Il suo nome aveva un che di regale (il padre l’aveva scelto in omaggio al proprio datore di lavoro), e l’eleganza del suo aspetto era pari unicamente a quella del suo tratto. Di buone maniere e un po’ introverso, come a volte sono gli artisti, nondimeno possedeva carisma e sapeva farsi promozione. La sua velocità e accuratezza nel disegnare, oltretutto, erano mirabolanti e risapute.
Oggi non resta che una figura poco conosciuta e tuttavia apprezzata dagli studiosi – John Canemaker, uno di questi, ha scritto nel 2005 l’unica biografia allora esistente su di lui –, ma Winsor McCay, illustratore di professione, ha avuto un ruolo di primissimo piano nello sviluppo di campi a suo tempo nascenti, e adesso più che mani popolari, come il fumetto e il cinema di animazione.

Nato a Spring Lake, nello stato americano del Michigan, il 26 settembre del 1871 come lui stesso affermava, o 1869 come riportato nel luogo di sepoltura, era stato avviato originariamente verso la carriera imprenditoriale; that’s America, d’altro canto. Manifestando però una folgorante inclinazione artistica, Winsor iniziò a farsi conoscere in qualità di ritrattista fino a che un pittore di vetrate, che all’epoca insegnava geografia e disegno presso l’università pubblica di Ypsilanti, città dove il nostro era andato per studiare, non si offrì di impartirgli privatamente alcuni rudimenti di prospettiva e uso del colore. Successivamente lavorò dipingendo manifesti, quindi, ormai all’inizio del secolo nuovo, dopo essersi trasferito nel frattempo a Chicago e, finalmente, a Cincinnati, esordì come vignettista sulle pagine di importanti testate locali.
Per quanto le sue prime creazioni non gli fruttarono il successo che l’avrebbe consacrato in seguito, furono un’ottima palestra e campo di ricerca. Affrontando il mezzo della striscia a fumetti, McCay approntò uno stile proprio e originale: usò gli spessori di linea per distinguere i livelli di profondità, ricorse al tratteggio che avrebbe poi abbandonato in favore di immagini chiare a puro contorno, dal gusto per l’ornato d’influenza Art Nouveau e adoperò la prospettiva per esaltare dettagliate vedute urbane; rappresentazioni di città che da trent’anni a quella parte stavano cambiando il proprio volto, grazie all’invenzione del grattacielo i cui esemplari spuntavano in ogni dove per mano di architetti come Louis H. Sullivan, William Le Baron Jenney e Daniel Burnham. Il suo genio però non risiedeva solamente nell’innegabile abilità tecnica, o nella capacità di osservare i dettagli più sfuggenti; McCay era infatti dotato anche di un sottile quanto sferzante senso dell’umorismo, e tanto i suoi disegni quanto le sue apparizioni pubbliche l’avrebbero dimostrato.

Dopo A tale of the Jungle Imps by Felix Fiddle e soprattutto Mr. Goodenough, incentrata sulla figura di un facoltoso sedentario che tentava senza riuscirci di vivacizzare le proprie giornate, la striscia che per prima lo rese popolare fu sicuramente Little Sammy Sneeze, uscita a partire dal 1904 sul New York Herald. Il protagonista era un bambino pasciuto, figlio della buona società americana, il cui modo di starnutire, protratto attraverso le vignette in attesa del roboante epilogo, poteva causare i disastri più esilaranti: sollevare le gonne delle signore, mandare all’aria il negozio di un droghiere e persino distruggere i contorni della vignetta stessa.

Cominciato a pubblicare in quello stesso anno, Dream of the Rarebit Fiend rappresentò invece un primo tentativo di esplorare la dimensione onirica: ogni settimana un diverso personaggio viveva nei sogni le situazioni più alienanti, e al risveglio ne dava la colpa a un’indigestione di crostini e formaggio fuso (preparati secondo la ricetta chiamata appunto welsh rarebit, e di cui prendeva le parti uno spirito dispettoso, fiend in inglese, il quale assaliva gli ingordi non appena si coricavano). Uno dei personaggi di questo fumetto ebbe poi, dal 1905 al 1926, una serie di strisce a lui interamente dedicate; una sorta di spin-off, come molto si usa fare oggi. Nacque così Little Nemo in Slemberland (letteralmente, il piccolo Nemo nel Mondo sonnacchioso), le cui storie finivano sempre nel momento in cui Nemo, un altro bambino di cinque anni, tornava al mondo reale cadendo dal letto o svegliandosi tra le braccia della madre. In questo che è considerato da molti il suo capolavoro McCay sperimentò anche un espediente insieme grafico e narrativo destinato a un lungo seguito, disegnando vignette di varia grandezza a seconda che volesse ottenere un effetto più o meno drammatico.

Il 1911 fu poi l’anno di un’altra svolta, dal momento che iniziò ad occuparsi di cartoni animati. Complessivamente ne realizzò dodici, e altrettante opere di cinema avrebbero tratto ispirazione dai personaggi che aveva inventato. Volenteroso di imporsi nel settore, McCay avrebbe cominciato poi a dire, cosa non vera, di essere stato addirittura il primo a dare vita a personaggi illustrati.
Winsor McCay the Famous Cartoonist of the N.Y. Herald and His Moving Comics fu il suo primo cortometraggio; in esso si vedeva lui, impegnato a realizzare quattromila disegni che avrebbero preso vita nella sequenza finale. Galvanizzato dal nuovo mezzo espressivo e deciso a sfruttarlo, creativamente, in ogni maniera fino allora immaginabile, McCay portò in scena How a Mosquito Operates, trasposizione di un episodio di Dream of the Rarebit Fiend, e quello che sarebbe divenuto il suo cartone animato più famoso: Gertie il dinosauro, nel quale, ancora una volta, lo stesso McCay si metteva in prima persona a favore di cinepresa e dimostrava tutta la sua maestria nel disegnare un personaggio con cui, di lì a poco, avrebbe interagito. Gertie, creatura preistorica ammaestrata, fece la sua comparsa persino in spettacoli dal vivo, e per mezzo dell’immagine proiettata usciva dalla sua caverna e faceva l’inchino agli spettatori ogni qual volta il suo creatore in carne e ossa gliel’ordinava. Il mondo dello spettacolo, d’altronde, non era sconosciuto a Winsor McCay; già nel 1906, mentre intraprendeva la carriera di disegnatore, questi aveva cominciato a esibirsi in spettacoli di vaudeville e chalk talk (una forma di varietà a lui molto confacente, visto che doveva eseguire caricature degli spettatori mentre improvvisava dei monologhi).
Nel 1918 uscì poi L’affondamento del Lusitania, ispirato a un fatto tragicamente accaduto pochi anni prima: il naufragio di un transatlantico inglese colpito da un siluro tedesco.

Per il resto della sua vita, Winsor McCay continuò a fare ciò che diceva di saper fare meglio: disegnare. Morì a Brooklyn, il 26 luglio 1934. Suo figlio Robert si adoperò affinché ne fosse perpetuata la memoria, la quale rimase intatta finché visse e operò tutta una generazione di nuovi fumettisti e animatori, da Walt Disney a Chuck Jones, che mai omisero di essergli in qualche modo riconoscenti. Nel 1972 gli fu intitolato un premio destinato ai benemeriti del cinema animato, e nel 2002 l’astronomo Roy A. Tucker diede il suo nome a un asteroide. Nonostante il carattere apparentemente infantile dei suoi personaggi, non c’è dubbio che abbia saputo inventare storie di una sorprendente complessità tematica. In fin dei conti, come ha scritto Oreste del Buono, giornalista, critico letterario e sceneggiatore:
“Siamo sicuri che, in fin dei conti, non abbia detto di più su questo sciocco secolo, il ‘900, McCay con Little Nemo in Slumberland che Freud con l’Interpretazione dei sogni?”
Niccolò Iacometti
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