Molte delle novità introdotte dall’avvento delle avanguardie storiche, nei primi anni del Novecento, esprimevano il desiderio di abbattere le barriere che separavano tradizionalmente le arti, nonché la volontà di superare la rigidità accademica, le sue gerarchie e i suoi canoni. In questo contesto, a partire dagli anni Dieci, frammenti di realtà appartenenti al mondo quotidiano cominciarono a fare la propria comparsa accanto – o al di sopra – della più tradizionale superficie della tela.
Questa nuova tecnica acquisì nomi diversi, a seconda dei materiali utilizzati: collage, per identificare la combinazione delle sostanze più disparate – brandelli di legno e stoffa, schegge di vetro, sabbia o addirittura piccoli oggetti – o papier collé, se l’opera era ottenuta accostando ritagli di carta; in ambito tedesco questi nuovi prodotti della creatività vennero poi definiti da Kurt Schwitters (Hannover, 1887 – Kendal, 1948), esponente del gruppo dada, con il neologismo merzbildI. Una era la novità sottostante queste differenti espressioni: per la prima volta, materiali di scarto e strumenti pittorici tradizionali venivano posti sul medesimo piano, con uguale dignità.

La realizzazione dei primi collage artistici – la tecnica era in realtà conosciuta da più tempo, ma applicata ad ambiti diversi – viene fatta risalire al cubismo e in particolare alle sperimentazioni a cui si dedicarono agli inizi degli anni Dieci Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins, 1973) e Georges Braque (Argenteuil, 1882 – Parigi, 1963).
Nel contesto del cubismo cosiddetto “sintetico”, poiché le forme venivano sì scomposte, ma ricombinate in sagome riconoscibili ed essenziali, Picasso e Braque iniziarono ad accostare ai soggetti dipinti ritagli di giornali o lembi di stoffa, che contribuivano a moltiplicare i differenti punti di vista che già di per sé caratterizzavano le loro composizioni. La superficie della tela veniva così proiettata nello spazio tridimensionale; si creava una sintesi tra la fantasia “irreale” dell’artista e il mondo della realtà concreta.
In Chitarra, spartito e bicchiere, ad esempio, le diverse parti dello strumento musicale sono resi attraverso carte di differente spessore, assemblate in modo equilibrato, non solo dal punto di vista compositivo, ma anche cromatico e materico. La realtà irrompe invece attraverso il foglio di spartito e il lacerto di giornale, applicati direttamente sulla tela; notiamo poi l’intervento diretto dell’artista, ravvisabile nella sagoma del bicchiere disegnata a carboncino.

Questa nuova forma espressiva travalicò ben presto i confini francesi, diffondendosi fra gli altri movimenti d’avanguardia europei ed evolvendo a seconda delle specificità di ognuno di essi.
I futuristi, ad esempio, facevano un massiccio uso della carta stampata, vista come mezzo per rimarcare la cesura rispetto all’arte del passato e quindi calare le proprie creazioni nel vivo della contemporaneità. In ambito futurista assistiamo, inoltre, ad una sovrapposizione tra collage ed un’altra, nuova espressione creativa, le “parole in libertà”: singole lettere o parole estratte da quotidiani e riviste divennero un mezzo per esplorare il campo della poesia sperimentale, ottenere inediti effetti visivi, ma anche amplificare la portata di quanto proclamato nei numerosi manifesti a tema non solo culturale, ma anche sociale e politico.
D’altra parte, tuttavia, vi fu anche chi, come Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958), più maturo rispetto agli altri membri del gruppo e con una solida formazione pittorica alle spalle, utilizzò la nuova tecnica per ottenere effetti di grande valore estetico. Ad esempio, in Piedigrotta (1913-15), uno studio di costume per un balletto futurista, sottili ritagli di carta bianca si sovrappongono ad una lamina color argento, componendo una sorta di figura umana in movimento, dal risultato estremamente elegante e gradevole.

Nel panorama culturale tedesco prese vita un’ulteriore declinazione della tecnica: il fotomontaggio. John Heartfield (pseudonimo di Helmut Herzfeld; Berlino, 1891 – 1968) e Raoul Haussman (Vienna, 1886 – Limoges, 1971), che ne sono considerati i pionieri, per primi intuirono infatti le potenzialità dell’accostamento di immagini fotografiche ad altri elementi, ad esempio tipografici, per sovvertire l’arte tradizionale alle fondamenta.
La fotografia, in questo contesto, veniva percepita come il mezzo che meglio corrispondeva agli ideali antiartistici dada: strumento estremamente moderno e meccanico, sinonimo di contemporaneità, era in grado di riprodurre la realtà in modo oggettivo, anche nei suoi risvolti meno gradevoli. I fotomontaggi realizzati in ambito dada miravano soprattutto a offrire uno sguardo satirico e dissacrante sulla Germania borghese e sulla complessa situazione scaturita dal primo conflitto mondiale, nonché a denunciarne i drammatici effetti, ma non mancavano composizioni caratterizzate da accostamenti provocatori e apparentemente senza senso. L’utilizzo di immagini tratte dalle fonti più disparate, come giornali, illustrazioni letterarie o pubblicitarie, annullava inoltre il confine tra arte elevata e cultura di massa, invisa alla parte più conservatrice di pubblico.

Nel 1917 al gruppo dada berlinese aderì una giovane artista, Hannah Höch (Gotha, 1889 – Berlino Ovest, 31 maggio 1978); la formazione conseguita presso la Scuola di Arti applicate di Charlottenburg, e quindi la notevole manualità acquisita, fecero della Höch una delle massime esponenti dell’arte del fotomontaggio, disciplina a cui si dedicò costantemente nel corso dei decenni. Le sue composizioni, talvolta apertamente ironiche, altre volte più enigmatiche, offrirono una lettura critica del complesso evolversi della situazione sociale e storica tedesca, con un particolare riguardo riservato alla condizione femminile, dai turbolenti anni della Repubblica di Weimar sino alla dittatura nazista e alle vicende della Seconda guerra mondiale.
Proprio una raffigurazione sarcastica della Repubblica di Weimar costituisce il soggetto di Tagliato con il coltello da cucina (1919), uno dei collage più celebri realizzati da Hannah Höch. Il titolo, inoltre, allude ad uno strumento, il coltello da cucina, appunto, considerato tipicamente femminile, a discapito dell’utilizzo che ne fa l’artista per comporre la propria opera.
Infine, fra gli esiti più interessanti dell’utilizzo di questa tecnica, non si possono non menzionare, questa volta spostandoci fra i surrealisti, i romanzi-collage di Max Ernst, come Une semaine de bonté (1933): vecchie illustrazioni scientifiche ed enciclopediche, oppure tratte da romanzi ottocenteschi – nell’opera ne compaiono alcune, ad esempio, di Gustave Doré – vennero selezionate e giustapposte dall’artista con l’intento di creare immagini fantastiche, stranianti e sottilmente ironiche.
Grazie all’apparente semplicità di esecuzione e alla possibilità di usare materiali di recupero, o comunque di facile reperimento, il collage ha conosciuto una straordinaria longevità nel corso del Novecento, seguendo le vicende dell’arte contemporanea: a partire dagli anni Cinquanta, ad esempio, con l’avvento dell’epoca pop, Mimmo Rotella (Catanzaro, 1918 – Milano. 2006) ricorrerà a questa tecnica per realizzare le sue opere più celebri, utilizzando come materiale di partenza manifesti cinematografici o pubblicitari.
L’avvento del digitale ha poi fatto sì che attività come il fotomontaggio o l’intervento sulle immagini siano oggi praticate su larghissima scala, creando una sintesi fra questa tecnica e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Come si è visto, tuttavia, si tratta di una vera e propria espressione artistica, tutt’altro che scontata e con una illustre tradizione alle proprie spalle.
Chiara Franchi
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