Longobardi: un popolo che cambia la storia

Nel 218 a. C. Publio Cornelio Scipione fece costruire un umile castellum atto alla difesa dell’importantissimo ponte sul Ticino, questo accampamento fortificato avrebbe dovuto tenere lontano Annibale. Ma Scipione l’Africano aveva sbagliato i suoi calcoli e il castellum cedette sotto l’impeto devastante del generale cartaginese, lasciando alla storia il ricordo di una terribile disfatta, “la battaglia del Ticino”. Poco più di ottocento anni dopo un sovrano germanico, Alboino, a seguito di un travagliato assedio riuscì ad entrare nella città di Ticinum, da lì in poi chiamata Papia. Dal 625 al 774 Pavia è il fulcro del regno Longobardo e la sede principale delle sue committenze artistiche. L’integerrimo popolo germanico si lascia sedurre dall’eleganza delle raffinate élite romane, che ancora fieramente mantenevano quasi intatti i loro costumi. Da questo contatto nasce uno stile polimorfo, orgogliosamente longobardo eppure educato ad un nuovo gusto e ad una nuova figurazione.

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Pluteo con figura di pavone, seconda metà dell’VIII secolo, marmo proconnesio, Brescia, Museo di Santa Giulia.

Per cento giorni quest’anno Pavia è tornata una capitale longobarda. All’interno dei Musei Civici del Castello Visconteo nel suggestivo fossato e al primo piano sfilano uno dopo l’altro ben trecento pezzi. I musei che hanno messo a disposizione i loro tesori sono più di un centinaio. La rassegna è il risultato della collaborazione di tre grandi istituzioni museali: il Museo Archeologico Visconteo di Pavia, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, dove, dopo il 3 dicembre, data della fine dell’esposizione a Pavia, l’allestimento farà tappa. I curatori sono Gian Pietro Brogiolo, illustre professore di Archeologia Medievale all’Università degli studi di Padova e Federico Marazzi, emerito professore di Archeologia Medievale e Cristiana all’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, con la direzione scientifica dei direttori dei musei che saranno coinvolti: Susanna Zatti, Paolo Giulierini e Yuri Piotrovsky. L’allestimento promette al visitatore un interessante itinerario che racconta la storia del popolo dall’ingresso in Italia alla rovinosa caduta.

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Corni potorio in vetro, VII secolo, Cividale del Friuli, Museo Archeologico Nazionale.

Gli studi per realizzare il progetto sono durati quindici anni e il risultato è una mostra che per la prima volta porta alla luce alcuni corredi completi degli scheletri dei cavalli e dei cani, fedeli compagni di una stirpe nomade. È possibile ammirare alcune armature sulle quali troneggia la spada, immagine simbolo della mostra. Accanto trovano posto anche i possenti scramasax, lunghi coltelli usati come armi da battaglia o da caccia simbolo dell’orgogliosa cultura longobarda, di cui nessun guerriero che si rispettasse avrebbe potuto mai fare a meno. L’elemento cardine dell’esposizione è però costituito da due splendidi corni potori in vetro.

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Edictum Rothari, codice membranaceo, Cod. Sang. 730, San Gallen, Stiftsbibliothek.

Come viene filologicamente spiegato nella didascalia venivano utilizzati dai duchi durante i banchetti di festeggiamento, viene esposto come esempio del loro uso quotidiano, forse in maniera un po’ impropria, dal momento che non si tratta di una produzione longobarda, il celeberrimo arazzo di Bayeux. Alcuni schermi raccontano brevemente le opere esposte e commentano il loro periodo storico. Uno degli ultimi pezzi ma certamente non il meno importante è costituito dal codice che contiene il più antico Editto di re Rotari, la prima raccolta scritta delle leggi longobarde, promulgato tra il 22 e il 23 novembre 643. In conclusione si tratta di una mostra veramente valevole, una delle poche in cui la ricostruzione storica si unisce alla ricchezza degli oggetti esposti e soddisfa pienamente le aspettative!

Ildegarda di Bingen

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