Eclettismi contemporanei e città ideali

L’eclettismo è quella tendenza a considerare, senza discriminazioni preconcette, spunti e influenze provenienti dalle fonti più disparate, e a mischiarle, sempre e comunque, «accogliendo da ciascuna gli elementi ritenuti migliori» (Treccani, vocabolario online). In presenza di buoni risultati si dimostra un gioco felice della creatività, espressione di audacia e spensieratezza; per questo motivo, nella seconda metà del Novecento, esso ha saputo conquistare forti personalità artistiche, pensatori del calibro di Aldo Rossi, Tomaso Buzzi e Renzo Mongiardino, spingendoli, ciascuno dal proprio genio, ad elaborarne una definizione nuova e, a seconda dei casi, aggiornata sul contemporaneo o voluta a sondare un passato ricco di insegnamenti. Animata dal timore che potesse sminuire l’importante contributo di queste figure, la critica ha sempre cercato di scongiurarne l’utilizzo come etichetta; ma di questo semmai torneremo a parlare in un secondo momento. Invece è giusto osservare, nella produzione dei nomi sopraccitati, come l’eclettismo (preso nell’accezione più ampia del termine) abbia trovato con il tema della città ideale, il quale ritorna a vivere di utopie e simbolismi estetici dopo gli esperimenti razionalisti dell’urbanistica a cavallo tra XIX e XX secolo, una sorprendente comunione.

Fig. 1
Fig. 1 Aldo Rossi, Bruno Reichlin e Fabio Reinhart, La città analoga, 1976.

Dal 1972 al 1975, Aldo Rossi è a Zurigo. Alle spalle ha già la pubblicazione della sua opera più importante, L’architettura della città (1966); dopo essere stato allontanato dall’insegnamento in Italia, insieme a numerosi suoi colleghi, per avere condotto una didattica sperimentale sgradita ai vertici della pubblica istruzione, al Politecnico Federale del capoluogo svizzero è chiamato ad impegnarsi in una docenza la quale alla fine sfocerà nella messa a punto della formulazione teorica del proprio metodo compositivo. La città ideale diventa per lui città analoga, e le sue manifestazioni visibili risulteranno in una coppia di tavole realizzate, rispettivamente, una con gli architetti Eraldo Consolascio, Bruno Reichlin e Fabio Reinhart, e l’altra per mano di Arduino Cantàfora, all’epoca disegnatore presso lo studio di Rossi (sulle quali ha scritto molto bene Gabriele Scotti nei sui saggi Aldo Rossi e la Città Analogae La città analoga di Arduino Cantàfora, in Architettura insostenibile, 2011).

Fig. 2
Fig. 2 Arduino Cantafora, La città analoga, 1973.

Nel 1989, divenuto ormai un rinomato architetto d’interni, nonché uno scenografo di largo credito presso i migliori registi di cinema e teatro, il genovese Renzo Mongiardino (1916-1998) si presta ad una commissione del collezionista americano Peter Sharp. Per lui e la biblioteca della sua casa newyorkese, realizza una delle opere più immaginifiche, e ricche di citazioni, della propria carriera: un piccolo ambiente, adibito a sala di lettura, altrimenti chiamato studiolo, circondato di tarsie lignee che fingono l’apertura sul panorama di una città ideale.
A cent’anni dalla nascita e in occasione di una piccola, grande retrospettiva organizzata dal comune di Milano, sua città di adozione, intitolata Omaggio a Renzo Mongiardino 1916-1998, lo studiolo-biblioteca di Casa Sharp è diventato il simbolo della creatività mongiardiniana; rappresentato sulla copertina del catalogo (in una foto che ritrae l’anziano architetto nel laboratorio che ha realizzato le tarsie, durante una loro prova di allestimento) e nelle due pagine che introducono al regesto delle opere.

Fig. 3
Fig. 3 Renzo Mongiardino, Biblioteca-studiolo di Casa Sharp (New York), 1989.

Ultimo caso, nel 1956 l’architetto Tomaso Buzzi (1900-1981), anche lui noto alla migliore classe dirigente per i suoi progetti d’arredo nelle case signorili – a questo proposito si ricordino la milanese villa Necchi-Campiglio, progettata da Piero Portaluppi e completata nel 1935 –, acquista il duecentesco convento francescano, noto come la Scarzuola, che si trova a Montegiove, frazione di Montegabbione in provincia di Terni. Vuole farne il proprio “buen retiro”, fisico e intellettuale, per questo recupera l’edificio preesistente e ne usa i territori attorno per un esercizio di architettura: la Buzziana, sarà quindi il suo testamento artistico. Un complesso di edifici in stile manierista nel quale ricreare il rituale articolato che gli uomini del Cinquecento, sulla scorta della lettura del romanzo allegorico Hypnerotomachia Poliphili attribuito a Francesco Colonna, amavano vivere come uno dei tanti giochi di corte.

Fig. 4
Fig. 4 Tomaso Buzzi, La Scarzuola (Montegabbione, Terni), 1958-78.

In tutte queste esperienze si possono individuare le dinamiche di selezione proprie dell’eclettismo, finalizzate alla composizione della morfologia urbana. Notiamo però un continuo intrecciarsi di tematiche comuni e cifre stilistiche personali; se infatti è la memoria di quel che ci è più intellettualmente caro il meccanismo declinante nell’opera di Aldo Rossi e Tomaso Buzzi, il primo si rivolge ad un range di influenze ampio e apparentemente disomogeneo, mentre il secondo si dimostra un esperto conoscitore di quel repertorio linguistico classico-manierista che riassume in un grande capriccio (come tale è persino il pannello di Arduino Cantàfora), monumento e macchina teatrale da abitare. Anche l’opera di Renzo Mongiardino è teatro di suggestioni, le stesse anche se più ragionate che stanno alla base della città analoga; a casa Sharp, unico degli esempi citati che meriterebbe un approfondimento critico e descrittivo rispetto agli altri, già analizzati in più di un’occasione, s’incontrano lo studiolo (rievocato anche nel nome) di Federico da Montefeltro a Urbino, l’anonima veduta di città conservata a Berlino (alla cui serie, dice Scotti, è ispirato sempre il pannello di Cantàfora), mentre le «architetture rinascimentali del Bramante milanese si specchiano nei grattacieli gotici di New York» (Omaggio a Renzo Mongiardino 1916-1998, p. 54), i quali sembrano peraltro uscire dai fotogrammi di Metropolis.
Impossibile asserire che Renzo Mongiardino non fosse un eclettico, ben altra cosa è sostenere che le sue capacità lo abbiano portato a risolvere in maniera originale un proposito di ricerca che volesse esulare da risultati banali e accademici.

Fig. 5 versione 2
Fig. 5 Da sinistra a destra: Anonimo, Città ideale, 1480-1490, Gemäldegalerie di Berlino; Benedetto e Giugliano da Maiano (?), Tarsia con strumenti musicali (particolare), 1473-76, Studiolo di Federico da Montefeltro, Palazzo Ducale di Urbino; Donato Bramante, Sacello di San Satiro del IX secolo nel suo aspetto attuale, 1482-86, Milano; Friz Lang, Metropolis, 1927, Germania.

Similmente, abbiamo visto in generale come l’eclettismo abbia lasciato in confino nell’Ottocento intenzioni puramente mimetiche di epoche lontane, permettendo maggiore spazio al coinvolgimento dell’artista nella sua identità innovatrice. Essi non attingono più dal passato solamente come atto di nostalgia, ma anche come punto di partenza per soluzioni diverse. La corrente postmoderna –  che Aldo Rossi ha sempre praticato pur mantenendovisi critico – si basa in buona parte su questo assunto, e la Buzziana è il filtro attraverso il quale l’architetto rilegge una grande e bizzarra stagione dell’architettura.

Niccolò Iacometti

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