Gli allievi di Algardi

Intorno alla fine di giugno, la casa editrice Officina Libraria, che ringraziamo moltissimo per la disponibilità e la sua gentilezza, ci ha inviato, su nostra richiesta, una copia del volume intitolato Gli allievi di Algardi. Opere, geografia, temi della scultura in Italia nella seconda metà del Seicento.

Tra giugno e ora gli impegni si sono accumulati, infatti chi scrive oltre a doversi districare tra impegni di ricerca scientifica di carattere storico artistico conclusisi per il momento lo scorso 26 ottobre, ha inoltre iniziato il suo percorso lavorativo come insegnante di Storia dell’arte e disegno artistico alle scuole medie. Ecco spiegato il motivo per il quale questa recensione viene pubblicata così in ritardo rispetto al normale. Di questo ritardo ovviamente mi scuso con tutti i lettori.

Fig. 1. Copertina del libro: Gli Allievi di Algardi. Opere, geografia, temi della scultura in Italia nella seconda metà del Seicento, Milano, Officina Libraria.

Ma ora cerchiamo di riprendere il filo del discorso. Il volume pubblicato a novembre del 2019, è costituito da 368 pagine (compreso l’indice dei nomi), costa 38 euro, e riunisce sedici contributi che diversi storici dell’arte hanno presentato durante il convegno tenuto nel 2015 al Kunsthistorisches Institute di Firenze e alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Il volume è incentrato sugli esiti della cultura figurativa dello scultore bolognese Alessandro Algardi (1598-1654), tramandati attraverso il bel paese, grazie ai suoi allievi, tra cui spiccano Ercole Ferrata, Domenico Guidi, Girolamo Lucenti, Gabriele Brunelli che grazie al loro talento diffusero la lezione del maestro. Il volume è curato da Andrea Bacchi, presidente della Fondazione Federico Zeri di Bologna e dagli storici dell’arte Alessandro Nova e Lucia Simonato. Il libro è idealmente diviso in tre parti così come spiegano nell’introduzione i curatori: la prima è dedicata ai cosiddetti “giovani” di Algardi, come li chiama lo scultore nel suo testamento, e riguarda una serie di interventi incentrati sulla diffusione del linguaggio del bolognese mediante l’uso, da parte degli allievi, di bozzetti e o modelli che questi avrebbero ereditato dalla bottega personale di Algardi; la seconda parte è incentrata invece sull’assimilazione del linguaggio algardiano fuori della città pontificia e prova a evidenziare come molti potessero essere i modi per essere “allievi” di Algardi mediante, ad esempio, un’adesione totale ai modi del maestro come nel caso di Gabriele Brunelli; con un’imitazione formale che però non raggiungeva mai la piena adesione stilistica del maestro, come nel caso di Bernardo Falconi, o ancora in un’ideale e programmatica rivendicazione di scuola come nel caso di Giovan Battista Foggini, legittimata dal possesso in bottega di calchi o modelli del bolognese. Infine la terza parte del libro prova invece a riassumere le principali tematiche emerse nelle prime due parti, come ad esempio il tema del rilievo marmoreo tra Sei e Settecento, il rapporto con l’antico nella dialettica fra gli allievi di Algardi e quelli di Bernini, il ruolo sociale degli artisti, la figura dello scultore di palazzo e la fortuna della produzione scultorea monumentale romana di fine secolo in alcune fonti epistolari molto rare. Tutti i saggi e più in generale, l’intero volume rende omaggio alla celeberrima quanto insuperata, per acutezza di pensiero critico e limpidezza di analisi dei documenti sia figurativi che cartacei, monografia su Alessandro Algardi pubblicata dalla storica dell’arte Jennifer Montagu a cui il libro che stiamo recensendo è dedicato.

Fig. 2. Copertina della monografia in due volumi di Jennifer Montagu dedicata ad Alessandro Algardi.

Riuscirebbe impresa impossibile riassumere in questo contesto tutti e sedici i brillanti saggi contenuti all’interno di questo bel libro, frutto delle ricerche di giovani e meno giovani studiosi che da anni conducono ricerche e approfondiscono un interessantissimo aspetto della storia dell’arte barocca, quello rappresentato, appunto, dalla scultura dopo il tramonto dell’astro algardiano. Il tema, o meglio i temi sono così specifici che chi scrive non si sente del tutto adatto nemmeno per un riassunto anche breve del loro contenuto che comunque non mi esimerò dal fare almeno in parte, demandando al temerario lettore, l’impresa della loro intera e approfondita lettura. Prima di citare brevemente almeno quelli che a mio avviso sono risultati essere i più avvincenti per contenuti e novità, va sottolineato come il linguaggio usato in tutti e sedici i saggi sia estremamente leggibile e scorrevole, la sinassi utilizzata pur essendo ricercata non scade mai nel prolisso. In alcuni casi tuttavia data l’estrema specificità degli argomenti trattati, la lettura è resa un poco ostica specie per la comprensione di talune questioni che oserei definire di “lana caprina”, vale a dire aspetti talmente specifici per i quali anche lo storico dell’arte più preparato, ma che vi si approccia per la prima volta, rimane un poco interdetto, e deve correre ai ripari con vari approfondimenti prima di riuscire a tirare le fila del discorso. Insomma il volume non è certo per dei principianti, anzi direi che è per storici dell’arte navigati e che conoscono, almeno a livello generale, la scultura barocca e la figura di Alessandro Algardi.

Sicuramente tra i saggi più interessanti c’è quello di Andrea Bacchi dal titolo i Crocifissi di Ercole Ferrata per San Pietro in cui lo studioso prova a risolvere una questione assai lunga, vale a dire a chi spetti la paternità di alcune tipologie iconografiche dei Crocifissi commissionati a Bernini ma eseguiti a partire da modelli in terra cotta da un suo collaboratore, da identificarsi come recita il titolo, molto verosimilmente con Ercole Ferrara, scultore che ben presto si avvicinò anche alla bottega di Algardi. Proprio quest’ultimo negli stessi anni della committenza berniniana aveva eseguito alcuni modelli di Crocifissi in bronzo. Lo studioso si interroga su chi tra i due maestri e rivali sia stato il primo a concepire l’idea compositiva che poi sarà ripresa dagli allievi solo con lievissime varianti iconografiche come ad esempio il modo con il quale vengono posizionati i piedi di Cristo, incrociati quelli ripresi dal modello berniniano, separati e posti l’uno accanto all’altro quelli del presunto modello algardiano.   

Fig. 3. Gian Lorenzo Bernini (su invenzione di), e Ercole Ferrata, Crocifisso con Cristo Morto, 1659, Città del Vaticano, San Pietro.

Molto interessante è anche il saggio di Cristiano Giometti intitolato A Roma e altrove. Il doppio registro espressivo di Domenico Guidi, uno tra gli assistenti più stretti di Algardi nei suoi ultimi anni di attività. Il saggio di Silvia Massari è invece incentrato sulle novità dello scultore bolognese Gabriele Brunelli e sull’analisi di alcune sue importanti opere come ad esempio il Monumento funebre di Gregorio XV databile al 1650 e conservato a Bologna nella chiesa di San Pietro o la splendida Annunciazione che il Brunelli realizza intorno al 1656 nella chiesa di Sant’Anastasia a Verona lungo l’arco della cappella della Madonna del Rosario dove nel timpano spiccano possenti figure angeliche, e il cui favoloso e magnifico angelo annunciante compare anche sulla copertina del volume di cui ci stiamo occupando. Il contribuito della Massari si sofferma poi sulle parti che Brunelli avrebbe eseguito per l’altare della cappella Filomarino nella chiesa dei Santi Apostoli a Napoli databile tra il 1634 e il 1647 circa, o ancora sul monumento funebre di Caterino Cornaro all’interno del Palazzo dei Giudici in Piazza dei Signori a Verona databile tra il 1662 e il 1664 o ancora agli splendidi angeli della Memoria di Alessandro Guicciardini eseguita intorno al 1676 all’interno del Palazzo dell’Archiginnasio di Bologna.

Fig. 4. Gabriele Brunelli, Vergine Annunciata (particolare), 1656 circa, Verona, Sant’Anastasia, arco della cappella della Madonna del Rosario.

Si potrebbe poi citare il saggio di Fernando Loffredo che discute le vicende critiche e storiche del bozzetto in terra cotta raffigurante San Crispino che Algardi avrebbe eseguito in vista della traduzione in bronzo dell’opera da parte di un suo collaborare per la chiesa di San Prospero a Reggio Emilia, la quale si conserva tutt’ora.

Fig. 5. Alessandro Algardi, Santo Martire (bozzetto per il San Crispino), 1640-1645, Firenze, Villa La Pietra, New York University.

O quello di Susanna Zanuso che discute l’attività di Bernardo Falcone tra le corti estense e sabauda fino ad approdare in Lombardia con i suoi colossi di pietra a Inverigo presso Villa Crivelli o quelli di Somma Lombardo all’interno di Castello Visconti, passando dall’analisi della superba Madonna col Bambino (1664-1666 circa) eseguita insieme a Bernardino Quadri per la sacrestia della cappella della Sacra Sindone di Torino.

Fig. 6. Filippo Parodi e collaboratori, Pietà, 1686-1688, Padova, Santa Giustina.

Continuando sulla scia della diffusione del linguaggio algardiano e dei suoi allievi lungo la penisola italiana, non potrei omettere la citazione del bel saggio di Daniele Sanguineti dal titolo Algardi a Genova. Percorsi di lettura da Tomaso Orsolino a Filippo Parodi. Nel testo lo studioso analizza la produzione di Alessandro Algardi e di Filippo Parodi non solo a Genova, dove Algardi lascia un meraviglioso Crocifisso (650 circa) nella cappella Franzone della chiesa dei Santi Vittore e Carlo e Parodi scolpisce la straordinaria Madonna del Rosario per la chiesa di Santa Caterina a Rossiglione Superiore (nelle vicinanze del capoluogo ligure), ma anche nel veneto, infatti Sanguineti si sofferma poi su alcune opere che Parodi ha eseguito ad esempio nella chiesa di San Nicola a Venezia come il Monumento funebre di Giovanni Francesco Morosini (1683-1686) o nella chiesa di Santa Giustina a Padova dove scolpisce con l’aiuto dei collaboratori lo splendido gruppo della Pietà (1686-1688).

Fig. 7. Filippo Parodi, Madonna del Rosario, 1673-1674, Rossiglione Superiore (Genova), Santa Caterina,

Due saggi cercano poi di fare luce sulla produzione algardiana incentrata su alcuni preziosissimi reliquiari. Mi sto riferendo al contributo di Alessandro Angelini che analizza, tra le altre cose, le vicende del Reliquiario di San Prospero conservato nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena e quello di Camilla Parisi che fa luce con alcune nuove indagini sul Reliquiario Rospigliosiano di San Bartolomeo Apostolo del Museo Capitolare di Pistoia.

Non posso chiudere questa breve recensione senza menzionare il bellissimo saggio di Anne-Lise Desmas intitolato Il Rilievo nella scultura a Roma, da Algardi a Monnot, magistrale excursus sulla tipologia artistica del rilievo barocco affrontato dagli assoluti protagonisti della scultura barocca a Roma tra il 1646 e il 1701. La storica dell’arte si sofferma sull’analisi delle principali caratteristiche formali dei principali rilievi marmorei eseguiti dai più importanti e validi scultori presenti nella città eterna nel periodo sopra evidenziato, vale a dire Alessandro Algardi con il suo superlativo rilievo per San Pietro con l’Incontro di Leone Magno e Attila (Roma, San Pietro), Antonio Raggi e la sua Santa Cecilia morente visitata da Urbano I (Roma, Sant’Agnese in Agone), Ercole Ferrata con il suo Martirio di Santa Emerenziana (Roma, Sant’Agnese in Agone), Domenico Guidi con la sua Pietà per la cappella del Monte di Pietà a Roma, Pierre Legors con Tobia presta il denaro a Gabael eJean Baptiste Théodon e il suo rilievo raffigurante Giuseppe vende il grano agli Egiziani, entrambe per la medesima cappella del Monte di Pietà, Pierre Etienne Monnot con il Riposo durante la fuga in Egitto per la cappella Capocaccia della chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma, Melchiorre Cafà con lo splendido rilievo con l’Estasi di Santa Caterina da Siena per la chiesa omonima a Magnanapoli, e infine Lorenzo Ottoni con il suo rilievo rappresentante la Sacra famiglia con la Beata Ludovica Albertoni della cappella Paluzzi in Santa Maria in Campitelli a Roma.

Fig. 8. Alessandro Algardi, Incontro di Leone Magno e Attila, 1646-1653, Città del Vaticano, San Pietro.

Non volendo prendere altro spazio, mi fermo qui, ma il lettore dev’essere consapevole che molti sono ancora i saggi che andrebbero menzionati. Inoltre, come dicevo all’inizio, proprio per l’estrema specificità di taluni argomenti preferisco non dilungarmi eccessivamente rischiando, nel riassumere taluni contribuiti, di fare grossolani errori. Vorrei che il lettore specialista o meno, leggesse di “prima mano” questo volume e i contribuiti contenuti al suo interno per farsi da solo e in autonomia un’idea di che cosa voglia raccontare questo libro. Quello che qui si è cercato di presentare è un testo altamente scientifico che non può mancare nelle biblioteche non solo di uno storico dell’arte, ma anche del grande appassionato di arte barocca, in particolare della “scultura barocca” di Alessandro Algardi e dei suoi allievi.

Marco Audisio

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