Gaudenzio the middle age: Vercelli

“Anche il silenzio, a volte, è una forma di critica.”

Abbiamo da poco passato Borgo Vercelli, che già davanti a noi si stagliano maestose le torri della Basilica di Sant’Andrea. Le risaie sono alle spalle, avanti a noi invece: Vercelli. Lasciamo la macchina nel parcheggio a fianco della grande basilica e ci rechiamo all’Arca, la vecchia chiesa di San Marco, già mercato coperto della città e di recente rifunzionalizzata come sede espositiva. Lì ci aspetta il secondo atto della mostra su Gaudenzio Ferrari. Lì tanto tempo fa si trovava un disperso polittico del maestro valsesiano, voluto dalla potente famiglia degli Avogadro di Collobiano: è forse il terzo che Gaudenzio realizza prima della fine degli anni Venti del Cinquecento.

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Fig. 1. Eusebio Ferrari, Madonna con il Bambino tra i Santi Eusebio, Apollonia, Alberto, Caterina d’Alessandria e due donatori, 1519, già Vercelli in Santa Maria del Carmine, Torino, Musei Civici di Palazzo Madama.

Varcata la porta di vetro dell’Arca, entriamo in mostra. Qui l’allestimento è meno geometrico, il colore delle pareti è grigiastro, ricorda le risaie che ci siamo da poco lasciati alle spalle, la luce soffusa ci invita ad iniziare il nostro percorso. È da dir subito che questa è una mostra sul territorio e non del territorio. Per avere una idea della compagine culturale e di che cosa fosse Vercelli ai tempi di Gaudenzio occorre recarsi al Museo Borgogna, il museo della città. La mostra è quasi tutta incentrata sulla figura del pittore e racconta di un Gaudenzio nel pieno delle sue forze fisiche e artistiche. Dalla metà degli anni Venti del Cinquecento è attivo in Valtellina, forse anche per scampare all’ondata di peste che stava flagellando la pianura padana, lì Gaudenzio prende casa e si sposa per la seconda volta: sua moglie si chiama Maria Foppa. Dal 1529 circa, forse anche prima, Gaudenzio è a Vercelli.

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Fig. 2. Gaudenzio Ferrari, Polittico di San Silano, 1520-1525, già in San Silano a Romagnano Sesia.

La mostra si apre con un’opera di quel Eusebio Ferrari che gli fa da garante quando Gaudenzio forestiero mette piede per la prima volta in città. Questa pala oggi si conserva alla Sabauda a Torino, ma originariamente stava nella distrutta chiesa di Santa Maria del Carmine: era nella cappella della Compagnia della Madonna. Questa Sacra conversazione è impacciata, forse un po’ rigida: d’altra parte è difficile imitare lo stile di Gaudenzio. Accanto sta il maestoso polittico ricostruito eseguito da Gaudenzio per la chiesa benedettina di San Silano a Romagnano Sesia, terra natale di Giovan Battista Crespi detto il Cerano che crescerà avendo sotto gli occhi le figure e i colori di Gaudenzio. Il consesso dei Santi Rocco e Sebastiano nello scomparto inferiore e San Silano e Giovanni Battista in quello superiore porge omaggio alla Sacra famiglia con Sant’Antonio Abate dello scomparto centrale inferiore. Qui tutte le figure sono ancora di una dolcezza infinita e le carni morbide e paffute: una formula vincente priva di retorica e anacronismo.

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Fig. 3. Giovanni Angelo Del Maino, Vergine svenuta, 1517-1518, Morbegno, già in San Giovanni Battista, ora Sondrio, Museo Valtellinese di Storia e Arte.

Si passa oltre, si sosta davanti all’incredibile Madonna svenuta dello scultore milanese Giovanni Angelo del Maino, parte di un Compianto sul corpo di Cristo andato perduto. L’opera è sconvolgente, vera, dolorosa, emozionante: il legno parla il linguaggio del dolore e della contemplazione sulla morte. Le sta vicino la prima originale versione della Natività della Vergine, dipinta da Gaudenzio per il Santuario dell’Assunta di Morbegno. L’opera è in cattivo stato di conservazione, non ne rimane praticamente più niente, eppure è come se fosse stata dipinta ieri tanto le figure sembrano reali e uscire dalla tela per farsi carne e ossa. Era parte di un complesso di ante che andavano a chiudere la monumentale macchina lignea realizzata dai fratelli scultori Giovanni Angelo e Tiburzio del Maino nella chiesa dell’Assunta di Morbegno. Questo polittico ligneo è stato dipinto da Gaudenzio e dal suo allievo Fermo Stella che eseguono le decorazioni a grottesca sulle lesene del complesso. Tutto fila, tutto è al suo posto, l’allestimento regge.

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Fig. 4. Gaudenzio Ferrari, Natività della Vergine, 1524-1525, Morbegno, Santuario dell’Assunta.

Ci si volta e si vede forse il capolavoro assoluto della fase matura di Gaudenzio: l’Adorazione del Bambino con un Santo Vescovo. Arriva da Sarasota in Florida, si conserva al Ringling Mueum of Art. Il Vescovo è stato identificato in Giovanni Angelo Arcimboldi, c’è un suo ritratto in una delle tombe del Duomo di Miano; è stato prima Vescovo di Novara e poi Arcivescovo di Milano. Dell’opera esistono innumerevoli copie, quella più antica è forse quella che si trova a San Maurizio d’Opaglio sul Lago d’Orta; sintomo della fortuna di questa formula stilistica messa a punto da Gaudenzio. Qui il pittore dimostra di aver meditato sulla Vergine delle Rocce di Leonardo; basta osservare la caverna che si scorge dietro il San Giuseppe per accorgersene: dietro si intravedono il bue e l’asinello, coinvolti e partecipanti alla scena principale. Il paesaggio sembra sempre ripreso dalla sua amata Valsesia. I personaggi sono di una toccante umanità.

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Fig. 5. Gaudenzio Ferrari, Adorazione del Bambino, 1530 circa, Florida, Sarasota, The Ringling Museum of art.

Lì vicino è esposta una Madonna col Bambino tra i Santi Rocco e Sebastiano, è di Gerolamo Giovenone pittore vercellese. L’opera proviene dalla chiesa di San Lorenzo a Mortara ed è la prima testimonianza della penetrazione dello stile  in territorio strettamente lombardo. Andando avanti incontriamo una parte della predella del polittico che Gaudenzio e la sua bottega realizzano per la chiesa lateranense di San Pietro a Gattinara. Qui sono esposti i quattro dottori della chiesa (provenienti da Varallo) e due tavolette con quattro apostoli ciascuna di collezione privata. L’opera gli è stata commissionata da Gabriele Arborio di Gattinara abate della Basilica di Sant’Andrea di Vercelli prima e di San Pietro a Gattinara poi. È il fratello del cardiale Mercurino Arborio di Gattinara grancancelliere dell’imperatore Carlo V. La parte più consistente del polittico è rimasta al Borgogna, la predella qui esposta rivela tutta la mano della bottega; Gaudenzio ormai era richiestissimo e aveva avviato una numerosa ed efficiente bottega di cui teneva ben salde le redini nelle sue mani attraverso lo stretto controllo del lavoro.

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Fig. 6. Gerolamo Giovenone, Madonna con il Bambino tra i Santi Rocco e Sebastiano, 1525 circa, Mortara, San Lorenzo.

Gaudenzio alla metà degli anni venti è dunque al lavoro a Morbegno in Valtellina, a Vercelli, a Gattinara e anche a Casale Monferrato. Per quella città realizza la Pala per Santa Maria di Piazza, oggi in parte alla Sabauda a Torino. Per una cappella del Duomo invece realizza un trittico per i fratelli Lorenzo e Gerolamo De Nanis. Al centro ci stava il Battesimo di Cristo che incrociamo se dopo aver osservato la predella del Polittico di Gattinara le voltiamo le spalle. Questo Battesimo di Cristo è tutto quello che rimane di quel trittico dopo che andò bruciato in un incendio di metà Settecento. Nonostante sia molto ammalorato e, in alcune parti, fortemente ridipinto, quest’opera mantiene insita in se tutta la migliore qualità dello stile di questo maestro del Cinquecento padano.

Siamo quasi giunti alla fine di questo breve intramezzo gaudenziano. Si deve sostare a lungo davanti alle due Pietà di Gaudenzio: la prima è il disegno preparatorio e viene dall’Accademia Albertina di Torino, la seconda, ossia la versione dipinta, sta a Budapest ed è forse la parte apicale di un complesso più ampio. Qui la luce dei faretti spara troppo sul dipinto rovinandone la fruizione. Le figure di Gaudenzio si fanno più imponenti, lo spazio diviene quasi claustrofobico, soffocante; meditazioni e meditazioni su Bramantino e anche su Savoldo, specie nella figura alla spalle di San Giovanni che si asciuga le lacrime. Guardando quest’ultima figura, non si può non avere in mente la grandiosa Crocifissione del Bramantino a Brera.

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Fig. 8. Gaudenzio Ferrari, Compianto su Cristo morto, 1535 circa, Budapest, Szépmùvészeti Mùzeum.

Chiude la mostra una bellissima Trinità attribuita da Giovanni Testori a Gaudenzio con l’aiuto della bottega, ma retrocessa da Giovanni Romano alla mano di Bernardino Lanino, il campione dello stile gaudenziano a Vercelli e nel vercellese. L’opera proviene dalla chiesa del Carmine poco sopra citata e oggi, dopo varie peripezie collezionistiche (è passata nella collezioni dei Marchesi Arborio di Gattinara alla fine dell’Ottocento) si conserva in una collezione privata novarese.

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Fig. 9. Bernardino Lanino, Trinità, 1530 circa, già Vercelli, Santa Maria del Carmine, ora Novara, Collezione privata.

Terminata la mostra, usciamo da dove siamo entrati, sostiamo per qualche istante davanti agli affreschi riemersi da poco nella splendida chiesa di San Marco, poi usciamo da Arca. La tappa vercellese per conoscere Gaudenzio però non è finita qui; non sarebbe completa la visita se prima non si andasse nella chiesa di San Cristoforo dove si trova uno dei capolavori inamovibili del maestro valsesiano. Per l’occasione è stata approntata una campagna di pulitura della cosiddetta Pala degli Aranci oltre che una nuova e più efficiente illuminazione, realizzata grazie alla lungimiranza dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Vercelli. Entrati in chiesa si staglia in fondo nell’abside la Pala degli Aranci, eseguita da Gaudenzio nel 1529 per la potente famiglia dei Corradi di Lignana. Il committente, inginocchiato sulla destra, è Andrea Corradi di Lignana figlio di Giovanni Angelo preposto di San Cristoforo. Questa influente famiglia vercellese era imparentata con gli Arborio di Gattinara, infatti l’unica figlia di Mercurino Arborio di Gattinara, Elisa, aveva spostato Alessandro Corradi di Lignana. La Pala d’altare deve essere vista assieme al ciclo ad affresco che Gaudenzio realizza tra il 1532 e il 1534. A destra sono raffigurate le Storie della Maddalena e a sinistra le Storie della Vergine. Sono affreschi di una carica emotiva straordinaria oltre che di una qualità eccelsa. Qui Gaudenzio dà il meglio di sé. Lo stile sta diventando magniloquente e imponente, perdendo forse leggermente in naturalezza ma non in essenza drammatica. È qui presente, nelle Storie della Vergine, la seconda variazione sul tema della scena della Natività della Vergine. I colori sono brillanti, i personaggi intimi e dolci, le figure stanno già diventando possenti, lo stile di Gaudenzio sta cambiando; con l’imporsi del suo stile il pittore cerca di affermarsi artisticamente dimostrando di essere sempre aggiornato sulle novità del panorama storico artistico coevo.

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Fig. 10. Gaudenzio Ferrari, Madonna degli Aranci, 1529 circa, Vercelli, San Cristoforo.

Meritano menzione anche le quattro tele con i quattro Evangelisti che stanno nel presbiterio della chiesa; un tempo forse, andavano a chiudere la Pala degli Aranci (che in realtà sono meli) in fondo all’abside. Per diverso tempo si è dubitato sul fatto che queste tele, impoverite nella stesura cromatica, fossero degli autografi di Gaudenzio. Giovanni Testori non aveva dubbi riguardo all’autografia di queste tele, oggi dopo la pulitura, ritengo che tale autografia non sia più da mettere in discussione. Questi Evangelisti, oramai già Manieristi, racchiudono in sé ancora lo stile bramantiniano specie nelle architetture dei loro sfondi.

Usciamo dalla chiesa, gli occhi sono pieni di immagini gaudenziane, la giornata è stata intensa. È ora di meditare e ripensare a questo Gaudenzio vercellese: la giornata è finita. Domani andiamo a Novara.

Marco Audisio

Prima parte: Gaudenzio begins: Varallo
Terza parte: Gaudenzio revolution: Novara

2 risposte a "Gaudenzio the middle age: Vercelli"

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