate con anche questioni socio-ambientali complesse come la mancanza di lavoro, la povertà e il degrado di alcune zone del territorio abbandonate e lasciate nella totale incuria, gli incidenti sul lavoro, lo sfruttamento del suolo e l’inquinamento delle acque. Se da un lato però l’agire dei personaggi del romanzo trae beneficio dall’inserimento in questo contesto problematizzato, di contro, però, sono proprio i temi e le emergenze a cui si fa accenno che risultano trattate troppo superficialmente, poco approfondite e, a volte, forse solo come effetto collaterale non voluto, anche in parte romanticizzate.
La scorrevolezza della lettura e la presenza di tensioni sentimentali avvincenti non può che giovare alla storia, certo, ma spesso intacca anche la forza di denuncia che invece potrebbero avere alcuni passaggi della narrazione e fa risultare la caratterizzazione dei personaggi eccessivamente stereotipata: mi riferisco ad esempio al personaggio di Elena, dipinta come la tipica donna in carriera fresca di studi nelle più importanti università d’Europa, ma anche ad Alessio che, per quanto possa dimostrarsi alla fine un personaggio positivo, appare anche imbevuto della cultura patriarcale del maschio padrone.

Acciaio si configura insomma come una lettura leggera nel senso, in parte, anche di superficiale, e, sebbene io stessa abbia trovato la storia piacevole e me ne ricordi alcuni particolari ogni volta che passo da Piombino, sono al contempo consapevole che la vicenda non presenti molti tratti realistici.
Romanzo consigliato, in definitiva, con l’accorgimento però di non credere che solo il fatto di nominare città e luoghi veramente esistenti costituisca la patente di racconto veritiero e di denuncia.
Federica Rossi
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