La mostra, Fili d’oro e dipinti di seta. Velluti e ricami tra Gotico e Rinascimento, si è svolta, dal 13 luglio al 3 di novembre, presso il Castello del Buonconsiglio di Trento. L’esposizione presentava una selezione di piviali in velluto, pianete ricamate con fili d’oro e d’argento, dalmatiche con ricami in fili di seta variopinta, stoffe fiorentine e veneziane, esposte con alcuni dipinti sacri di Altobello Melone, Michele Giambono (fig.1), Francesco Torbido, Rocco Marconi, e i due magnifici dipinti del misterioso Maestro di Hoogstraeten, raccontando la storia dei preziosi manufatti tessili eseguiti tra la seconda metà del XV secolo e i primi decenni del XVI secolo in Italia e in Europa del Nord. l’esposizione era curata da Laura Dal Prà, Marina Carmignani, Paolo Peri con la collaborazione di Alessandra Geromel Pauletti, Silvia Mira e Viviana Tronchetti. Le opere provenivano dalle collezioni del museo e in parte sono state chieste in prestito da parrocchie, da Musei diocesani e da istituzioni prestigiose come il Castello Sforzesco di Milano, la Galleria degli Uffizi, il Museo Correr e Palazzo Mocenigo di Venezia, i Civici Musei di Padova, il Museo Nazionale del Bargello di Firenze, l’Accademia Carrara di Bergamo, il Museo di Palazzo Madama di Torino, il Museo del Tessuto di Prato, la Pinacoteca Ala Ponzone di Cremona, Castelvecchio di Verona e altri ancora. (Fig.2)

Una mostra contro corrente.
È raro in Italia, ma anche all’estero, trovare una mostra che abbia come tema principale i tessili. Quindi è stata un’esposizione che, già per la scelta del soggetto, andava in contro tendenza rispetto a ciò che offre in questo momento il panorama delle mostre. È stato ribadito molte volte che, salvo poche eccezioni, il “mercato” delle mostre è sempre più diretto verso il mero intrattenimento, dimenticandosi di indagare molti settori ancora inesplorati e poco conosciuti ai più.
Infatti, non è da molti anni che si studiano le arti tessili: In Italia la prima studiosa in questo settore è stata Donata Devoti e siamo nella seconda metà del XX secolo. In realtà l’interesse per lo studio del tessuto antico, legato a fenomeni culturali e commerciali, era già iniziato nella seconda metà del XIX secolo, ma solo in tempi estremamente recenti si è giunti a uno studio sistematico e scientifico. Parlare di tessili è complicato perché le competenze poste sulla bilancia sono parecchie: bisogna capire come è fatta l’armatura di un tessuto, cioè la tecnica con cui sono stati intrecciati i fili a telaio per ottenerlo; poi vanno presi in considerazione i tipi di filati; le misure, e molto altro ancora. A tutte queste considerazioni bisogna aggiungere anche la ricerca bibliografica, iconografica, documentaria, nonché i dati relativi a rilevamenti topografici, insomma ci un vuole un vero e proprio team di esperti: dallo specialista di tessitura, al chimico, allo storico dell’arte, al paleografo e anche un esperto di economia. Se per i dipinti ormai l’allestimento di una mostra è abbastanza consolidato, per i tessili le cose si fanno più complicate: il materiale è molto delicato, la temperatura ideale è tra i 16-20 gradi, l’umidità relativa deve essere attorno al 50% e il limite massimo di luminosità per la conservazione è stato stabilito di 50 lux. Inoltre bisogna fare fronte a un altro problema: come ho detto sopra, è raro trovare mostre in cui l’argomento principale siano i tessili; quindi ci si trova davanti al problema di come proporre al grande pubblico un argomento di cui si parla pochissimo, ma che meriterebbe di avere molto più spazio.

Non chiamatele arti minori!
Le arti tessili, ma anche l’oreficeria, la glittica e la miniatura furono etichettate come arti minori, purtroppo, come tutte le etichette, anche questa è difficile da rimuovere e quindi questa concezione, a volte, permane ancora oggi. Questo aggettivo “minori”, secondo Julius von Schlosser, venne applicato nel tardo manierismo per separare l’arte da ciò che fu definito mestiere artistico. Questa differenza arti minori e arti maggiori si affermò con la diffusione, sempre più crescente, delle istanze neo-platoniche, le quali ebbero un effetto di distacco tra l’élite intellettuale e la classe di tecnici. Ma non è sempre stato così. Una delle tematiche, ma anche, degli obiettivi della mostra, è stata quella di dimostrare proprio i continui intrecci tra pittori e tessitori. Citando un passo del libro Dalle arti minori all’industrial design. Storia di un’ideologia di Ferdinando Bologna:
«Non risulta da nessuna parte che, lungo l’intero Medioevo, si possano incontrare delle distinzioni significative in nome di un’arte maggiore o minore “meccanicità”, tra scultori monumentali e orafi, pittori e miniatori o simili. Anzi il ruolo della “bottega” e dei “maestri sperimentatori” fu basilare per tutto il Medioevo e Rinascimento, le arti cosiddette minori ebbero un ruolo di grande importanza, ruolo che in realtà non cessò nemmeno nelle epoche successive quando furono declassate».
In questo senso l’arte del ricamo interessò anche pittori del calibro di Botticelli e, a testimonianza di ciò, è stato esposto il cappuccio o scudo di piviale decorato da uno straordinario ricamo, accuratamente eseguito da una bottega fiorentina altamente specializzata. La scena con l’Incoronazione della Vergine tra angeli e serafini è realizzata da un disegno di Sandro Botticelli. Il cappuccio è conservato a Milano alle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco. A Milano, verso la metà del Quattrocento, la tessitura di drappi auroserici riscuote successo tra l’aristocrazia e la corte sforzesca perciò anche qui si trovano abiti liturgici in cui scene e singole figure si stagliano su fondo oro tra architetture in rilievo e già di gusto rinascimentale. Il disegno risente anche degli apparati della pittura rinascimentale rappresentata da artisti quali: Vincenzo Foppa, Bernardo Zenale, Cristoforo de Predis e Bramante. Significativa è stata la presenza della pianeta Arcimboldi – Archinto, solitamente conservata a Novara nella sacrestia della cattedrale di Santa Maria Assunta. I suoi preziosi ricami, datati tra il 1473-84, sono opera di una bottega di ricamatori di cultura tardogotica, ma aggiornati alla prospettiva rinascimentale (fig.3). Andrebbe valorizzata di più anche in “patria”. Suppongo che un altro degli obiettivi della mostra fosse quello di far conoscere questo patrimonio nascosto tra i cassetti e gli armadi delle sagrestie: talvolta veri e propri scrigni d’arte.

I tessili ci raccontano la società.
Quando ho detto che per studiare i tessili ci vuole anche un esperto di economia non dicevo tanto per dire. Spesso si è abituati a vedere il passato come immobile, dove uomini e cose non si spostavano, ma rimanevano lì, dove erano nati. Paradossalmente, forse, ci muoviamo meno “noi”, nonostante abbiamo tutti i mezzi e i confort per poterlo fare. Studiare gli intrecci, non solo dei fili che costituiscono i tessuti ma anche commerciali, è molto complesso ma affascinante: si scopre che in fondo i fenomeni di globalizzazione o di emigrazione, che, erroneamente, siamo abituati a pensare come problematiche connesse al presente, erano già in atto nei secoli passati. Basta pensare che il tessuto prediletto è il velluto. Due sono i disegni fondamentali: la griccia e il cammino. Entrambi hanno origine orientale. Il disegno a griccia, essendo costituito da un tronco ondulato che culmina con una foglia a cinque o più lobi contenente una pigna, un cardo, una palmetta o una melagrana, ebbe particolare fortuna perché fu riletto in chiave simbolica cristiana: il tronco è diventato simbolo del lignum vitae. Ma non è finita qui; datare questi motivi e attribuirli a una manifattura piuttosto che un’altra è faccenda molto ardua. Nel 1314 da Lucca, a causa di lotte interne, partirono ben 300 famiglie, tra cui molti tessitori, ed essi si recarono a Firenze, Genova e Venezia. Dopo circa un decennio dall’esodo era quasi impossibile distinguere le manifatture, figuriamoci oggi! Inoltre i lucchesi commerciavano i loro prodotti a livello internazionale. La Serenissima, dati i suoi rapporti con il Medio e l’Estremo Oriente, intesseva, almeno inizialmente, tessuti di gusto orientaleggiante. I tessuti italiani, proprio per l’elevata qualità tecnica, erano richiesti in tutta Europa. Non stupitevi se ancora oggi Milano è capitale della moda, già nel Quattrocento dettava il gusto di tutte le corti europee.
I principali centri di produzione erano: Venezia, Firenze e Milano ed è così che la mostra è divisa: ogni sala ospita i paramenti sacri e i dipinti afferenti a un centro di produzione; una sala è invece interamente dedicata al paramentale di Niccolò V realizzato in occasione della canonizzazione di san Bernardino nell’anno giubilare 1450. Alla fine della mostra sono esposte pianete e dalmatiche appartenenti alle collezioni museali del Castello del Buonconsiglio (fig.4).

È stata una mostra secondo me molto interessante, che andrà a costituire una pietra miliare nell’ambito delle esposizioni dei tessuti; tuttavia, le didascalie erano talvolta poco leggibili, inoltre nelle sale c’era ogni volta molto materiale esposto: paramenti, dipinti, scampoli di tessuti. Diciamo che è stata una mostra che doveva essere vista più volte, perché una sola non bastava. Questo sovraffollamento di opere da vedere ha fatto sì che alcune non fossero valorizzate nel giusto modo, per esempio il cappuccio, di cui ho scritto sopra, meritava una maggiore valorizzazione. Operazione molto intelligente quella di includere la mostra nel biglietto del Castello del Buonconsiglio: il costo era di 10€ e valeva un’intera giornata. Il catalogo invece è abbastanza costoso, era possibile comprarlo in mostra a 55€, fuori costa 65€. Molto interessanti invece le attività che sono state organizzate: visite guidate, conferenze, visite “a porte chiuse”, laboratori, visite teatralizzate, tutte all’insegna di avvicinare appassionati, curiosi, ma anche il grande pubblico.
Questa mostra ha avuto il grande pregio di provare a sdoganare il nostro modo di pensare. Siamo fin troppo abituati a ragionare per comparti stagni o a leggere il passato con gli occhi di oggi, invece esposizioni come questa ci permettono di capire che i tessuti sono una parte, non meno importante di altre, della storia dell’arte. Non ci resta che augurarci che questo sia stato solo un inizio!
Maura Mattachini
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