Il “Monumentale” di Milano: passeggiata in Galleria

Le cosiddette “Gallerie” del Cimitero Monumentale di Milano, ovvero le due lunghe ali che si dipartono dal Famedio e si allungano verso est e ovest, non hanno nulla da invidiare alle più comuni gallerie d’arte: percorrendo questi particolari tratti dell’impianto architettonico di facciata, è possibile imbattersi in monumenti sepolcrali di assoluto pregio, la cui realizzazione si deve spesso a scultori ben noti del panorama artistico otto e novecentesco. Edificate su due piani, quello inferiore parzialmente porticato e quello superiore a loggia, quindi completamente aperto, queste Gallerie offrono un percorso coperto lungo circa due chilometri: dal centro del piazzale principale esse si estendono verso le due aree di Ponente e di Levante, tramite una deviazione ad angolo retto si avvicinano quindi al lungo cancello d’ingresso e, dalle ali più esterne, permettono l’affaccio e l’accesso ai due reparti dedicati rispettivamente ai defunti “acattolici” – ovvero cristiani, ma non cattolici – e di religione ebraica. Il percorso è poi scandito dalla presenza delle “edicole”, piccoli templi a pianta ottagonale la cui funzione è quella di movimentare in senso verticale il paesaggio architettonico. Visti dall’esterno, tutti questi elementi presentano gli stessi stilemi del linguaggio eclettico che distingue l’edificio centrale, il Famedio: ritroviamo infatti nelle gallerie il caratteristico trattamento decorativo a fasce orizzontali bicrome, ispirate al romanico di area toscana, mentre ai lati e sulla cima delle cupole delle edicole svettano delle cuspidi tipiche del gotico lombardo. L’apertura a loggia del tratto superiore crea inoltre un gioco di trasparenze che permette di porre in comunicazione il cimitero vero e proprio con il piazzale d’ingresso e, quindi, con la città; tramite le ampie arcate, le statue e i monumenti che si affacciano al di sotto sembrano osservare silenziosamente, dall’alto, i visitatori.

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Fig. 1 Giovanni Strazza, Monumento Giulio Sarti, 1870, Cimitero Monumentale di Milano.

Una delle prime opere che si incontrano percorrendo la Galleria di Ponente è quella dedicata alla memoria dell’ingegnere Giulio Sarti (1796 – 1866), ideatore della linea ferroviaria Milano – Monza, inaugurata nel 1840. Collocato nell’arco centrale, il gruppo, in marmo di Carrara, è firmato dall’autore, lo scultore accademico Giovanni Strazza (Milano, 1818 – 1875), e datato 1870. Attraverso il recupero della tradizione del monumento onorario ad andamento piramidale, viene qui celebrata la figura del defunto: sul punto più alto del basamento compare infatti il notevole ritratto, in chiave verista e a grandezza naturale, di Sarti, rappresentato in posizione seduta ed intento allo studio; accanto a lui, due pregevoli figure femminili fungono da allegorie del lavoro e della scienza. Il monumento è inoltre uno dei più antichi ad essere entrati a far parte del patrimonio del Cimitero, nonché il primo a venire collocato nelle Gallerie.

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Fig. 2 Giannino Castiglioni, Monumento Sommaruga Faini, 1955, Cimitero Monumentale di Milano.

Proseguendo lungo l’ala ovest, la nostra attenzione viene catturata da una solenne sepoltura in granitello verde: essa custodisce le spoglie della benefattrice Giuditta Sommaruga (Milano, 1875 – 1964), realizzata dal prolifico scultore lombardo Giannino Castiglioni (Milano, 1884 – Lierna, 1971), attivo al Monumentale per almeno una cinquantina di famiglie illustri. L’autore, dal caratteristico linguaggio realista e allo stesso tempo classico e solenne, scolpisce ai lati di un austero sarcofago dieci figure femminili velate, in atteggiamento di preghiera. Benché ad un primo sguardo le donne sembrino identiche, esse si differenziano in realtà nelle fattezze dei volti, giovani o più maturi, allusivi alle diverse fasi della vita. Il monumento è infine inserito all’interno di una nicchia decorata da un prezioso mosaico a tessere dorate e verdi-azzurre e da una semplice croce in ferro. Giuditta Sommaruga (Milano, 1875 – 1964), la titolare della sepoltura, fu una nota filantropa milanese: erede del celebre stabilimento ortofrutticolo “Angelo Longone”, fondato dai suoi antenati nella seconda metà del Settecento, nel 1964 la donna decise di lasciare il proprio ingente patrimonio in eredità all’Ospedale Maggiore di Milano, a condizione che il terreno venisse utilizzato per l’edificazione di un padiglione ospedaliero. I desideri di Giuditta, purtroppo, sono stati disattesi: dopo essere passata all’Ospedale Niguarda, la proprietà della donna è stata infine venduta alla Regione Lombardia, la quale, nel 2000, ha avviato le pratiche per l’edificazione sulla suddetta area del nuovo Palazzo della Regione, inaugurato nel 2011.

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Fig. 3 Emilio Quadrelli, L’ultimo bacio (Monumento Volontè Vezzoli), 1889, Cimitero Monumentale di Milano.

All’ingresso del lato denominato CD, che si estende verso il retro del Famedio e si allontana dunque dal piazzale centrale, è posto un altro monumento di grande interesse, dal titolo L’ultimo bacio, dell’artista Emilio Quadrelli (Milano, 1863 – 1925). L’opera, firmata dall’autore e completata nel 1889, fonde il linguaggio verista, tipico del periodo, a suggestioni di stampo romantico: un giovane giace sopra un letto, coperto da un sudario, mentre una figura femminile, variamente interpretata come una sorella, la compagna o la personificazione della Morte, stringendo la folta capigliatura dell’uomo si appresta a baciarlo per l’ultima volta. La composizione è ricca di dettagli di grande realismo, fra i quali spicca la resa qualitativamente altissima della consistenza dei tessuti.

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Fig. 4 Vincenzo Vela, Monumento Pietro Lazzati, visione d’insieme e dettagli dei rilievi sul basamento, 1871, Cimitero Monumentale di Milano.

Le Gallerie di Levante, che si sviluppano in modo simmetrico e speculare rispetto al tratto appena preso in esame, “ospitano” due dei più grandi nomi dell’arte otto e novecentesca. Innanzitutto, nel primo tratto della loggia, all’interno dell’arcata centrale, è collocato il busto commemorativo del medico e garibaldino milanese Pietro Lazzati (Milano, 1813 – 1871), opera in marmo bianco del celebre scultore ticinese Vincenzo Vela (Ligornetto, 1820 – Mendrisio, 1891). Datato 1871, il monumento consiste in una base, curiosamente triangolare, al di sopra della quale si trova il ritratto di Lazzati, scolpito nel pregevolissimo linguaggio verista tipico di Vela, impegnato in questo caso nel tentativo di fissare la figura dell’uomo in un atteggiamento naturale e non celebrativo. Sulle facce sono inoltre scolpiti tre rilievi dedicati ad altrettanti momenti della vita del defunto, per lo più tratti dalle sue vicende professionali: in una delle lastre, ad esempio, vediamo infatti Lazzati intento a fasciare la gamba di un soldato ferito sul campo di battaglia, mentre in un’altra il medico porge un neonato ad una donna, probabilmente una nutrice; in secondo piano, a sinistra dell’uomo, si intravede un letto sul quale giace la partoriente. Il tutto è reso con uno straordinario realismo, ricco di dettagli notevoli: si noti, ad esempio, la precisione nella resa del baldacchino o della sedia in primo piano, sulla quale giace un panno, mentre nel rilievo raffigurante il soldato ferito colpisce, ad esempio, il realismo delle divise dei soldati e delle baionette, sporgenti rispetto al resto della composizione.

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Fig. 5 Lucio Fontana, L’industria (Monumento Berardi), visione d’insieme e dettagli dei rilievi sul basamento 1930, Cimitero Monumentale di Milano.

Infine, proseguendo lungo il medesimo itinerario, è possibile ammirare un’opera funeraria firmata da un altro celebre artista contemporaneo, Lucio Fontana (Rosario, Argentina, 1899 – Comabbio, 1968). Datato 1930, il monumento è da ascrivere alla fase giovanile dell’autore, che in questi anni risente ancora in modo piuttosto deciso dell’ascendente del maestro, lo scultore Adolfo Wildt (Milano, 1868- 1931); tale influsso si traduce nella predilezione per figure essenziali, caratterizzate, soprattutto nei volti, da volumi lisci e puri. L’opera in questione è dedicata alla famiglia dell’industriale Odoardo Berardi e consiste in un tradizionale sarcofago al di sopra del quale siede una figura femminile in bronzo, caratterizzata come allegoria dell’Industria dagli ingranaggi che regge nella mano destra. Meritevoli di attenzioni sono i rilievi che decorano le facce laterali del basamento, raffiguranti episodi tipici del lavoro in fabbrica. Su quello di destra, in particolare, due uomini sono raffigurati all’opera nella tipografia appartenuta al defunto, mentre quello di sinistra offre una scena d’esterno nella quale varie figure, fra cui un bambino, osservano un capannone e l’alta ciminiera che svetta al di sopra di esso: impossibile sfuggire al confronto con i “paesaggi operai”, metafisici e allo stesso tempo vagamente inquietanti, dipinti nel corso del decennio precedente da Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961). Quella presentata non è che una piccola selezione dei capolavori nei quali ci si imbatte percorrendo le gallerie del Cimitero Monumentale, limitata alle opere di maggiore valore storico-artistico. Tuttavia, ad una visita più approfondita, ci si renderà conto che questi tratti non ospitano solo monumenti dall’elevato interesse qualitativo, ma custodiscono anche le spoglie di diversi protagonisti della cultura otto e novecentesca: poco oltre la sepoltura di Giuditta Sommaruga, ad esempio, riposa un suo celebre omonimo, l’architetto Giuseppe Sommaruga (Milano, 1867 -1917), fra i maggiori esponenti del liberty italiano. Nell’Edicola adiacente, un imponente sarcofago sormontato da un’urna custodisce le spoglie dei fratelli Camillo (Roma, 1836 – Milano, 1914) e Arrigo Boito (Padova, 1842 – Milano, 1918), poeta e compositore il primo, architetto, restauratore e docente all’Accademia di Brera il secondo. Il tratto di Levante è altrettanto ricco di sorprese: il sarcofago in marmo collocato nell’Edicola B commemora la famiglia di Achille Bertarelli (Milano, 1863 – Roma, 1938), celebre studioso e collezionista di stampe: la ricchissima raccolta in suo possesso venne da lui donata nel 1923 al Comune di Milano ed è oggi conservata presso il Castello Sforzesco. Infine, una piccola nota di cultura dello spettacolo: nell’Edicola F, la più esterna dell’area di Levante, una colonna in marmo progettata dall’architetto Ruggero Ercoli (Milano, 1950) custodisce le ceneri dello sfortunato presentatore televisivo Enzo Tortora (Genova, 1928 – Milano, 1988), ideatore e conduttore del popolarissimo “Portobello”.

Chiara Franchi

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