Anche Roma è medievale: una mostra racconta “il volto perduto della città”

Al Museo di Roma di Palazzo Braschi fino al 16 aprile 2023 è possibile visitare la mostra “Roma medievale. Il volto perduto della città”, a cura di Anna Maria D’Achille e Marina Righetti e frutto di anni di studi condotti dai ricercatori della Sapienza Università di Roma. 
Come recita il sottotitolo, l’intento dell’esposizione è quello di raccontare un volto della città che è scomparso nel corso dei secoli ma che – accanto alle antichità romane e al Barocco – ha continuato a far parlare di sé, anche se spesso solo in contesti specialistici. A Palazzo Braschi, invece, finalmente, il grande pubblico ha la possibilità di conoscere i luoghi, l’arte, i popoli e le culture che si sono intrecciati a Roma durante i mille anni di Medioevo. La cronologia scelta parte dalla caduta dell’Impero Romano nel 476 e arriva al trasferimento della sede papale ad Avignone operata da Clemente V nel 1309: il percorso espositivo, tuttavia, non segue un ordine cronologico, ma tematico.

Fig. 1. Testa virile (San Luca evangelista), Città del Vaticano, Musei Vaticani, già Basilica di San Pietro in Vaticano, secondo quarto del XIII secolo

L’introduzione alla mostra avviene con un video che racconta lo sviluppo urbano di Roma e con un’antica rappresentazione dell’Urbe, in cui è possibile riconoscere molti degli edifici che ancora oggi sono i punti di riferimento per i turisti e i pellegrini che ogni giorno affollano le strade della Città Eterna.
Proprio ai pellegrini è dedicata la prima sezione dell’esposizione: Roma fu, infatti, insieme a Gerusalemme e Santiago di Compostela, la meta prediletta per i pellegrinaggi durante il Medioevo, in particolare dopo il primo Giubileo del 1300. I romei europei, africani e asiatici giungevano nella Città Santa per pregare presso le tombe e i resti di santi, martiri e apostoli e per venerare le reliquie legate alla Passione di Cristo (la Scala Santa, la Veronica, i chiodi e il legno della Croce). Nella sala è presentato un registro, a memoria delle istituzioni che si occupavano di accogliere i pellegrini; questi ultimi si distinguevano per la particolare uniforme che permetteva loro di essere riconosciuti al fine di accedere ai servizi assistenziali: restano alcune delle placchette votive che venivano appuntate agli abiti o al cappello a dimostrazione dell’avvenuto pellegrinaggio, esposte accanto a un prezioso altare portatile e a monete che attestano la presenza a Roma di romei provenienti da tutto il mondo.

Fig. 2. Giovanni Sercambi, Croniche delle cose di Lucca, dettaglio con i pellegrini, Lucca, Archivio di Stato di Lucca, inizio XV secolo

Le mete dei pellegrinaggi erano, naturalmente, le grandi Basiliche papali di San Pietro in Vaticano, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e Santa Maria Maggiore. A ciascuna di esse è dedicata una sala, in cui sono raccolte alcune testimonianze risalenti all’epoca medievale. Per San Pietro, la cui primigenia forma andò persa con le modifiche iniziate nel Cinquecento (e della quale ci dà memoria la celeberrima pianta di Tiberio Alfarano), sono presentati due dei tre frammenti ad oggi pervenuti del mosaico absidale voluto da papa Innocenzo III (la Testa di Innocenzo III e una Fenice) ma anche i piccoli affreschi staccati, risalenti al Duecento, con i Volti dei santi Pietro e Paolo dell’antico quadriportico e la Testa virile, forse di san Luca, proveniente dalla facciata di San Pietro.

Fig. 3. Sezione 2, Le grandi basiliche: San Pietro in Vaticano, veduta d’insieme della sala

Si prosegue con la cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano, fondata nel 312 da Costantino e consacrata nel 318. Di essa restano due eccezionali Teste di apostoli, che in origine decoravano il Triclinio Lateranense. Nella sala spicca, per le sue enormi dimensioni, il calco ottocentesco di San Simone del distrutto mosaico absidale della Basilica.

Fig. 4. Testa di apostolo, Città del Vaticano, Musei Vaticani, già Roma, Triclinio Lateranense, fine dell’VIII secolo

San Paolo fuori le mura, andata persa nelle sue forme originali con l’incendio del 1823, lascia le sue forme medievali all’immaginazione. Della Basilica fondata da Costantino sopra il sepolcro di san Paolo è esposto uno dei clipei con ritratti di pontefici che adornavano la navata centrale.
Anche la sala dedicata a Santa Maria Maggiore è scarna di documenti artistici ma è presente una riproduzione del presepe di Arnolfo di Cambio, il più antico della storia dell’arte, realizzato nel 1291 per il sacello che conteneva le reliquie della Natività. La fondazione della Basilica, infatti, era strettamente legata al culto di Maria come madre di Gesù e all’affermazione del dogma della maternità, sancito con il concilio di Efeso del 431.

Fig. 5. Veduta di San Paolo fuori le mura durante l’incendio del 1823, Roma, Museo di Roma, 1823

Il tema affrontato successivamente è quello dell’importanza della figura del papa nel Medioevo, a partire da Gregorio Magno, il quale fu guida sia spirituale che politica per il popolo di Roma. Nella sala sono osservabili documenti librari, monete e mosaici che fanno riferimento agli anni dei pontificati di Gregorio Magno (590-604), Giovanni VII (705-707), Adriano I (772-795), Leone III (795-816), Benedetto IV (900-903), continuando nelle sale successive con Innocenzo III (1198-1216) e Bonifacio VIII (1294-1303). Ma non furono solo i papi a svolgere un ruolo determinante per la cristianità: anche figure come Desiderio, abate di Montecassino e futuro papa Vittore III (1086-1087), svolsero una funzione primaria sia nella politica che nelle scelte artistiche. Nel caso di Desiderio, egli si fece promotore della ricostruzione del monastero benedettino di Montecassino, luogo di grande spiritualità e magnificenza artistica, le cui forme medievali purtroppo sono andate perdute.

Fig. 6. Sezione 3, I papi e Roma, particolare dell’allestimento

Un intermezzo più contemporaneo è dato dalla sezione “Il fiume e la città” che racconta attraverso dipinti, fotografie e disegni prevalentemente ottocenteschi il rapporto tra il popolo romano e il Tevere, presentando scorci e vedute di vita quotidiana e di ruderi medievali. La narrazione riprende nella sala più grande del percorso, che rimanda alla struttura di una chiesa e conserva varie tipologie di apparati liturgici, dai tabernacoli alle croci lignee dipinte, dai reliquiari ai mosaici e ai dipinti murali. Le opere visibili in questa sezione provengono da diverse chiese dell’Urbe e rappresentano delle eccezionali testimonianze dell’epoca medievale. Colpiscono i frammenti di dipinti murali originariamente nella chiesa di San Saba e raffiguranti volti di santi.

Fig. 7. Due santi, Roma, chiesa di San Saba, già Roma, chiesa inferiore di San Saba, 731-741

Non meno impressionanti sono gli affreschi della cripta di San Nicola in Carcere, i vari frammenti di cibori e le lastre marmoree, il Crocifisso dipinto già nel convento di San Sisto Vecchio e, soprattutto, il Reliquiario di sant’Elena e il Coltello eucaristico del cardinale Guala Bicchieri.

Fig. 8. Reliquiario di sant’Elena, Roma, Fondo edifici di culto (conservato nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli), metà del XII secolo

Sulla via di passaggio alla sezione successiva si incontra un altro piccolo intermezzo dedicato alle vedute di Roma ottocentesche, ma in qualche caso anche più antiche, dedicate a “Il comune e le torri dei Barones”. Si torna nel Medioevo con quattro testimonianze dipinte (due pitture murali staccate e due tavole) del culto verso la Vergine Maria. Le icone mariane spesso erano legate a eventi miracolosi ed erano parte della vita cittadina perché venivano portate in processione ed erano oggetto di grande venerazione da parte di tutto il popolo.

Fig. 9. Vergine con il Bambino, Roma, Fondo edifici di culto (conservata nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva), 1295-1300

Il visitatore più accorto avrà notato che alla conta delle maggiori basiliche romane è mancata Santa Croce in Gerusalemme, celeberrima poiché conserva tutt’oggi le reliquie della Vera Croce e dei chiodi di Cristo. La scelta effettuata dai curatori, in questo caso, è stata quella di raccontare la Basilica nella seconda metà della mostra, ricostruendo le parti superstiti della decorazione ad affresco che venne riscoperta nel 1913 dopo quattrocento anni di oblio; essa rappresenta un ciclo di patriarchi e venne realizzata tra il 1123 e il 1148 da almeno quattro maestri, di cui è possibile riconoscere le mani.

Fig. 10 Sezione 6, La decorazione di Santa Croce in Gerusalemme, veduta d’insieme della sala

Se sinora il filo conduttore delle sale era quello religioso, la penultima sezione introduce il tema della vita quotidiana, avvalendosi delle scoperte che hanno seguito gli scavi nella Crypta Balbi, zona urbana caratterizzata dalla produzione manifatturiera, anche di lusso, di cui vengono esposti alcuni reperti in metallo, osso e avorio. Si conclude con una riflessione sulle culture e le comunità che si sono intrecciate nella città: prima tra tutte quella ebraica, insediatasi a Roma a partire dal II secolo avanti Cristo; è mostrato un codice prodotto da uno degli scriptoria ebraici attivi nel XIII secolo. La seconda comunità di cui si vuole dare conto, con un Lezionario del 1221, è quella armena, famosa per il suo ospizio, eretto per accogliere i pellegrini che giungevano nell’Urbe. Inoltre, è presente un codice con la Vita Nilii, l’agiografia di san Nilo da Rossano, fondatore dell’abbazia omonima a Grottaferrata, importante punto di riferimento per la cultura bizantina.

Fig. 11. Sezione 7, La vita nella Roma medievale, particolare dell’allestimento

Al termine è offerta al visitatore una mappa con trenta luoghi importanti per la conoscenza del Medioevo romano, tra cui compaiono – oltre alle Basiliche di cui si è parlato in mostra – alcune chiese o complessi più o meno celebri ma non meno fondamentali: Santa Maria e Santa Cecilia in Trastevere, Santa Maria in Aracoeli, i Santi Cosma e Damiano, San Clemente, i Santi Quattro Coronati, Santa Prassede, solo per citarne alcuni.
La mostra, come si è visto, non ha la presunzione di presentare il Medioevo romano sotto tutte le sue sfaccettature, anzi, è un approfondimento di alcune tematiche che servono da spunto per ulteriori indagini, non solo per gli specialisti ma anche per il grande pubblico che, ora, possiede gli strumenti per poter visitare e leggere con più facilità le tracce del “secolo buio” che la città offre, nascoste ma non del tutto scomparse.

Chiara Dominioni

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