Poesia, pittura, natura: il Giappone e la Scuola Nanga

Nella storia dell’arte giapponese, il periodo Edo (1615 – 1868) è solitamente associato al fiorire e al diffondersi dell’ukiyo-e, la pittura del “mondo fluttuante” e alle celebri stampe di Hiroshige, Utamaro e Hokusai, che hanno immortalato quella vivace società cittadina popolata di cortigiane, attori e lottatori di sumo, ormai entrata a far parte dell’immaginario universale.   
Tuttavia, sempre durante il periodo Edo, e in particolare verso la seconda metà del XVIII secolo, si diffuse in Giappone un’altra, significativa tradizione pittorica, per certi versi opposta all’ ukiyo-e: si tratta della scuola Nanga, termine che significa “pittura meridionale” – con un rimando alla Scuola Meridionale cinese – e che corrisponde alla tradizionale bunjinga, la “pittura dei letterati”, sorta in Cina e mutuata poi dalla cultura nipponica. Entrambe le accezioni, come si vede, rimandano alle origini storiche e culturali di questo particolare tipo di scuola, che affondava le proprie radici e traeva ispirazione proprio dall’antichissima tradizione cinese.  
In Cina, questa particolare espressione artistica era sorta durante la dinastia Ming, nel XIV secolo, ed era appannaggio della colta aristocrazia: il presupposto fondamentale consisteva nell’assenza di barriere fra pittura, calligrafia e poesia, discipline considerate complementari. Si trattava di un tipo di approccio all’arte che concretizzava gli ideali estetici propri degli intellettuali e che, per questo motivo, si differenziava dalla produzione più commerciale degli artisti di professione. 

Fig. 1 Wang Gai su modello di Wang Wei (698–759), Paesaggio, tratto dal Manuale del giardino grande come un granello di senape, 1679, The Metropolitan Museum of Art, New York


I modelli, sia pittorici che filosofici, della pittura bunjinga – sebbene noti sin dal Seicento – avevano iniziato a diffondersi in Giappone verso la seconda metà del XVIII secolo, grazie alla parziale apertura del paese nei confronti di alcuni paesi esteri, fra cui la Cina, che aveva lievemente allentato la severa politica di isolamento intrapresa dai Tokugawa. I potenti governatori del Giappone, infatti, avevano favorito la diffusione di nuovi modelli economici e sociali che si rifacevano al confucianesimo: questo, insieme alla presenza in Giappone di alcuni artisti provenienti dal continente, aveva favorito  non solo il diffondersi dell’etica confuciana, ma anche la circolazione di prototipi artistici cinesi, come quelli contenuti nel Manuale del giardino grande come un granello di senape, pubblicato per la prima volta in Cina nel 1679: si trattava una sorta di compendio illustrato di tecniche, stili e soggetti pittorici, con particolare riferimento alla natura e al genere paesaggistico.
Gli insegnamenti contenuti in questo e altri testi fondamentali, oltre che la visione diretta di xilografie realizzate da artisti cinesi, offrivano tuttavia una visione parziale dell’essenza del bunjinga e i primi artisti giapponesi che vi aderirono si cimentarono principalmente nell’imitazione dei modelli originali e nel replicarne i soggetti prediletti: episodi della letteratura, leggende e, soprattutto, elementi tratti dalla fauna, dalla flora e maestosi paesaggi.

Fig. 2 Gion Nankai, Paesaggio, 1700-1751, The Cleveland Museum of Art, Cleveland

Fra i primi artisti ad aderire alla scuola Nanga – o bunjinga – vi è Gion Nankai (Tokyo, 1756 – 1761), studioso di confucianesimo e poeta, oltre che pittore. Il suo iniziale approccio alla pratica artistica era avvenuto probabilmente attraverso i citati manuali di pittura cinese: il Paesaggio conservato a Cleveland ne sintetizza le caratteristiche essenziali. Il rotolo verticale – uno dei formati tipici della pittura giapponese – presenta la veduta di una scoscesa parete rocciosa, dipinta ad inchiostro e pressoché monocroma, sulla quale si abbarbicano pochi alberi. Gli elementi della composizione sono definiti tramite linee dall’andamento ritmico e sinuoso. La presenza umana, suggerita dalla piccola abitazione e dalla minuscola figura al suo interno, appare sovrastata dalla grandezza della natura. In alto, a destra, compare invece una breve composizione, che, come si accennava, costituisce un elemento tipico di questo genere di produzione.

Fig. 3 Ike no Taiga, Prugni in fiore nella nebbia, 1750, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia

Ike no Taiga (Kyoto, 1723-1776), allievo di Gion Nankai, è considerato, insieme a Yosa Buson (Settsu, 1716 – Kyoto, 1784), fra i massimi esponenti della pittura Nanga; i due artisti, grazia a una formazione ampia e diversificata, non si limitarono alla mera imitazione di modelli cinesi, ma seppero reinterpretarne i precetti alla luce di una sensibilità nuova nei confronti della natura, più consona allo spirito nipponico. Grazie alla loro opera, la tradizione Nanga acquisì una propria identità, pur rimanendo nel solco delle origini continentali. I due, peraltro, avevano avuto modo di incontrarsi e collaborare; nel 1771, mentre entrambi si trovavano a Kyoto, avevano infatti ricevuto la commissione di una delle loro opere più significative: l’illustrazione della raccolta di poesie Jūben jūgichō (Dieci convenienze e dieci piaceri), dell’autore cinese Li Yu.    
Taiga, nel corso della sua produzione, ebbe modo di conoscere e praticare diverse espressioni artistiche, dalla pittura cinese, agli stili nazionali, all’arte occidentale. Sebbene le sue opere risentano, nei soggetti e nello stile, in modo decisivo delle radici continentali, nelle sue pitture – e, in particolare, nei paesaggi – riscontriamo una rappresentazione realistica della natura, filtrata dall’interiorità dell’artista e delle impressioni suscitate in lui. Spesso, inoltre, le immagini sono accompagnate da composizioni poetiche, come prescritto dalla tradizione bunjinga.

Fig. 4 Yosa Buson, Paesaggio autunnale, 1750 ca., The Metropolitan Museum of Art, New York

Yosa Buson è ricordato sia come artista, sia come uno dei massimi autori di haiku, brevi componimenti poetici formati da tre versi. Le due espressioni erano complementari: gli haiku erano spesso accompagnati da piccole illustrazioni, gli haiga, elemento che avvicinava questo tipo di produzione poetica alla tradizione bunjinga.       
Buson si era avvicinato alla pittura come autodidatta, attraverso lo studio dei manuali di pittura cinese e il contatto con opere d’arte autoctone; fra le sue opere più celebri si ricordano la serie di illustrazioni della Stretta strada verso il profondo Nord, opera letteraria del poeta Matsuo Bashō (Ueno, 1644 – Ōsaka, 1694), di cui Buson era seguace.         
Le sue pitture si caratterizzano per l’evocazione di un sentimento di partecipazione umana alla natura e per il sapiente uso di piccole macchie di colore, che suggeriscono, ad esempio, la stagione o il momento della giornata. Un deciso ruolo espressivo è affidato anche allo stile delle calligrafie che spesso accompagnano le immagini.

Fig. 4 Yosa Buson, Paesaggio autunnale, 1750 ca., The Metropolitan Museum of Art, New York

Gli influssi della scuola Nanga perdurarono per tutto il corso del XIX secolo; Tomioka Tessai (Kyoto, 1837 – 1924), artista originario di Kyoto, ne è considerato uno degli ultimi, grandi esponenti. L’artista, sebbene versato in numerosi stili pittorici, approfondì in particolare a questa disciplina, poiché consentiva di coniugare pittura e filosofia confuciana, fra i capisaldi della sua formazione. Le sue opere sono contraddistinte dalla predilezione per il formato verticale, spesso di grandi dimensioni, per le pennellate vivaci e decise e per l’inserimento – come da tradizione – di componenti poetici o brevi frasi, che perfezionano i significati dei soggetti rappresentati.
L’opera di Tessai, artista che, nonostante l’occidentalizzazione che interessò il Giappone durante l’epoca Meiji, successiva all’epoca Edo, non si discostò mai dalle tradizioni autoctone, ha contribuito alla riscoperta e al rinnovato interesse verso l’arte Nanga, oggetto di rivalutazione all’inizio del XX secolo. In questo frangente, la nuova generazione di giovani artisti ha perseguito nella riscoperta di questa particolare forma espressiva, reinterpretandola anche alla luce delle nuove tecniche introdotte dagli artisti europei, ma senza mai venire meno a quello spirito così tipicamente nipponico che coniuga poesia e sensibilità verso la natura, dagli elementi più minuti alla magnificenza del cosmo.

Chiara Franchi

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