Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano: due mostre in una

Le aspettative e l’attesa nel vedere la mostra intitolata Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano, in scena fino al prossimo 5 giugno 2022, promossa e co-prodotta da Comune di Milano–Cultura, Palazzo Reale e Skira editore, in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna e la Fondazione Bracco (Main partner), e curata da Sylvia Ferino, già direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum, erano tante, anzi tantissime. Così tante che praticamente ci siamo precipitati a vederla appena tre giorni dopo la sua inaugurazione. Dopo tutto la visione della cartella stampa e del catalogo che ci sono stati mandati con grande disponibilità dei responsabili dell’area stampa, ci avevano fatto davvero ben sperare. Infatti nelle lussuose pagine patinate del catalogo (dal costo di 39 euro al bookshop della mostra), sfilano degli assoluti capolavori della pittura veneziana del Cinquecento. Tiziano ma anche Giorgione, Tintoretto, Veronese, Palma il Vecchio, Paris Bordon, Bernardino Licinio e tanti altri. Sembrava che saremmo andati a vedere una mostra eccezionale sotto tutti i punti di vista.

E invece, alcune considerazioni…

Il bel catalogo Skira che accompagna la mostra non è, o meglio non lo è del tutto, il catalogo della mostra milanese. Seppure i saggi che aprono il corposo volume sembrano concepiti per la sede di Palazzo Reale, e quindi per la mostra che di fatto si vede a Milano, quando poi si arriva alla parte delle opere, ecco che qualcosa cambia. Moltissime delle opere presenti nel catalogo non sono presenti in mostra. Va detto anche che nel catalogo non ci sono le schede delle opere, bensì per ogni sezione della mostra (o quasi) corrisponde una sorta di saggio in cui confluiscono le principali informazioni sui dipinti, comprese le immagini delle opere e una stringatissima bibliografia che dovrebbe invogliare il lettore ad approfondire a suo piacimento eventuali conoscenze su determinati dipinti. Inoltre l’ordine in cui sono esposte le opere nella mostra milanese non corrisponde alla narrazione del catalogo. Ma perché in catalogo ci sono delle opere che invece in mostra non sono presenti? E non stiamo parlando di due o tre opere, bensì di 32 straordinari dipinti che da soli avrebbero tranquillamente potuto costituire una mostra a sé stante di eccezionale qualità. Non sono giunti a Milano ad esempio (cito solo le assenze più eclatanti), la Vecchia di Giorgione, la Danae di Tiziano nella versione di Capodimonte, e sempre di Tiziano il Ritratto di Violante del Kunsthistorisches Museum, la Donna allo specchio del Louvre, la Flora delle Gallerie degli Uffizi, La Schiavona della National Gallery di Londra, i Ritratti di Pietro Aretino e di Benedetto Varchi rispettivamente di Basilea e di Vienna, e poi la Giovane donna nuda allo specchio di Giovanni Bellini (un assoluto capolavoro la cui mancanza spiace forse più di ogni altra opera), il Ritratto idealizzato di giovane donna di Bartolomeo Veneto (un altro eccezionale capolavoro), il superbo Ritratto di gentildonna ispirata da Lucrezia della National Gallery di Londra dipinto da Lorenzo Lotto, l’eccezionale Venere e Amore di Lambert Sustris del Louvre, Venere e Marte legati da Amore di Veronese del Metropolitan di New York e davvero molti altri.

Fig. 1. Copertina del catalogo della mostra.

Ma torniamo alla domanda iniziale: perché questi capolavori mancano in mostra ma ci sono nel catalogo? Purtroppo la risposta è semplice, perché questa non è una mostra concepita per Palazzo Reale a Milano, bensì è una mostra nata per le sale del Kunsthistorisches Museum di Vienna e poi traghettata solo in un secondo momento a Milano. È come se il catalogo nella parte relativa alle opere sia stato semplicemente tradotto in italiano, senza fare alcuno sforzo critico per adattarlo alle esigenze italiane o alcun tipo di modifica nell’impaginazione e senza togliere le opere che non sono state prestate a Milano. In fondo al volume è stato aggiunto un breve inserto con le immagini di alcuni dipinti esposti esclusivamente a Palazzo Reale ma senza includerle veramente nel discorso critico sia del catalogo che, d’altra parte, della mostra stessa. Di fatto tra il catalogo e la mostra vera e propria, quella cioè che si vede nelle sale di Palazzo Reale, ci si trova davanti a due mostre in una. È pur vero che di fatto il succo rimane quello, e che anche senza quelle straordinarie opere la mostra di Milano rimane di buona qualità e funziona abbastanza bene, ma spiace, e molto, ancora una volta trovarsi davanti a una operazione non del tutto trasparente. E va aggiunto ancora che praticamente i prestiti che si sono mantenuti (ma non vale per tutte le opere) siano quasi esclusivamente quelli del Kunsthistorisches Museum di Vienna e pochissimo altro. Un’operazione simile, in cui il catalogo della mostra non rispecchiava a pieno la mostra stessa, l’abbiamo d’altronde già constatato quando siamo andati a vedere la mostra su Tintoretto a Palazzo Ducale a Venezia; anche se in quel caso il catalogo, che era uno per due mostre, la differenza tra le opere presenti e quelle mancanti ma presenti in altra sede erano decisamente minori. Un’altra operazione simile c’è stata alla mostra andata in scena al Castello Sforzesco di Milano Il Corpo e l’anima, anche se in quel caso seppure il catalogo fosse lo stesso per due mostre concepite una al Louvre e l’altra a Milano, nel volume era molto ben chiaro quali opere fossero presenti a Parigi e quali invece a Milano e quali ancora erano presenti in entrambe le sedi espositive.

Ma che cosa si vede davvero in mostra?

Va detto ancor prima di iniziare che le sale della mostra erano decisamente troppo affollate di gente. A stento si riusciva ad avvicinarsi alle opere talmente tanta era la ressa: un vero assembramento! E non è la prima volta che ci capita in tempo di covid. È vero che era sabato mattina, ciononostante credo che sarebbe meglio (dato anche i tempi che corrono), se invece di pensare sempre e solo al profitto si pensasse alla salute della gente e anche delle opere come prima cosa. Un altro appunto da fare prima di dedicarci completamente alle opere esposte, è quello sulle luci. Questa volta i curatori si sono superati: troppo buio, assolutamente troppo buio! Ho rischiato di cadere, inciampando più di un paio di volte perché non vedevo letteralmente dove mettevo i piedi. Va bene la teatralizzazione dell’ambiente ma in questo caso alcune opere erano quasi in ombra.  

All’esposizione di Milano sono giunte oltre un centinaio di opere, di cui 47 dipinti, 16 di Tiziano molti dei quali, come abbiamo già visto, in prestito dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, cui si aggiungono sculture, oggetti di arte applicata come gioielli, libri e grafica. La mostra è divisa in 11 sezioni ovvero: I Premessa; II. Ritratti; III. Le “Belle veneziane”; IV. “Apri il cuore”; V. Coppie; VI. Eroine e sante; VII. Letterati, polemisti, scrittori d’arte; VIII. Donne erudite. Scrittrici, poetesse, cortigiane; IX. Venere e gli amori degli dei; X. Allegorie; XI. Oltre il mito. L’esposizione – afferma la curatrice – aspira a riflettere sul ruolo dominante della donna nella pittura veneziana del XVI secolo, che non ha eguali nella storia della Repubblica o di altre aree della cultura europea del periodo.

La mostra inizia con due opere, una Madonna con il bambino di Tiziano e Adamo ed Eva di Tintoretto due magnifici quadri che presentano le protagoniste femminili dell’Antico e del Nuovo Testamento. Eva e Maria hanno avuto un’influenza decisiva nel determinare il ruolo della donna nella società cristiana lungo l’intero corso della storia, incluso il Cinquecento veneziano.

Fig. 2. Tiziano, Madonna col Bambino, 1510-1511, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

Subito dopo si apre la sezione dei ritratti, dove di eccezionale importanza sono i ritratti reali di donne di mano di Tiziano che ritraggono dunque personalità di case principesche non veneziane, come il Ritratto di Isabella d’Este in nero (1534-1535), marchesa di Mantova, e di sua figlia Eleonora Gonzaga della Rovere (1537), duchessa di Urbino. Mirabile dal punto di vista della qualità è anche lo splendido Ritratto di giovane donna (1540 circa) di anonimo pittore bresciano, un dipinto degno della ritrattistica di Moretto o Moroni. Lì accanto a testimoniare la ricchezza dei gioielli che le dame dipinte sfoggiano, compaiono teche all’interno delle quali si possono ammirare dal vero alcuni di quei gioielli che compaiono dipinti nelle opere.

Fig. 3. Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este in nero, 1534-1536 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

All’inizio del XVI secolo, come afferma la cartella stampa, si diffonde nella pittura veneziana un genere di ampio successo, a metà strada tra il ritratto reale e quello ideale. Le “Belle veneziane”, soggetto ambito dai collezionisti di tutta Europa, sono donne affascinanti che guardano l’osservatore con occhi vivaci, giocherellano con i gioielli o con i capelli, indossano abiti sontuosi e compiono gesti che possono apparire invitanti o moderatamente lascivi. Negli ultimi quarant’anni questi dipinti sono stati oggetto di una forte polarizzazione nell’interpretazione: sono ritratti più o meno idealizzati di spose promesse o novelle; tra gli esemplari che si possono ammirare in mostra troviamo la Giovane donna in abito blu (post 1514) e la Giovane donna in abito verde (post 1514) entrambe di Palma il Vecchio, le quali indossano un gioiello estremamente particolare, una sorta di doppia fede i cosiddetti “anelli gemelli” che simboleggiavano il fidanzamento delle fanciulle con i loro promessi. Accanto a questi ritratti una teca di vetro mostra uno di questi curiosi gioielli.

Fig. 4. Palma il Vecchio, Giovane donna in abito blu, post 1514, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

Proseguendo nelle sale si incontrano una serie di ritratti femminili che mostrano il seno allo spettatore. Questo gesto che per molto tempo si è creduto facesse riferimento ad atti di prostituzione o comunque che lasciasse trasparire espliciti riferimenti erotico-sessuali, in realtà secondo recenti riletture sarebbe da interpretare non come un invito al sesso ma come il casto desiderio di “aprire il cuore”, mostrando con piena sincerità il proprio sentimento. In questa sezione si possono ammirare degli autentici capolavori come la magnifica Lura (1506) di Giorgione e la splendida Giovane donna con cappello piumato (1534-1535) di Tiziano. Nel dipinto di Giorgione, spiega la cartella stampa, la giovane donna prende il nome dalle fronde d’alloro (“lauro”) sullo sfondo: schiude la falda dell’abito rosso, e lascia cautamente spuntare un seno. L’atteggiamento delicato e lo sguardo limpido e lontano non alludono in alcun modo alla lascivia o a una smaccata offerta sessuale, ma anzi lasciano intendere un tipo di amore più spirituale e quindi puro.

Fig. 5. Giorgione, Laura, 1506, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

Più avanti sono i ritratti di coppia che animano la mostra milanese; – citiamo sempre dalla cartella stampa – alle soglie del Cinquecento nasce a Venezia e si diffonde in Europa un tema di successo: dipinti, o anche sculture, che rappresentano affettuose attenzioni fra coppie di amanti: baci, carezze, sguardi languidi, scambio di doni. Spesso nell’arte nordica, ma anche nell’arte veneziana del Cinquecento questi ritratti contengono numerosi riferimenti allusivi e dai più diversi significati allegorici. Non è chiaro se si tratti infatti di scene di corteggiamento, di sincere effusioni di autentica e reciproca passione, oppure se si alluda a scene di prostituzione e di amore a pagamento. Collane, monete e strumenti musicali giocano spesso un ruolo simbolico. Uno tra i dipinti più enigmatici e dal carattere fortemente sensuale esposti in mostra sono Gli amanti (1525-1530 circa) di Paris Bordon proveniente dalla Pinacoteca di Brera, mentre ben più esplicito nella sua simbologia e allusione all’atto sessuale è la Giovane donna con vecchio di profilo (1515-1516 circa) di Giovanni Cariani. Più canonico forse, ma altrettanto intenso nel messaggio comunicativo è la Dama con ritratto virile (1525-1528 circa) di Bernardino Licinio poco distante da un altro suo dipinto, vale a dire la Giovane dama con il suo promesso (1520 circa), dove torna il gesto della fanciulla di lasciare il senso destro scoperto perché venga contemplato dal suo promesso sposo che in un gesto di affetto matrimoniale le stringe il polso sinistro, mano a cui presto la giovane e sensuale dama porterà la fede nuziale.

Fig. 6. Bernardino Licinio, Giovane donna con il suo promesso, 1520 circa, Parigi, Gallerie Canesso

La sensualità e l’erotismo si colgono chiaramente anche in alcuni dipinti dal carattere mitologico e sacro. Il mondo classico, continua la cartella stampa, e in particolare l’antica Roma, propone la nobile matrona Lucrezia, disposta a togliersi la vita per difendere il proprio onore dopo aver subito violenza da parte di Sesto Tarquinio. Eccola dunque nel superbo dipinto di Tiziano dal titolo Lucrezia e suo marito (1515 circa); il dipinto contiene in sé eros e thanatos in un rapporto duale così esplicito da essere stato scelto come immagine coordinata dell’intera esposizione. Straordinario l’effetto della veste bianca di Lucrezia simbolo di purezza e il volto che sbuca dalle tenebre di Collatino quasi come se fosse un fantasma venuto a tormentare l’anima della disgraziata Lucrezia. Accanto all’opera appena menzionata si trova un altro dipinto di Tiziano questa volta dell’estrema maturità stilistica dell’artista ovvero il Tarquinio e Lucrezia (1570-1576); qui la materia si fa vibrante, il colore si sfalda nelle pennellate veloci e nella luce fioca. L’iconografia di Lucrezia è stata studiata anche da un altro protagonista del cinquecento veneziano, vale a dire Paolo Veronese che, nella sua personale interpretazione dell’eroina romana, fa emergere l’eleganza e la brillantezza degli abiti e dei gioielli; Lucrezia è divenuta un’attrice che recita per noi davanti al proscenio e ci fa vivere con lei le emozioni più strazianti e dolorose della sua umanità.

Fig. 7. Tiziano, Lucrezia e suo marito, 1515 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

Se nella sala che abbiamo appena lasciato Lucrezia era la nostra “eroina profana” nella successiva è la casta Susanna “eroina sacra” che abbaglia gli occhi di noi spettatori, insieme a Giuditta e a Maria Maddalena. Da una parte troviamo una serie di opere dedicate alla Giuditta con la testa di Oloferne come la versione che ne danno Lorenzo Lotto all’altezza del 1512 e ancora uno dei protagonisti della mostra, cioè Paolo Veronese. Se l’immagine che dà Lotto della Giuditta, seppure di straordinaria bellezza, rientra a pieno nel novero delle iconografie cinquecentesche, la versione che ne dà Veronese è di estrema teatralità. La Giuditta (1580) di Veronese, proprio come il suo pendant nella sala precedente con la Lucrezia, dà sfoggio delle abilità stilistiche e tecniche della pittura del Caliari, dove l’artista, attraverso la pittura, fa sfoggio di abiti sontuosi e di gioielli sfarzosi e preziosi. La drammaticità della scena viene quasi completamente assorbita dal luccichio delle pietre preziose indossate da Giuditta e dai suoi decoratissimi abiti dal sapore squisitamente veneziano. Ma in questa sala le sorprese non sono finite qui; appena ci si volta, ci si trova davanti la monumentale tela di Jacopo Tintoretto, Susanna e i vecchioni (1555-1556 circa) capolavoro del Kunsthistorisches Museum di Vienna. La mastodontica quanto sensuale Susanna che, nuda si sta per lavare, è osservata da due anziani che, vogliosi, la spiano con intenti lascivi, minacciandola di morte se avesse osato denunciarli. La scena immersa in una fitta vegetazione è davvero incredibile. Susanna dalla carnagione perlacea e dal corpo sinuoso ha davanti a sé una serie di oggetti da toletta che si possono osservare dal vero nella teca che sta accanto alla tela, così che lo spettatore possa farsi un’idea reale di quali fossero gli oggetti che venivano utilizzati dalle nobildonne alla metà del Cinquecento. Nella medesima sala si trova anche una splendida Santa Maria Maddalena di Tiziano (1565 circa) proveniente da Stoccarda. In questo dipinto (una delle tante e toccanti versioni, merita qui una menzione almeno la straordinaria versione di Palazzo Pitti a Firenze), Tiziano ha saputo trovare un prezioso accordo tra bellezza e devozione, seduzione e preghiera, fascino e mortificazione.

Fig. 8. Jacopo Tintoretto, Susanna e i vecchioni, 1555-1556 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

La sezione successiva racconta la Venezia degli editori. La cartella stampa ci informa che le geniali soluzioni tipografiche adottate da Aldo Manuzio allargano la cerchia dei lettori e delle lettrici, che gradiscono in modo particolare la maneggevolezza di libri di piccolo formato. L’attività editoriale è anche sostenuta da un dibattito intellettuale ricco e vario, in cui spesso non manca il sapore vivace della polemica. Il mondo delle lettere e quello delle arti figurative sono strettamente intrecciati, in parte per l’amicizia che lega fra loro alcuni dei protagonisti (come nel caso celebre di Tiziano e Pietro Aretino), e in parte perché i temi affrontati trovano un pubblico appassionato. In questa sezione spiace che non siano giunti da Basilea e Vienna gli splendidi Ritratti di Tiziano di Pietro Aretino e di Benedetto Varchi, celebre per la famosa disputa sul primato delle arti (che avrebbero certamente meglio esemplificato una sezione davvero interessante), ma purtroppo ci si deve accontentare del dipinto dall’attribuzione incerta e della qualità modesta raffigurante Sperone Speroni attribuito a Tiziano in persona con un punto di domanda tra parentesi.

Poco più in là si trovano due magnifici ritratti; il primo è di Alessandro Bonvicino detto Moretto e rappresenta una Salomè che porta il volto di Tullia d’Aragona (1540 circa), un vero capolavoro da ammirare per ore (se solo ce ne fosse stato il tempo e meno gente) e l’altro è di Domenico Tintoretto e raffigura il Ritratto di Veronica Franco (1580-1590 circa). Queste erano cortigiane che coltivavano la passione per la poesia fino a divenire delle vere e proprie poetesse. Questa sezione, come spiega la cartella stampa, vuole raccontare proprio l’universo femminile che nel 1500 entra in modo significativo nel mondo letterario, fino a quel momento riservato prevalentemente agli uomini. Grazie a genitori “illuminati”, le figlie di nobili e cittadini cominciano ad acquisire una formazione umanistica che consentiva loro di cimentarsi in vari campi: poesia petrarchesca, orazioni, lettere, trattati, dialoghi e molto altro. Significativo è tuttavia il fatto che molte delle loro opere vennero pubblicate postume poiché è evidente che lo strapotere maschile era ancora molto forte e dominante.

Fig. 9. Alessandro Bonvicino detto Moretto, Salomè (Ritratto di Tullia d’Aragona), 1540 circa, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo

Nella sezione successiva protagonista è la pittura di soggetto mitologico, in particolare la vicenda di Venere e Adone, tema affrontato spesso dagli artisti, Tiziano in primis: eccellente occasione per rappresentare una splendida donna, perdutamente innamorata, ma anche un’opportunità per mettere in guardia sui rischi dell’amore. In questa sala sono davvero tante le opere straordinarie; dalle Ninfe al bagno (1525-1528) di Palma il Vecchio alla superba Venere, Marte e Amore (1550 circa) di Tiziano. Qui spiace che non sia giunta la tela di Lambert Sustris con Venere e Amore (1550) del Louvre o quella con Venere e Marte legati da Amore di Veronese del Metropolitan di New York; questi confronti da soli sarebbero bastati per fare una visita alla mostra: peccato!

Fig. 10. Tiziano, Venere, Marte e Amore, 1550 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

Accanto alla tela di Tiziano ce ne sono altre sempre del grande pittore veneziano che raffigurano i cosiddetti “amori degli dei” tratti dalle Metamorfosi di Ovidio il celebre poema in latino, come narra la cartella stampa, composto all’inizio del primo secolo dopo Cristo: una fantasiosa e ricchissima raccolta di miti, personaggi, amori distribuita in quindici capitoli. Più volte tradotto, interpretato, “moralizzato” in chiave cristiana e illustrato in miniatura o in incisione, il libro ha offerto moltissimi spunti agli artisti, Tiziano in primis. Gli ingegnosi travestimenti adottati da Giove per ottenere pieno successo nelle ripetute e fortunate avventure amorose sono temi molto frequenti nell’arte del Cinquecento. Ecco allora che accanto a Venere, Marte e Amore si trova la terza versione della Danae (post 1554) quella che viene dal Kunsthistorisches Museum di Vienna; qui spiace che non sia giunta la sublime versione di Capodimonte, un suo raffronto con quella di Vienna avrebbe certamente esemplificato al meglio il cambio stilistico di Tiziano tra la sua fase ancora giovanile e quella più matura della sua pittura. Lì a pochi centimetri c’è anche la splendida tela con Venere e Adone (1555-1557 circa) di collezione privata. Sulla parete accanto invece si trova anche una giunonica Venere di Palma il Vecchio che tuttavia nulla aggiunge a questa sezione.

Fig. 11. Tiziano e bottega, Danae, post 1554, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

Cambiamo sala, siamo quasi giunti al termine del nostro viaggio, e vediamo alcune tele davvero magnifiche sempre legate agli amori degli dei e alle Metamorfosi ovidiane, tra cui la grande tela con Leda e il Cigno (1550-1560) di Tintoretto, una sublime versione di Venere e Adone (1560 circa) di Paris Bordon, una rivelazione della mostra seppure non squisitamente illuminata, e la grande tela di Paolo Veronese con il Ratto di Europa (1578 circa) proveniente da Palazzo Ducale a Venezia. Qui ancora una volta Veronese si dimostra vero precursore del Barocco, nonché grande interprete della più sensuale ed erotica teatralità veneziana.

Fig. 12. Paolo Veronese, Ratto di Europa, 1578 circa, Venezia, Palazzo Ducale

Eccoci infine giunti all’ultima sala, qui si possono ammirare due tele entrambe di Tiziano; la prima è l’Allegoria della Sapienza (1560 circa), una tela ottagonale che, come ci dice la cartella stampa, nel suo luogo originario è inserita nel soffitto dell’atrio della Libreria Marciana, la nobilissima biblioteca costruita da Jacopo Sansovino di fronte al Palazzo Ducale di Venezia. È stata dunque concepita per accogliere un pubblico di visitatori colti, predisposti a cogliere i rimandi alla letteratura e le sottigliezze umanistiche, ma capaci di apprezzare anche come Tiziano abbia saputo dare forma e corpo al soggetto erudito (variamente identificato come rappresentazione della Sapienza o della Storia), offrendo all’allegoria una concreta fisicità e una credibile forza di sentimenti. La seconda è la Ninfa e pastore (1570-1575 circa) del Kunsthistorisches Museum di Vienna. La tela, sempre come informa la cartella stampa, fa parte della fase estrema della carriera artistica del pittore e sembra esprimere la sintesi del suo “credo” nella forza primordiale della donna. È lei infatti che domina la scena: sdraiata su un fianco su un vello d’animale, in mezzo a un paesaggio che sembra quasi lo scenario di un cataclisma, gira la testa verso l’osservatore; sembra ascoltare, alle sue spalle, un giovane coronato di foglie con un flauto tra le mani. Lo sguardo languido, stanco ma consapevole, sottolinea che è solo lei, la donna, a comprendere la forza del destino, della natura, che regna sopra la civilizzazione, l’amore e l’arte.

Fig. 13. Tiziano, Ninfa e pastore, 1570-1576 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemaldegalerie

È con questa opera che il visitatore si congeda dalla mostra, ammaliato dalla sensualità dello sguardo della Ninfa che invece di fissare il suo amante fissa lo spettatore con occhi languidi e vogliosi. Questa Ninfa così corporea e così vivida è una figura possente e sensuale fatta di carne e di colore.

Seppure sia vero che la mostra a Palazzo Reale presenta indubbiamente delle criticità che credo emergano bene da questa recensione, credo anche che la mostra sia un’opportunità unica per poter vedere, e tutte in una volta, opere di eccezionale valore culturale e artistico e per ciò merita certamente almeno una visita.

Marco Audisio

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