Il cardellino è un romanzo della scrittrice americana Donna Tartt che nel 2014 ha vinto il prestigioso premio Pulitzer e per il quale avevo grandi aspettative, viste anche le tante recensioni positive, che purtroppo però sono state disattese.
Protagonista del libro è Theodore Decker, un ragazzo di tredici anni, la cui vita viene sconvolta da un attentato terroristico al Metropolitan Museum di New York dove si era recato insieme alla madre per vedere una mostra d’arte. Nell’esplosione la madre di Theo perde la vita mentre il ragazzo riesce miracolosamente a sopravvivere. Gli ultimi momenti prima del tragico evento e quelli subito dopo sono fondamentali per Theo e influenzeranno la sua vita futura in modo profondo: entra subito in scena il dipinto che dà anche il titolo al romanzo, ovvero Il cardellino di Carel Fabritius, quadro che sta particolarmente a cuore alla madre di Theo che lo osserva con grande attenzione e meraviglia durante il giro nelle sale del museo; inoltre una visitatrice della mostra attira l’attenzione di Theodore, è una ragazza dai capelli rossi che è accompagnata da un anziano signore che più avanti scopriremo essere suo zio. Theo riesce a sopravvivere all’attentato proprio perché si era separato dalla madre e aveva intenzione di rivolgere la parola a Pippa (questo è il nome della ragazza che si scopre in seguito), tutto però cambia repentinamente a causa della deflagrazione: il ragazzo si risveglia in mezzo alle macerie e al fumo, circondato dai corpi feriti ed esanimi degli altri visitatori. In quei momenti di grande confusione e di terrore Theo scorge l’anziano signore che accompagnava Pippa gravemente ferito, gli si accosta e passa insieme a lui gli attimi di vita che gli rimangono: Welty (così si chiama lo zio della ragazza) parla in modo sconnesso e dice a Theo di prendere il quadro del cardellino con sé, per salvarlo, inoltre gli affida il suo anello.

Theodore con un gesto avventato e confuso mette il quadro di Fabritius nel suo zaino e in seguito, facendosi largo tra le macerie, riesce a trovare una via d’uscita e a raggiungere l’esterno del museo. Da questo momento il dipinto resta con Theo, diventa il suo segreto, la sua ossessione e cercherà in tutti i modi di tenerlo nascosto con sé.
Il padre del protagonista, che aveva problemi di alcolismo, aveva abbandonato la famiglia e si era creato un’altra vita lontano dal figlio e dalla moglie, rendendosi irrintracciabile e per questo Theo inizialmente viene affidato alle cure della famiglia di un suo amico e compagno di scuola, Andy Barbour. Theodore è scombussolato, non riesce a capacitarsi della morte della madre, rivive con orrore gli attimi dell’esplosione e della morte di Welty, si sente solo e abbandonato e inizia a vivere con apatia. I Barbour sono una famiglia ricca e influente che si dimostra gentile con Theo ma incapace di dargli le giuste attenzioni e l’affetto di cui ha bisogno. Il quadro de Il cardellino risulta scomparso dal museo e non si sa che fine abbia fatto, Theo infatti continua a custodirlo gelosamente e sebbene abbia diverse possibilità per rivelare ciò che aveva fatto senza troppe conseguenze non lo fa e questo segreto comincia a ingigantirsi dentro di lui, fino a diventare una preoccupazione ricorrente.
Il nostro protagonista un giorno decide di recarsi a casa di Welty per consegnare alla sua famiglia l’anello che gli aveva affidato negli ultimi attimi della sua vita ed è così che conosce James Hobbart (soprannominato Hobie) che insieme a Welty gestiva un negozio di antiquariato di alto profilo: Hobie si dedica soprattutto al restauro di mobili antichi mentre il suo socio gestiva gli affari e si occupava delle vendite. Hobie si dimostra fin da subito una presenza adulta rassicurante per Theo, lo ascolta con attenzione, lo accoglie con calore, lo esorta ad andarlo a trovare quando vuole e riesce a non essere asfissiante per Theo, dandogli i suoi spazi. La bottega di Hobie, che si trova sotto la sua casa, diventa un rifugio per il ragazzo, un luogo sicuro in cui poter respirare un briciolo di normalità e in cui poter confrontarsi con qualcuno che abbia vissuto la sua stessa esperienza, infatti Pippa, dopo la morte dello zio, è rimasta ferita e passa il suo periodo di convalescenza nella casa che Welty condivideva con Hobie.

In seguito però la vita di Theodore va incontro ad un nuovo cambiamento, infatti il padre torna a farsi vivo insieme alla sua nuova compagna Xandra e il nostro protagonista è costretto a lasciare New York e a trasferirsi a Las Vegas. Qui Theo conosce Boris, un ragazzo che frequenta la sua stessa scuola, con il quale insatura un rapporto molto stretto, diventano inseparabili e cominciano a trascorrere le loro giornate annebbiandosi nell’alcool e nelle droghe. Theo continua a soffrire moltissimo per la morte della madre e per l’esperienza traumatica da lui vissuta e di certo non è aiutato da un padre che è sempre assente e che non ha mai risolto i suoi problemi con l’alcolismo e il gioco d’azzardo.
Mi fermo qui con il racconto della trama del romanzo, ma ancora tanti sono gli eventi (anche rocamboleschi e quasi da film d’azione) che coinvolgono Theo e che scombussoleranno la sua vita, molti dei quali, soprattutto quelli narrati verso la fine del libro, riguardano il preziosissimo dipinto di cui il ragazzo era entrato in possesso: che fine farà Il cardellino di Fabritius?
Purtroppo come ho già anticipato il romanzo di Donna Tartt non mi ha pienamente convinto, anzi sono tanti i punti che ho trovato problematici, ma sicuramente il suo pregio principale è lo stile: Tartt ha una prosa davvero brillante, molto descrittiva e avvolgente che riesce a far vivere i luoghi in cui ambienta la sua storia e a far sì che si voglia sapere cosa accadrà dopo.

Sicuramente ho apprezzato maggiormente la prima parte del romanzo, quella ambientata a New York in cui seguiamo Theo che deve affrontare le enormi difficoltà della sua nuova esistenza, ma che riesce a trovare anche consolazione nella bottega di Hobie. Poi il libro, a mio avviso, inizia a diventare ripetitivo nella parte ambientata a Las Vegas: lunghissime e interminabili descrizioni delle giornate che Theodore passa in compagnia di Boris sotto l’effetto delle sostanze stupefacenti e degli alcolici occupano gran parte della narrazione. Capisco che l’autrice volesse rendere al meglio il dramma di questo ragazzo che si sente perso e non riesce a trovare più speranze nella vita, però in un romanzo di quasi 900 pagine mi sembra che gli argomenti trattati si ripetano all’infinito senza riuscire ad aggiungere più niente di particolarmente rilevante. Inoltre, proprio collegandomi a quanto ho appena scritto, mi è rimasta la sensazione che il romanzo non affronti molte tematiche importanti al suo interno, non riesco bene a cogliere quale sia l’intento di questa storia, cosa volesse comunicare l’autrice con questo romanzo: indubbiamente la narrazione mostra quali sono le conseguenze di un lutto così importante ma mi sembra che anche questo aspetto sia guardato solo in superficie. Non emerge poi cosa sia l’amicizia per Theo, non ci si sofferma mai con profondità sul suo rapporto con l’amico Andy e soprattutto con Boris, con il quale passa ogni singolo attimo della sua giornata quando si trova a casa del padre: ci sono giusto due frasi in cui Theo sembra esprimere il profondo affetto che prova per Boris, quando dice che svegliandosi in preda agli incubi sente come rassicurante la presenza dell’amico che lo abbraccia mentre dormono nello stesso letto, ma poi l’argomento non viene mai scandagliato e approfondito. Non solo l’amicizia non viene affrontata dai pensieri di Theo ma nemmeno le sue azioni dimostrano cosa provi, rimane tutto indefinito.
Non emerge nemmeno cosa sia l’amore per il nostro protagonista, non si riescono a capire i suoi sentimenti, cosa provi realmente per le ragazze che frequenta e anche in generale per coloro che lo circondano, che lo accolgono o lo rifiutano.

I personaggi inoltre, a mio avviso, rimangono delle macchiette, non hanno profondità: cosa si può dire di Andy se non che è un ragazzo timido e un po’ nerd, cosa si può dire di Boris se non che è un ragazzo impulsivo e propenso a rincorrere i guai e ancora cosa emerge dalla figura della signora Barbour?
Il romanzo presenta poi alcuni passaggi della trama che risultano francamente inverosimili e poco credibili e questo non può che far storcere il naso ai lettori, si rompe in un certo senso quel patto iniziale che si fa con l’autore per cui si accetta di credere a ciò che ci viene raccontato a patto che il mondo descritto mantenga una sua coerenza. Mi è rimasta poi una grande domanda dalla lettura di questo romanzo: perché Theo è così febbrilmente legato al quadro del cardellino?
Certo il dipinto di Fabritius è collegato in modo indelebile agli ultimi attimi di vita della madre di Theo, ma dalle parole e dalle descrizioni di Donna Tartt secondo me questo aspetto non riesce mai a risaltare, non ci sono ad esempio dei momenti in cui Theodore guarda il quadro e ricorda lo sguardo o il sorriso della madre mentre lo osservava e quindi ho fatto fatica a trovare le ragioni di questo legame.
Il cardellino mi è sembrato il racconto di un ragazzo che non riesce a risollevarsi dall’apatia, mischiato ad un thriller con al centro il traffico di oggetti d’arte, scritto in maniera impeccabile (anche se, data la ripetizione di molte scene, poteva avere anche 300 pagine in meno): ma per me non è abbastanza, da un romanzo vincitore del premio Pulitzer mi aspetto molto di più, mi aspetto che affronti svariati temi in modo approfondito e non banale e che magari mi offra una nuova prospettiva su una realtà specifica o in generale sul mondo.
Alessandro Audisio
Rispondi