L’idiota è il primo romanzo della scrittrice Elif Batuman, uscito il mese scorso per Einaudi.
Sono stato subito attratto da questo romanzo, soprattutto per quello che ho letto sul sito della casa editrice e poi sulla quarta di copertina e nei risvolti del libro. Possiamo dire che sono stato vittima del marketing, perché non ho trovato aderenti alla realtà le descrizioni che farciscono l’edizione del libro.
Il romanzo viene presentato come ricco di un umorismo tagliente e arguto, come un romanzo di formazione in cui i libri letti dalla protagonista costituiscono un elemento importante, come un romanzo nel quale si intreccia una storia d’amore che passa anche attraverso le nuove tecnologie, quali internet e le e-mail. In realtà ho trovato poco di tutto ciò.

La protagonista del libro è Selin, una ragazza che è iscritta al primo anno ad Harvard e la seguiamo mentre affronta le avventure legate a questa nuova esperienza. All’inizio è spaesata, alle prese con corsi da seguire, luoghi da scoprire e persone da conoscere e con cui vivere. Il romanzo è formato da diversi episodi che si susseguono tra le pagine del libro, episodi che durano anche poche righe: il lettore segue per un anno intero la vita di questa giovane studentessa.
Selin si destreggia in questo mondo universitario, segue corsi che la stimolano e altri meno, conosce persone, molte della quali davvero bizzarre, e inizia a provare dei sentimenti per Ivan, un ragazzo più grande, il quale per un certo periodo segue un corso insieme a lei.
Molti degli episodi che vengono narrati per costituire la trama del romanzo, sono episodi particolari, a volte sembrano persino assurdi, tutto sembra strano e immerso in un’atmosfera trasognata. I professori non si comportano da professori, i corsi dell’università sembrano non seguire un rigore: la nostra protagonista appare alle prese con un parco divertimenti più che con una università.

Fin dalle prime pagine del romanzo entriamo in contatto con il mondo della tecnologia: l’università assegna ad ogni studente una mail personale, nuovo strumento a cui Selin deve abituarsi, e si parla di Internet e di cavo Ethernet, tutte cose di cui ormai siamo pratici, ma che solo vent’anni fa non facevano ancora parte della nostra quotidianità. Selin inizia a parlare con Ivan attraverso delle mail che si scambiano mentre si trovano al campus, ma oltre a questa funzione la tecnologia ha un ruolo davvero marginale all’interno del romanzo. Forse questo scambio di e-mail, usate come mezzo per fare iniziare una relazione, vuole suggerire una situazione di incomunicabilità, di difficoltà nella gestione delle relazioni umane da parte della protagonista, anche se non trovo il tema indagato a sufficienza.
Soprattutto nella prima parte del libro, quando seguiamo Selin tra i banchi di Harvard, viene descritto lo svolgimento di alcuni corsi: Selin riflette su alcune questioni di linguistica, sull’arte, sul cinema, sulla scrittura, il tutto condito con riferimenti a romanzi diventati classici della letteratura, citati a volte con intento umoristico:
«Era difficile decidere quale corso di letteratura frequentare. Tutto ciò che dicevano i professori sembrava secondario rispetto alle questioni importanti. Tu volevi sapere perché Anna doveva morire, e invece quelli ti dicevano che i proprietari terrieri russi dell’Ottocento erano combattuti fra il sentirsi e il non sentirsi davvero europei. Il sottinteso era che fosse sinonimo di ingenuità voler parlare di qualcosa di interessante, o pensare di poter mai arrivare a capire qualcosa di importante.»
«L’Ungheria somigliava sempre più a Guerra e pace: ogni cinque minuti spuntavano fuori nuovi personaggi, con i loro nomi insoliti e la parlata peculiare, e bisognava dargli retta per un po’ anche se magari non li incontravi mai più per tutto il resto del libro.»
Purtroppo, però non ho avvertito un legame forte e speciale con la letteratura in questo romanzo, a parte alcune citazioni, come quelle sopra riportate, non ho percepito il forte amore per la tradizione letteraria, come suggeriva il risvolto del libro.
È vero che è presente dell’ironia nella narrazione, ma si avvicina di più al no-sense che all’arguzia intelligente e raffinata: il romanzo è costituito per la maggior parte da episodi che non mi sembra aggiungano molto alla trama, a volte fini a se stessi.
Anche la relazione tra Selin e Ivan è atipica, soprattutto nella prima parte della narrazione quando si continuano a scambiare e-mail dal significato alquanto criptico, che ho fatto fatica a capire, portandomi quasi a non prestare attenzione a questa vicenda, che poi si rivela essere in qualche modo il fulcro di tutto il narrato.

La seconda parte del romanzo che racconta il viaggio in Ungheria, intrapreso dalla protagonista per insegnare inglese in piccoli centri abitati dello stato, ma soprattutto per volontà di Ivan, ha attirato maggiormente la mia attenzione: la storia d’amore latente si fa più interessante, con dialoghi coinvolgenti e un’azione che si fa un po’ più serrata.
Anche il finale però mi ha lasciato abbastanza deluso, perciò non so se si possa definire un romanzo di formazione vero e proprio.
Sicuramente un punto forte del romanzo è la sua protagonista che fa nascere una forte simpatia verso di lei, ma la narrazione, a mio avviso, non coinvolge il lettore, creando un legame tra pagina e fruitore.
Insomma gli scritti editoriali per presentare un libro distorcono un po’ la realtà, visto che non ho trovato molto di quello che si prometteva, farò più attenzione.
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Alessandro Audisio
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