Berta Isla è l’ultimo romanzo scritto da Javier Mariàs, che nel 2018 è stato inserito al primo posto della classifica redatta dalla rivista culturale La lettura che indicava i migliori libri pubblicati durante l’anno. Le mie aspettative erano molto alte, credevo che avrei letto un romanzo sì denso e corposo, ma anche ricco di riflessioni importanti sull’identità e sulle relazioni che lasciano un segno e fanno pensare, purtroppo però le mie aspettative sono state deluse. Lo dico subito: ho trovato il romanzo noioso e ho davvero fatto fatica a portare a termine la lettura.
Berta Isla è il nome della “protagonista” del romanzo, se così la possiamo chiamare, che viene introdotta subito dalle prime pagine, proponendo al lettore il suo punto di vista della storia, che poi scompare per qualche capitolo per lasciare spazio ad una narrazione in terza persona che segue le vicende dell’altro protagonista, Tomàs Nevinson, e che infine si impone per gran parte del romanzo con una narrazione in prima persona.

Berta e Tomàs (o Tom come a volte viene chiamato) si conoscono da molto tempo, hanno frequentato le stesse scuole e si sono innamorati con facilità l’uno dell’altra, i due però per un periodo si devono separare, Berta rimane in Spagna mentre Tom si reca ad Oxford per frequentare la prestigiosa università. I due sentono che il loro destino è quello di sposarsi, di ritrovarsi insieme in Spagna e creare una famiglia. Ad Oxford si fa evidente il dono di Tom per le lingue straniere che riesce a parlare come se fossero la sua lingua madre, impostando anche gli accenti più svariati che padroneggia sempre con naturalezza. Questa dote lo fa notare da un suo professore che ha dei contatti con i servizi segreti britannici e che cerca di allettarlo e di farlo entrare a far parte dell’MI6. Tom rifiuta questa offerta ma in seguito ad una sfortunata coincidenza è quasi costretto ad accettare e a prendere una decisione che sconvolgerà il resto della sua vita. Una volta tornato in Spagna Tom si sposa con Berta e inizia così la loro vita insieme che appare destinata ad un susseguirsi di reticenze e di bugie, infatti, Tom non può rivelare alla moglie quale sia il suo vero lavoro ed è costretto ad assentarsi da casa per periodi di tempo anche lunghi (a volte diversi mesi) con la scusa di ricoprire incarichi presso l’ambasciata spagnola nel Regno Unito. Berta all’inizio crede a quello che le dice il marito e lo attende pazientemente a casa, a volte senza avere sue notizie per dei mesi interi (anche se la storia è ambientata tra gli anni settanta e ottanta, quando non esistevano i cellulari e internet, sembra da subito una cosa inverosimile che una moglie accetti con serenità di non avere notizie dell’uomo che ama per così tanto tempo), finché, in seguito ad un altro episodio centrale nel romanzo, Berta inizia a sospettare qualcosa e quindi il marito è costretto almeno ad ammettere la natura dei suoi viaggi senza però rivelare informazioni specifiche. Se Berta vuole che la loro relazione continui deve accettare il silenzio del marito, la sua assenza periodica dalla sua vita e da quella dei figli e la sua costante preoccupazione per ciò che ha fatto durante i periodi passati sotto copertura e per ciò che dovrà fare.

La trama del romanzo è tutta qua, possiamo dire che la storia si regge solo su due o tre scene che effettivamente fanno progredire la vicenda, per il resto accade poco o nulla. Le pagine, che sono quasi cinquecento, sono impregnate dalle riflessioni di Berta e dalle sue congetture che spezzano i dialoghi e le varie scene rallentando moltissimo il ritmo della narrazione che è quasi assente.
Il variare del narratore, che all’inizio è in terza persona e poi passa in prima persona, poteva assumere prospettive particolari, ma alla fine sembra che non si sia sfruttata pienamente l’occasione offerta da questo slittamento di narrazione. Sarebbe stato interessante, a mio parere, aggiungere una parte in cui narratore diventava Tom, per conoscere anche il suo punto di vista (in modo più diretto rispetto a quello che ci può dire un narratore in terza persona onnisciente) e alcune delle sue missioni magari.
La storia sembra inverosimile e il lettore può avere delle difficoltà con quella che viene chiamata sospensione dell’incredulità e già questo potrebbe incrinare il giudizio finale dell’opera, il vero problema è però che le riflessioni che vengono fatte all’interno del libro, oltre ad essere ripetute davvero insistentemente, sono difficilmente trasportabili e applicabili in contesti che non siano quello narrato. Ho fatto fatica a trovare nei pensieri di Berta una riflessione generale sulle relazioni d’amore che ci fa capire quanto poco in realtà conosciamo le persone con cui si instaura una relazione, questo perché il caso di Berta è molto specifico e il suo continuo affannarsi per immaginare cosa faccia il marito quando è lontano da casa è difficile da trasportare nella realtà della maggior parte delle persone.

Per me è mancato il dialogo con il lettore, questo libro non mi ha parlato, non mi ha emozionato, non mi ha coinvolto facendomi sentire vicino ad uno dei personaggi. Tutte queste cose, a mio parere, compromettono il giudizio di un libro che non può che risultare negativo.
I personaggi sono alquanto dimenticabili, soprattutto per quanto riguarda Berta Isla che per la maggior parte del romanzo, se non in tutto, viene descritta mentre è in casa ad aspettare che il marito torni dalle sue missioni e che, una volta tornato, lo osserva mentre riflette e dorme. Berta è un personaggio immobile e, per quanto si dica che è una professoressa universitaria di successo nel suo campo, non viene mai descritta in quella che potrebbe essere una azione vera a propria, è perennemente in attesa e la vediamo invecchiare sempre seduta in poltrona o affacciata ai balconi di casa mentre aspetta Tomàs.
Tom invece è l’uomo d’azione per eccellenza, un agente segreto, ma non viene mai descritto quello che fa, le sue azioni sono mantenute fuori dalla narrazione, fuori dallo sguardo di Berta. Il risultato di questa mancanza di azione sia da parte di Berta che da parte di Tom è che il lettore si perde in un susseguirsi di pensieri che a me poco hanno interessato.
La tensione di sapere come va a finire il romanzo è quasi assente e, inoltre, la rivelazione finale è ampiamente prevedibile, o per lo meno ipotizzabile, dalla metà del libro, se non prima.

Voglio chiudere però con una nota positiva, riportando una riflessione che mi ha colpito e che è sempre attuale (perché comunque alcuni parti che mi hanno “parlato” di più ci sono state, soprattutto quelle che si soffermano su temi come la politica e la storia):
Il popolo, spesso meschino e vigliacco e insensato, i politici non si azzardano mai a criticarlo, non lo rimproverano né gli rinfacciano come si è comportato, anzi, invariabilmente lo esaltano, per quanto poco sia degno di essere esaltato, in nessun paese. Ma è stato eretto a intoccabile e ormai è come gli antichi monarchi dispotici e assoluti. Come loro, possiede la prerogativa della velleità impune, non risponde di ciò che vota né di chi elegge, di ciò che impone e acclama. […] Il popolo non è che il successore di certi re arbitrari e volubili, solo che ha un milione di teste, come dire che è senza testa. Ciascuna di quelle teste si guarda allo specchio con indulgenza e si giustifica con un’alata di spalle: «Ah, io non sapevo. Io sono stato manipolato, persuaso, mi hanno ingannato e fuorviato […].»
Purtroppo Berta Isla è un romanzo che non consiglio perché pecca sotto diversi aspetti e se a volte si leggono romanzi che coinvolgono per l’azione ma non lasciano niente, qui succede il contrario: non accade niente e sì ci sono molte riflessioni ma queste sono descritte sulla pagina e non fatte innescare dal lettore.
Alessandro Audisio
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