La mostra Federico da Montefeltro e Francesco di Giorgio: Urbino crocevia delle arti, curata da Alessandro Angelini, Gabriele Fattorini e Giovanni Russo è un piccolo scrigno di capolavori ed è ospitata nelle sale al piano terreno dello splendido Palazzo Ducale di Urbino. La mostra in scena fino al 9 ottobre prossimo raccoglie circa ottanta opere tra pitture, sculture, codici miniati e disegni.

L’esposizione vuole celebrare la figura del duca Federico da Montefeltro (Gubbio, 1422 – Ferrara, 1482) come promotore delle arti e per estensione la città di Urbino che sotto il dominio del suo signore prosperò nella produzione di opere d’arte straordinarie. La mostra si suddivide in sette sezioni, la prima delle quali si intitola “Ritorno di Federico da Montefeltro a Urbino. Piero e gli antefatti prospettici (1462-1476)”. In questa sezione della mostra si vuole celebrare la figura di Francesco Di Giorgio (Siena, 1439-1501) che nell’ottavo decennio del Quattrocento viene nominato da Federico da Montefeltro architetto ducale. Durante questo periodo infatti, Francesco Di Giorgio si assunse il ruolo di soprintendente ai lavori della fabbrica del palazzo ducale nonché di capomastro delle architetture militari sparse per il ducato di Urbino. Tra gli anni Sessanta e Settanta del Quattrocento Urbino vide sempre di più la presenza fissa del suo duca e del suo architetto di corte. In questa sezione sono esposte opere davvero straordinarie che tentano di ricostruire il contesto entro il quale iniziò a operare Francesco di Giorgio. C’è da segnalare almeno la superba Flagellazione (circa 1452) di Piero della Francesca, vero enigma interpretativo della storia dell’arte che nonostante gli ultimi studi si fa ancora fatica a decifrare pienamente (non è questo il caso di dilungarsi, lasciamo al visitatore la lettura attenta della scheda in catalogo), nonché il bel Busto ritratto di Battista Sforza (circa 1475), meditato sulle opere di Piero, di Francesco Laurana proveniente dal Museo Nazionale del Bargello di Firenze; o ancora la magnifica Madonna col Bambino e angeli (circa 1455-1457) di Michelino di Giovanni da Fiesole, proveniente dalla stessa Galleria Nazionale delle Marche proprio come la Flagellazione di Piero. Spetta sempre a Piero della Francesca l’imponente affresco strappato dalla chiesa di Sant’Agostino presso Sansepolcro raffigurante San Giuliano (1453-1454) oggi conservato presso il museo Civico della cittadina ed esposto in mostra accanto alla Flagellazione.

Si passa poi alla seconda sezione dal titolo “Francesco di Giorgio da Siena a Urbino”. Qui viene messa a fuoco l’attività dell’artista che dopo un’iniziale fase senese si traferisce a Urbino come architetto e artista di corte. La sua attività è documentata con certezza a partire dal 1477 e in questa sezione si possono ammirare opere sia pittoriche che scultoree che richiamano l’attività senese dell’artista. Si possono qui menzionare lo splendido e allo stesso tempo funereo Gisant di Mariano Sozzini il Vecchio (1467-1470 circa); questo splendido monumento in bronzo era un tempo creduto del Vecchietta, antico maestro di Francesco di Giorgio, ed era destinato alla chiesa di San Domenico a Siena. Qui Francesco di Giorgio riprende la lezione vecchiettesca ma infonde al bronzo un’energia e un vigore prima sconosciuti. Si deve ancora parlare per un momento del periodo senese dell’artista e fare riferimento al vibrante San Gerolamo penitente bronzeo (1470-1475 circa), proveniente dalla collezione seicentesca del cavaliere Agostino Chigi senior. Anche in questo caso l’opera fu creduta del Vecchietta, ma ad una osservazione più attenta si rivelano tutte le peculiarità di un artista eccezionale come Francesco di Giorgio che dimostra di aver assimilato i più moderni stilemi donatelliani, specie nell’interpretazione pittorica dello stiacciato con cui risolve il magnifico sfondo naturalistico e alcune parti del corpo, soprattutto la schiena, di San Gerolamo. Da menzionare è pure la Madonna con il Bambino e un angelo della Pinacoteca Nazionale di Siena che in mostra evoca la presenza di una bottega già attiva con Francesco Di Giorgio, tanto che questo pezzo è attribuito al cosiddetto “Fiduciario di Francesco” un sodale dell’artista che molto probabilmente seguì il maestro a Urbino.

La terza sezione rivela davvero tutte le straordinarie abilità di Francesco di Giorgio come scultore e infatti la sezione si intitola “Francesco di Giorgio bronzista e plasticatore” e vuole mettere a confronto la pratica bronzista dell’artista con quella di plasticatore e di mostrare il lavoro di Francesco di Giorgio attivo per la corte feltresca. Qui l’opera attorno alla quale ruota l’intera sezione è, nemmeno a dirlo, lo splendido gruppo fittile policromo raffigurante il Compianto sul Cristo morto (1486-1489 circa). L’opera nel Cinquecento si conservava presso la chiesa di San Benedetto fuori porta Tufi a Siena mentre attualmente si trova presso la chiesa dei Santi Niccolò e Giacomo di Quercegrossa. Vicino a questo grande gruppo scultoreo di grande intensità emotiva, si trova il suo “modelletto” preparatorio anch’esso in terracotta policroma, ma non in buono stato di conservazione e che normalmente viene conservato presso la Galleria Nazionale di Arte antica di Palazzo Barberini a Roma.

Accanto a questi capolavori dell’artista senese è esposto anche lo splendido Compianto bronzeo (1475 circa) eseguito per la chiesa di Santa Croce a Urbino e oggi conservato presso la chiesa di Santa Maria del Carmine a Venezia; l’opera dimostra di meditare sulle ultime novità donatelliane in tema di effetti plastici impressionistici e vibranti accensioni materiche, inoltre nello sfondo compaiono effigiati oltre a Federico da Montefeltro, suo figlio Guidobaldo erede ducale e il fratello Ottaviano Ubaldini. In questa sezione poi, occasione più unica che rara, è possibile osservare insieme due versioni della Battaglia di nudi detta la Discordia (raffigurante forse l’episodio con Licurgo e le menadi), rispettivamente bozzetto e opera finita eseguite con la tecnica dello stucco con tinteggiatura tratti forse da una matrice in cera; il bozzetto è oggi presso la collazione Chigi-Saraceni a Siena e l’opera finita è invece conservata presso il Victoria and Albert Museum di Londra. In questi due rilievi è possibile ammirare la contorsione dei corpi tipici della materia plastica del Pollaiolo e la straordinaria resa prospettica già memore di influenze pierfrancescane e urbinati. Prima di abbandonare la sezione bisognerà sostare a lungo anche sulla Flagellazione bronzea del maestro senese, eseguita intorno al 1475-1480 circa e oggi conservata presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia. Anche in questo caso è possibile osservare i frementi corpi plastici resi alla maniera donatelliana con l’uso di una prospettiva assai precisa meditata a partire da echi urbinati, forse pierfrancescani come nel caso della cosiddetta Discordia.

La quarta sezione della mostra ha titolo “Pittura di corte all’ombra di Piero della Francesca” e offre uno spaccato di quelli che erano gli artisti che circolavano sotto il dominio di Federico da Montefeltro presso la sua variegata ed eterogenea corte ducale. Qui sono esposti degli autentici capolavori come la bellissima Madonna col Bambino benedicente e due angeli detta di Senigallia (circa 1474) di Piero della Francesca, dove un interno domestico e signorile viene rischiarato da una luce tutta naturale che penetra dalla finestra piombata sul retro e illumina i convenuti a questa muta e algida sacra conversazione. Tutto è congelato e allo stesso tempo freme di una emotività pressoché spirituale e divina; qui Piero nelle sue algide forme geometrizzate medita sull’umano e sul divino e ne offre un’interpretazione davvero magistrale. Non si finirebbe mai di osservare i particolari di questa piccola tavola: dalla cesta di vimini in alto a destra che sporge leggermente dietro la figura angelica che avrà forse suscitato qualche fremito nell’arte di Caravaggio, chi lo sa, sistemata in una sorta di nicchia incorniciata da un motivo rinascimentale a candelabro, fino alla gestualità dei personaggi, dalle mani degli angeli fino a quelle della Vergine che tiene teneramente i piedini di un Gesù bambino troppo intento a benedire gli astanti (vale a dire noi spettatori) per curarsi del gesto umano e infinitamente materno della madre. L’opera è probabilmente collegata con il matrimonio proforma avvenuto nel 1474 tra Giovanna da Montefeltro terzogenita del duca Federico e Giovanni della Rovere nipote di Sisto IV e futuro signore di Senigallia.

Questo assoluto capolavoro della storia dell’arte dialoga con la tavola di Pedro Berruguete, ovvero il Ritratto di Federico da Montefeltro e del figlio Guidobaldo (1476 circa), un tempo sopra l’ingresso dello studiolo al confine tra gli spazi privati del duca e quelli pubblici degli appartamenti di rappresentanza del signore. Qui è interessante il confronto tra l’elmo alla base dell’opera, che sembra nella sua instabilità sporgere dalla tela, e quello che Piero della Francesca pone alla base della sua Pala di San Bernardino (1472 circa) oggi alla Pinacoteca di Brera a Milano. Il dialogo si fa poi sempre più fitto e interessante osservando due opere che raffigurano lo stesso soggetto, vale a dire Guidobaldo da Montefeltro, figlio del signore di Urbino. La prima è la versione che ne dà Luca Signorelli e che risale al 1478 circa, la seconda è la versione che ci offre Bartolomeo della Gatta intorno al 1480-1481 circa. E sempre in questo contesto si trova l’enigmatica quanto affascinante e intellettualistica tavola, ricondotta alla mano di Jacometto Veneziano, raffigurante il Ritratto del matematico Luca Pacioli e di Guidobaldo da Montefeltro (1495) proveniente dal Museo Nazionale di Capodimonte.

Ed eccoci arrivati ora alla quinta sezione della mostra che occupa ben due sale molto bene allestite e che si chiama “Cultura prospettica e lume fiammingo” che come dice la cartella stampa dell’esposizione «mette in evidenza che in pittura l’ambiente urbinate di quegli anni si caratterizzò per straordinarie sperimentazioni, quale centro d’avanguardia in Italia». Il cosmopolitismo di una corte quale era Urbino verso la fine del Quattrocento viene bene testimoniato dalla Cronaca di Giovani Santi, il padre del grande Raffaello. In questo lasso di tempo, ovvero quello compreso tra gli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento, numerosi artisti hanno un soggiorno urbinate come ad esempio Bartolomeo della Gatta che in mostra è presente con un’opera eseguita proprio a Urbino e cioè il Salvator Mundi (1480-1481) conservato presso la stessa Galleria Nazionale delle Marche, messo a confronto con un altro Salvator Mundi (1476-1480) di Melozzo da Forlì conservato presso la Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. Interessante è poi osservare come i frutti della lezione di Piero della Francesca si mescolino con echi fiorentini e perugineschi come bene testimonia la cultura figurativa di Pietro di Galeotto in mostra presente con una interessantissima quanto eccentrica Flagellazione di Cristo (1480 circa, Perugia, oratorio di San Francesco).

In questo giro d’anni al centro del panorama figurativo del ducato si succedono inoltre una serie di personalità dal grande spessore intellettuale e artistico. Si pensi ad esempio allo stesso Piero della Francesca o a maestri fiamminghi attivi a Urbino come Giusto di Gand, o il castigliano Pedro Berruguete. Di quest’ultimo alla mostra sono state radunate, in un allestimento davvero suggestivo, alcuni capolavori, penso ad esempio allo splendido Cristo morto sorretto da due angeli (1476 circa, Milano, Pinacoteca di Brera), realizzato molto probabilmente per lo stesso palazzo ducale di Urbino, dono di nozze tra Gentile da Montefeltro e Agostino Fregoso. Lì a fianco si trova esposto il San Sebastiano (1476-1482 circa) dello stesso Berruguete realizzato per il monastero di Santa Chiara a Urbino e oggi conservato presso la Galleria Nazionale delle Marche. Ancora più a destra si trova esposto invece il Ritratto di Sisto IV della Rovere (circa 1476-1482) che Berruguete eseguì per gli uomini illustri dello studiolo di Federico da Montefeltro. In tutti questi dipinti si evince l’attenzione del maestro castigliano nei confronti del maestro senese; infatti nel San Sebastiano e nel Cristo sorretto dagli angeli è evidente un debito del primo nei confronti del secondo specie per l’attenzione che Berruguete pone nella realizzazione dei potenti corpi plastici, un chiaro richiamo alle opere in special modo in bronzo che Francesco Di Giorgio eseguì in questi anni.

A Pedro Berruguete sono state ricondotte due splendide figure allegoriche tradizionalmente attribuite a Giusto di Gand; raffigurano la Retorica e la Musica e sono state eseguite intorno al 1477-1482 circa. Chiude la sezione una serie di Santi Apostoli (1483-1486) di Giovanni Santi. Le sei tavole dovevano far parte molto probabilmente di un Apostolato che doveva trovare posto nel coro della cattedrale di Urbino. Le opere fanno parte degli esordi del pittore che dimostra di meditare da una parte sugli esiti della pittura prospettica di Piero della Francesca, e dall’altra sull’arte fiamminga testimoniata dalla pala del Corpus Domini (1473-1474) di Giusto di Gand per il palazzo ducale di Urbino ed esposta nelle sale della Galleria Nazionale delle Marche.

All’interno della mostra si possono ammirare anche tre opere di Pietro di Francesco Orioli (Siena, 1458-1496), forse uno dei più attenti seguaci della lezione di Francesco di Giorgio. La prima è una Sacra Famiglia con quattro angeli (1490 circa) che per la resa prospettica di un interno domestico e per la sua calibrata distribuzione delle figure nello spazio aperto su un paesaggio lontano, dimostra qualche connessione non solo con la pittura di Piero ma è traccia probabile di un soggiorno urbinate del nostro Orioli favorito dallo stesso Francesco di Giorgio. La seconda opera è una bella Adorazione dei Pastori (circa 1493-1496) mediata dalla pittura di Luca Signorelli e del Maestro di Griselda nella Siena di Francesco di Giorgio. La terza opera esposta è invece una Adorazione dei pastori con San Gerolamo (circa 1490-1492) di collezione privata che come la precedente tavola dimostra di guardare alla lezione del maestro senese frutto del soggiorno dell’Orioli proprio a Urbino e proprio in seguito alle novità introdotte a corte da Francesco di Giorgio. Nella tavola di destinazione privata, così come nelle altre due esposte in mostra è chiara la ricerca intorno ai principi di una prospettiva precisa e puntuale, nonché la forte vocazione scenografica delle architetture ancora memori di echi pierfrancescani.

Concludono la mostra la sesta e la settima sezione che si intitolano rispettivamente “Francesco di Giorgio architetto prediletto del duca” che come recita molto giustamente la cartella stampa vuole «illustrare il gusto per un’architettura razionale e all’antica che emerge a corte alla presenza del maestro senese» e “Il cantiere del palazzo e l’ornato all’antica”. Questa sezione prosegue idealmente all’interno degli ambienti del palazzo ducale di Urbino e approfondisce il rapporto tra il palazzo stesso e gli architetti che si sono succeduti nella sua realizzazione; dai primi progetti di Leon Battista Alberti fino agli interventi decisamente più concreti di Francesco Laurana e ovviamente di Francesco di Giorgio in special modo «per quanto concerne la soluzione finale e l’assetto definitivo dell’architettura con le sue preziose decorazioni». Vorrei chiudere questa recensione commentando solo per un instante la nuova attribuzione che si può leggere nel pregevole catalogo scientifico della mostra appena brevemente descritta, della magnifica Prospettiva architettonica (1475 circa) conservata all’interno del percorso espositivo della Galleria Nazionale delle Marche che portava un’attribuzione a Luciano Laurana e che dopo la mostra viene restituita a Donato Bramante. La tavola proviene dal convento di Santa Chiara a Urbino ma faceva forse parte di una serie e aveva forse funzione di spalliera da stanza in analogia con quelle descritte da Vitruvio nel suo trattato. Vista l’alta qualità dell’opera e riprendendo un’antica fonte del 1775 che la riferiva al giovane Bramante, i curatori della mostra hanno voluto proporre per questa bellissima tavola l’attribuzione all’artista marchigiano proprio mentre il giovane architetto era attivo a Urbino e si dilettava con esercizi di architettura dipinta in continuità con un contesto artistico assai variegato le cui figure di riferimento erano nemmeno a dirlo Piero della Francesca e Francesco di Giorgio.

Abbiamo visitato le stanze della mostra praticamente da soli, senza che nessuno disturbasse o interrompesse il fluire di questo film per immagini dipinte e scolpite. Data la quantità di gente che fluiva nelle sale della Galleria Nazionale delle Marche ci saremmo aspettati decisamente più gente; forse la fatica che scaturisce dopo aver visto la straordinaria galleria ha tolto le forze anche al visitatore più ostinato, ma non al sottoscritto che motivato dalle voci positive sull’esposizione e dalle immagini che scorgeva sui social non si è fatto sfuggire questa ghiotta occasione. Abbiamo quindi potuto goderci senza alcun ostacolo una mostra che merita certamente di essere vista, sia per il grande lavoro scientifico che gli sta alle spalle, sia per l’allestimento molto ben congeniato e immersivo, dall’illuminazione spesso impeccabile e dalle didascalie efficaci, chiare ma tuttavia rigorose ed esaustive. Ricordo che c’è tempo fino al 9 ottobre per andare a vederla, mi raccomando: fatelo!
Marco Audisio
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