Era il 1921 quando lo storico dell’arte svizzero Heinrich Wölfflin (Winterthur, 1864 – Zurigo, 1945), tornava a contribuire al dibattito, assai acceso, sulla corretta interpretazione delle espressioni figurative con la pubblicazione del saggio Capire l’opera d’arte, edito per la collana “Biblioteca di Storia dell’arte” della casa editrice Seeman di Lipsia.
L’autore, che era stato prima allievo e poi successore di Jacob Burckhardt (Basilea, 1818–1897) presso l’Università di Basilea, era uno degli studiosi più eminenti dell’epoca, noto per aver pubblicato, nel 1915, il volume Concetti fondamentali di storia dell’arte, che delineava un metodo di studio basato sull’analisi delle “forme” che hanno contraddistinto i vari stili nel corso dei secoli, approfondendo in particolare l’arte rinascimentale e barocca. La trattazione, più precisamente, individuava cinque coppie di caratteristi stilistici opposti (ad esempio, “lineare” e “pittorico”), attraverso i quali, secondo l’autore, è possibile cogliere i tratti essenziali di un’opera d’arte e attribuirla all’una o all’altra epoca.
Questo studio si inseriva nella più ampia corrente del “formalismo”, volta ad indagare, come dice la parola stessa, la forma, cioè lo stile, le tecniche e i materiali attraverso i quali l’arte ha trovato espressione nel corso dei secoli, considerate più indicative, rispetto al contenuto, dell’evoluzione dei diversi linguaggi. Capire l’opera d’arte costituiva, in questo contesto, una sorta di corollario ai Concetti fondamentali di storia dell’arte e offriva alcune ulteriori riflessioni sul tema.

In modo a prima vista contraddittorio, il saggio si apre con la domanda: “Devono davvero essere spiegate le opere d’arte?”. Tale quesito, solo apparentemente immediato, costituisce un pretesto di cui l’autore si serve per confutare uno dei falsi miti più diffusi, ovvero che l’arte figurativa sia una forma di espressione universalmente comprensibile.
Sebbene questo possa essere parzialmente vero, se ci si limita alla descrizione del contenuto, comprendere un’opera d’arte in ogni suo aspetto è in realtà un’operazione ben più complessa, assimilabile all’apprendimento di una lingua straniera: occorre iniziare dalle fondamenta, conoscere la grammatica, le espressioni tipiche – cioè, imparare a riconoscere le caratteristiche stilistiche e tecniche – per inquadrare correttamente un oggetto.
Un primo passo verso tale direzione consiste, secondo l’autore, nel “situare il prodotto artistico in un rapporto storico, in virtù del quale soltanto esso può diventare comprensibile”. Tale indicazione è valida sia per le opere d’arte eseguite in un contesto prossimo, sia, a maggior ragione, se l’opera risale ad un’epoca o un tempo remoti rispetto all’osservatore. Il contesto, dunque, risulta fondamentale per comprendere quale sia l’atteggiamento più adatto all’approccio ad un’opera, anche per non incorrere nel rischio di giudicare la sua qualità sulla base di canoni ritenuti universali, che non tengono conto delle peculiarità dell’ambiente nel quale essa ha preso forma.

Innanzitutto, dunque, l’opera deve essere rimossa dal proprio isolamento e inserita in una rete di legami: si tratta di un’operazione complessa, che si sviluppa sia in senso “orizzontale” – allargando lo sguardo verso le altre opere dello stesso autore, poi verso la scuola o il movimento di appartenenza, il territorio e gli altri artisti coevi – sia in senso “verticale”, cioè cronologico. L’analisi del contesto e delle vicende che hanno preceduto e seguito un certo momento della storia dell’arte consente, infatti, di comprendere l’evoluzione dello stile e di cogliere le affinità che accomunano artisti appartenenti a una stessa epoca. Non bisogna inoltre dimenticare, secondo Wölfflin, che l’arte rispecchia le vicende storiche, sociali ed economiche del periodo nel quale viene creata.

Il metodo di analisi sin qui illustrato, sebbene permetta di raggiungere un livello di conoscenza approfondito, risulta, secondo l’autore, ancora incompleto: sarebbe infatti riduttivo considerare la storia dell’arte soltanto come “riflesso” del proprio tempo.
Esiste, infatti, un altro elemento che influisce sulla creazione di un’opera, che Wölfflin individua nelle “possibilità ottiche”, ovvero nelle modalità attraverso le quali, in una determinata epoca, gli individui vedono e interpretano il mondo. Si tratta di un fattore che si sviluppa in modo indipendente dal contenuto e dai condizionamenti esterni, e che delimita il campo all’interno del quale gli artisti operano.
Questo tipo di sensibilità evolve con leggi proprie, le quali, sebbene non siano da intendere in modo troppo rigido, tanto è complesso e stratificato il mondo delle arti figurative, determinano, in ogni epoca, una progressiva evoluzione da forme più “semplici” a forme più complesse, secondo tre gradi: primitivo, classico e barocco. Ad ognuno di questi gradi corrispondono determinate modalità di rappresentazione che li rendono riconoscibili, per cui, tenute presenti tutte le distinzioni necessarie, l’arte di grado “primitivo” di una determinata epoca possiede caratteristiche simili al medesimo grado di un altro periodo storico.

Per agevolare la comprensione, l’autore richiama l’esempio delle sculture dell’Abbazia di Naumburg, risalenti al XIII secolo, considerate fra i vertici dell’arte medievale tedesca. Il lettore viene accompagnato alla corretta osservazione di questi manufatti, scopre il punto di vista migliore per coglierne sia le caratteristiche stilistiche sia la linea “interiore”, il modo in cui si integrano con l’architettura in cui sono inserite, oltre che il particolare contesto storico nel quale vennero realizzate.
Wölfflin, in questo breve saggio, delinea quindi un metodo di approccio alle opere d’arte articolato su diversi livelli: dall’osservazione della forma esteriore, si giunge alla biografia dell’artista, per poi estendere l’analisi al contesto storico. A questi fattori, più tradizionali, si aggiunge l’analisi innovativa del livello di “sviluppo” raggiunto dalla forma.

Riedito – senza alternare i concetti esposti – nel 1940, Capire l’opera d’arte affronta dunque l’annosa questione della corretta comprensione delle arti figurative attingendo da diversi elementi, che vengono però inseriti in un sistema coerente, utile a descrivere un’opera in ogni suo aspetto. A partire dalla comparazione fra esemplari di uno stesso artista, di una stessa scuola o appartenenti alla stessa epoca, passando per l’analisi delle singole biografie e dei periodi storici, il lettore è accompagnato in un percorso che cerca di delineare una prospettiva il più possibile completa. Il fondamento di questo approccio rimane la forma, la sua evoluzione nel corso dei secoli; nuova è, a questo proposito, l’individuazione di un suo percorso autonomo, che si ripete periodicamente. In ogni caso, il saggio di Wölfflin, come sottolineato dallo stesso autore, aiuta a comprendere come l’osservazione un’opera d’arte sia solo in parte un’operazione spontanea e che, accanto al senso di meraviglia che suscitano istintivamente certi capolavori, sia necessaria una certa preparazione per approfondire la comprensione in modo critico.
Chiara Franchi
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