Nelle sale del piano nobile di Palazzo Reale va in scena fino al 26 febbraio 2017 la mostra Rubens e la nascita del Barocco a cura di Anna Lo Bianco in collaborazione con Civita Mostre e il Comune di Milano. Una mostra che riunisce circa settanta opere di cui quaranta appartenenti al maestro fiammingo. È da dire subito che la mostra di Palazzo Reale rientra in quella categoria di mostre che a buon diritto si possono definire di intrattenimento, in quanto non è frutto di ricerche e di studi inediti, ma si limita a raccogliere dati e informazioni già in possesso dagli studiosi. È una mostra prettamente divulgativa, incentrata però su una figura ancora poco conosciuta al grande pubblico, in quanto non rientra (o rientra poco) nei grandi nomi (che continuano a ripetersi in questo tipo di mostre, come l’ennesima mostra su Artemisia Gentileschi) dell’industria culturale. Sotto questo aspetto, la scelta è apprezzabile, ciò non toglie che l’esposizione rientri nel grande mercato dell’industria culturale poiché chi l’ha organizzata è una “cooperativa delle grandi mostre”, se così si può chiamare, con annessa casa editrice, che in questo caso è Marsilio.
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L’esposizione prova a raccontare la vicenda biografica di Peter Paul Rubens (Siegen 1577-Anversa 1640), dalla sua formazione fiamminga al suo prolungato soggiorno italiano (1600-1608), fino agli anni della maturità oltre che la sua influenza su artisti quali Pietro da Cortona e Anton Van Dick. A ogni sezione che compone l’esposizione si affiancano alle opere di Rubens quelle di artisti a lui vicini (come Guido Reni, Gian Lorenzo Bernini, Domenico Fetti, Luca Giordano e altri), da cui il pittore fiammingo ha preso spunto per realizzare le sue, come ad esempio le svariate teste classiche o busti greco-romani che costellano l’esposizione, a dimostrazione di un profondo attaccamento di Rubens per la cultura figurativa italiana classica e rinascimentale.
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Apre la mostra la sezione dedicata al ritratto, dove di una certa intensità penso che sia il ritratto della figlia di Rubens, Clara Serena (Fig. 1). Un’altra opera che lascia stupiti per il suo tragico pathos è quella di tema classico che rappresenta Seneca morente (Fig. 2) per la quale il maestro ha preso spunto dalla statuaria romana, realizzando, prima della stesura definitiva, diversi studi preparatori. Poi si passa alle sezione dedicata alle grandi pale d’altare dove spicca l’Adorazione dei Pastori (Fig. 3) proveniente dalla Pinacoteca di Fermo, che è già stata esposta a Milano l’anno scorso a Palazzo Marino. L’opera dialoga con le altre di medesimo soggetto rispettivamente di Pietro da Cortona e una buona copia dell’Adorazione dei Pastori (la Notte) di Correggio, copia realizzata da Giuseppe Nogari. Una parte di questa sezione è dedicata anche alla permanenza di Rubens a Roma e alla realizzazione su lavagna dell’Adorazione della Vergine per la chiesa di Santa Maria in Vallicella (l’opera che pure non è presente in mostra è continuamente richiamata dai bozzetti e da altri dipinti di simile soggetto).
![rubens-ladorazione-dei-pastori[1].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2016/12/rubens-ladorazione-dei-pastori1.jpg?w=736)
Maestosa e monumentale, oltre che di eccezionale qualità pittorica, è l’opera Ganimede e l’aquila (Fig. 5) ancora una volta piena di riferimenti alla classicità e alla mitologia che dialoga con la truce Strage degli innocenti di un anonimo allievo rubensiano. Due sezioni sono poi dedicate rispettivamente una alla figura di Ercole (con diversi confronti, tra cui l’opera di Guido Reni) e l’altra dedicata invece alla scena della Susanna e i vecchioni (Fig. 4), tema più volte trattato e ripreso da Rubens durante la sua vita.

Una delle ultime opere esposte è Le figlie di Cecrope scoprono Erittonio infante (immagine di copertina), dove bene si manifesta, oltre che il solito riferimento all’antico (come nella fontana in secondo piano, ripresa da una scultura della prima metà del II secolo d.C. rappresentante la dea dell’abbondanza Artemide Efesia), anche e soprattutto la tracotanza della carne, attributo stilistico che rende questo pittore immediatamente riconoscibile. L’opera che è anche l’immagine coordinata della mostra fa emergere non soltanto l’attaccamento di Rubens per il tema classico e quindi per l’Italia, ma nello stesso tempo presta verso i personaggi rappresentati un’attenzione lenticolare tipica della pittura fiamminga. Le opulenti figure che compaiono nelle Figlie di Cecrope ricompaiono qualche anno dopo nel monumentale ciclo delle Storie di Maria De Medici (1621-1635) che si conservano al Louvre.

Sinceramente non ho capito la scelta di chiudere la mostra con un opera di Luca Giordano rappresentante l’Allegoria della Pace (Fig. 6) evocando solamente Le conseguenze della guerra di Rubens, opera grandiosa che si conserva a Firenze presso Palazzo Pitti, che bene avrebbe concluso il percorso e che però non è presente in mostra troncando un po’ in malo modo un’esposizione tutto sommato piacevole. Pesanti (e a mio parere senza senso) risultano anche alcuni espositori, come quello a forma di tempio circolare che racchiude una testa antica, motivati dal fatto che senza di essi la sala risulta forse troppo vuota. L’audioguida anche se decisamente troppo sintetica e non amalgamata (ci sono infatti troppi stacchi tra la voce meccanica dell’audioguida e quella della curatrice, spesso con finali tronchi) risulta in fin dei conti abbastanza chiara ed esaustiva. Il catalogo (29 euro in mostra, 34 euro se acquistato in altre librerie), così come la mostra (12 euro intero, 10 con riduzione) hanno prezzi troppo alti e il rapporto qualità prezzo non ritengo sia equo. L’aspetto positivo del catalogo è che tutte le opere esposte in mostra hanno la loro scheda (seppur non molto approfondita) affiancata all’immagine.

Il merito dell’esposizione è quello di far conoscere al grande pubblico un artista che di fatto ancora oggi risulta in gran parte sconosciuto e che invece ha animato una larga schiera di artisti del XVII secolo, spalancando le porte a quella che sarebbe poi divenuta una delle principali correnti artistiche di quel secolo: il Barocco.
Marco Audisio