Sarebbe troppo bello credere che dopo oltre sessant’anni Palazzo Reale a Milano sia tornato a realizzare mostre degne di questo nome, come la memorabile esposizione su Caravaggio e i caravaggeschi curata nel 1951 da Roberto Longhi (Alba, 1880 – Firenze, 1970), il più grande storico dell’arte del Novecento. Tuttavia l’esposizione dal titolo Dentro Caravaggio, in scena nelle sale del piano nobile di Palazzo Reale a Milano fino al prossimo 28 gennaio 2018 e curata da Rossella Vodret è forse il primo vero sintomo di discontinuità con le mostre passate e di una forte volontà di colmare quell’abisso ormai difficilmente colmabile tra mostre di intrattenimento e mostre di ricerca.

Diverse sono ancora le cose che non vanno, molto in questo senso si sarebbe potuto fare dal punto di vista editoriale; il catalogo così come la mostra sono in parte curate e promosse dalla stessa casa editrice. Impensabile, guardando alla mostra di Longhi, sarebbe stato il trasporto dell’intera cappella Contarelli con le storie di San Matteo in San Luigi dei Francesi o le opere per Monsignor. Tiberio Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma. Senza entrare nei dettagli di quell’evento, si può ancora dire che il nucleo delle opere caravaggesche portate in quel frangente – da Orazio Gentileschi a George de La Tour, da Bartolomeo Manfredi a Mattia Preti, da Valentin De Boulogne a Tanzio da Varallo – fa invidia e gola alle tante, ripetitive e brutte mostre che nei loro titoli inseriscono la parola caravaggeschi o peggio quella di Caravaggio spesso, facendo leva sul fatto che a quelle mostre di opere del Merisi ce n’è solo una e magari di incerta attribuzione. L’operazione critica svolta da Longhi nel lontano 1951 aveva una concezione decisamente differente rispetto a quella contemporanea, dove la cultura e la ricerca erano in uno stato evolutivo e dinamico assai più frizzante di quanto versino oggi. Anche la concezione meramente ludica lasciava allora spazio a quella della formazione e dell’educazione del pubblico. La mostra non era un evento mondano dove cicisbei e donnicciole si scambiavano pettegolezzi da salotto, ma dove una vasta fetta della società e delle sue classi sociali andava a imparare qualcosa di nuovo e nel farlo creava un momento edificante e di crescita. Le ricerche svolte da Longhi già a partire dai giovanili Quesiti Caravaggeschi trovavano la loro ideale conclusione nella grande mostra del 1951. Nel 1952 sarebbe poi arrivato uno dei volumi più importanti della storia dell’arte, titolava Caravaggio e dalla riedizione del 1982 portava un’introduzione scritta da Giovanni Previtali (Firenze, 1934 – Roma, 1988), uno dei tanti e brillanti allievi che avevano animato la vita universitaria di Longhi a sua volta allievo di Pietro Toesca (Pietra Ligure, 1877 – Roma, 1962)R. Quel libro, nonostante tanti siano stati i nuovi e più aggiornati contributi scientifici su Caravaggio (quelli di Longhi in primis), è ancora oggi largamente in uso sia nelle università sia tra gli storici dell’arte.

Ma torniamo alla mostra: Dentro Caravaggio raccoglie nelle sale di Palazzo Reale venticinque opere del grande maestro lombardo ed è in parte un’esposizione scaturita da ricerche scientifiche fatte sia negli archivi (come l’Archivio di Stato di Milano e Roma), sia nei laboratori di restauro e questo va sottolineato. Una nuova ondata di ricerche di carattere scientifico, d’altra parte, era già stata incominciata nel 2010 con il sostegno del Comitato Nazionale per il IV centenario della morte di Caravaggio e la collaborazione dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro oltre che della Soprintendenza speciale per il polo museale romano. Tante sono le cose emerse durante quelle ricerche e proseguite fino al momento dell’inaugurazione della mostra e di cui il catalogo è un prezioso strumento di divulgazione: ad esempio si viene a sapere, dalla lettura delle carte dell’Archivio di Stato di Roma, che Caravaggio arriva a Roma durante la quaresima del 1596 e non nel 1592 come si è sempre creduto. Questo ha fatto nascere nuove ricerche per cercare di sistemare cronologicamente il grande corpus di opere realizzate dal Merisi tra il 1596 e il 1600, anno sicuro dei dipinti della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. Ma le novità non sono finite qui: interessante è il fatto che tra le varie opere di Caravaggio, eseguite durante il 1596-1600, presentino tra di loro degli scarti stilistici notevoli per un lasso di tempo così breve. Gli influssi e le influenze di altri artisti presenti sulla scena romana in quegli anni (dal mediocre Lorenzo Carli ad Antiveduto Gramatica) sono ancora da indagare approfonditamente. Inoltre lo storico dell’arte Riccardo Gandolfi ha scoperto un inedito manoscritto di Gaspare Celio (Roma, 1571 – 1640) databile al 1614 che dovrebbe essere la prima biografia italiana del Merisi; la prima menzione del maestro lombardo si deve infatti al fiammingo Karel Van Mander (Meulebeke, 1548 – Amsterdam, 1606) nel 1604. Dalla biografia del Celio sono riprese le notizie della vita di Caravaggio redatte in seguito dal Mancini, dal Baglione e dal Bellori. Celio tuttavia sembra ripercorrere con più chiarezza e lucidità il motivo dell’arrivo a Roma di Caravaggio. L’occorrenza sarebbe stata quella della fuga da Milano dopo l’uccisione di un uomo.

Dalle carte dell’Archivio di Stato di Milano invece, si viene a conoscenza che Michelangelo Merisi è nato a Milano il 29 settembre del 1571 e che fu battezzato il 30 settembre nella chiesa di Santo Stefano in Brolo. Cade quindi anche la certezza dell’originario paese natale del Merisi ossia Caravaggio (nel bergamasco) da cui rimane tuttavia l’originaria provenienza della sua famiglia. Aggiornamenti documentari che vanno di pari passo con le indagini diagnostiche, radiografiche e spettrografiche eseguite, tra gli altri attori in campo, soprattutto dall’Opificio delle pietre dure di Firenze. Anche qui sono tante le cose emerse dalle analisi di laboratorio.

Nel Riposo durante la Fuga in Egitto della Galleria Doria Pamphili (1597), grazie ad una radiografia, si viene a conoscenza che l’angelo centrale della versione definitiva doveva trovare originariamente posto all’estremità destra del dipinto e che la Vergine con Gesù bambino doveva stare a fianco di San Giuseppe. Nella Buona Ventura della Pinacoteca Capitolina di Roma (1596-1597), sempre per mezzo di indagini radiografiche, si scopre che in precedenza la tela doveva raffigurare una Madonna (non è chiaro se con il Bambino o meno); il volto della Vergine si vede con chiarezza grazie alla radiografia fatta sul dipinto, così il braccio sinistro della figura maschile è sovrapposto al volto femminile di Maria. Ancora nel San Francesco in estasi di Hartford (1595-1596) l’angelo che sorregge il Santo doveva essere in precedenza nudo. Nella Giuditta e Oloferne (1602), commissionata dal potente banchiere genovese Ottavio Costa, protettore di Caravaggio a Roma, oggi conservata alle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Palazzo Barberini, il volto di Oloferne è stato modificato in fase di esecuzione; in precedenza il viso del generale assiro era raffigurato più scorciato e meno sofferente rispetto alla sorte da lui subita per mano dell’eroica vedova di Betullia Giuditta.

Nel Sacrificio di Isacco degli Uffizi (1603), il braccio dell’angelo che interviene per fermare il gesto efferato di Abramo e lo stesso braccio di quest’ultimo erano meno tesi, mentre nella versione definitiva il gesto plastico e di grande tensione muscolare aumenta il carattere drammatico della scena. Nell’Incoronazione di spine di Vicenza (1604-1605), il panno verde-azzurro dell’aguzzino posto di spalle in basso a sinistra, sarebbe un’aggiunta posteriore rispetto al dipinto di Caravaggio, che aveva pensato di realizzare invece la schiena del personaggio completamente nuda. Nel San Giovanni Battista (1604), conservato alle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma (Galleria Corsini), raffigurato a mezzo busto rispetto a quello di medesimo soggetto ma a figura intera proveniente da Kansas City (1604-1605 circa) e anch’esso presente alla mostra, il volto del Santo sembra voltarsi misteriosamente verso il vuoto, mentre da una radiografia sappiamo che in precedenza nella direzione dello sguardo del Battista si trovava un angelo. Senza la figura alata tuttavia il dipinto assume una più misteriosa e intrigante connotazione compositiva. Bellissimo è anche il San Gerolamo penitente (1605-1606), proveniente dall’abbazia di Montserrat in Spagna. L’opera non evidenzia grandi ripensamenti o correzioni in corso d’opera ma tuttavia per stile e cronologia si avvicina ai due San Giovanni poc’anzi citati e merita menzione in questo frangente.

Che questa mostra lasci ben sperare per il futuro lo dimostra, tra le altre cose, anche il fatto che nelle sale di Palazzo Reale hanno trovato posto opere importanti di grandi dimensioni e conservate in chiese o luoghi dove difficilmente in passato si sarebbe pensato di muoverli. Mi sto riferendo alla presenza in mostra della straordinaria Madonna di Loreto o dei Pellegrini (1604-1605) conservata nella prima cappella a sinistra della chiesa di Sant’Agostino a Roma o alla Flagellazione di Cristo (1607 circa) in deposito permanente al Museo Nazionale di Capodimonte ma proveniente dalla Chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Grazie alle ricerche fatte su entrambe le opere oggi siamo a conoscenza di nuovi dati per poter tracciare la storia di queste opere. In particolare per ciò che concerne la Flagellazione, grazie ad alcune radiografie effettuate sull’opera, siamo a conoscenza che sotto lo sgherro di destra si trovava in precedenza la figura del committente che è stato in seguito coperto dalla figura ben più minacciosa dell’aguzzino che è intento a legare Cristo alla colonna. Anche l’aguzzino ai piedi di Cristo doveva in un primo momento essere raffigurato seduto, invece in corso d’opera il pittore ha scelto di rappresentarlo inginocchiato mentre è intento a legare le verghe. L’opera fu probabilmente eseguita durante il primo soggiorno del Merisi a Napoli tra il 1606 e il 1607, tuttavia è possibile che nel 1609 Caravaggio durante il suo viaggio di ritorno verso Roma, passando proprio da Napoli abbia eseguito la modifica dell’opera facendo scomparire la figura del committente, rendendo la scena certamente più drammatica.

Chiude la mostra il potentissimo Martirio di Sant’Orsola eseguito poco prima della morte del pittore avvenuta a Porto Ercole il 18 luglio 1610. L’opera dai toni bui, in cattivo stato di conservazione, è una sorta di testamento pittorico del grande maestro lombardo che vi espresse tutte le angosce e le paure per un futuro altrettanto cupo e disperato. Si potrebbe continuare a parlare per righi e righi di questa mostra e delle opere esposte, ma per ovvie ragioni lo spazio non me lo consente; tuttavia moltissimo si può approfondire dalla lettura del catalogo, il cui costo elevato (46 euro in mostra) è questa volta giustificato dai numerosi contenuti scientifici e dall’apparato fotografico di grande qualità.

La mostra è strutturata idealmente su due “binari paralleli”, da una parte infatti stanno esposte le opere in tutta la loro bellezza, mentre sul retro degli espositori su cui sono appesi i dipinti si trovano degli schermi su cui vengono proiettate e commentate le indagini scientifiche e di restauro eseguite sulle opere che ci fanno entrare dentro il metodo pittorico del Merisi. Questa scelta binaria risulta, a mio parare, vincente e non va ad intaccare con troppi fronzoli la parte espositiva vera e propria arricchita di teche contenenti diversi documenti ritrovati durante le ricerche e di pannelli di sala brevi ma completi. Mi è invece poco chiara la scelta di non esporre le opere in ordine cronologico, forse dettata da esigenze di spazio. Sull’illuminazione delle opere questa volta, strano ma vero, non c’è nulla da dire: è impeccabile. Il costo del biglietto, ormai sempre più alto per questo genere di eventi a Palazzo Reale, questa volta è giustificato della qualità della curatela, dalle ricerche fatte e dalle opere presenti alla mostra. Dentro Caravaggio è sicuramente una mostra che deve essere vista.
Marco Audisio
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