Da dove ha origine l’arte del Novecento? Come interpretare i numerosi movimenti, personaggi e linguaggi che hanno caratterizzato questo dinamico periodo storico? A questi e ad altri complessi interrogativi cerca di rispondere lo storico dell’arte austriaco Werner Hofmann (Vienna, 1928 – Amburgo, 2013) nel saggio La pittura del XX secolo, edito in Italia nel 1963, ma apparso per la prima volta in Germania nel 1957 con il titolo Zeichen und Gestalt. Die Malerei des 20. Jarhunderts, parte di una serie di due volumi che comprende anche La scultura del XX secolo, dedicato all’evoluzione delle arti plastiche nella contemporaneità.
Formatosi a Vienna e a Parigi, Werner Hofmann era, all’epoca della pubblicazione di quest’opera, uno degli esponenti più significativi della nuova generazione di storici e critici dell’arte contemporanea. Autore di altri importanti contributi sull’arte dell’Ottocento e del Novecento, fra i quali Il paradiso terrestre (1960),nel 1962 fu fondatore e primo direttore del Museo del Ventesimo Secolo di Vienna, conosciuto oggi come Mumok – Museum Moderner Kunst. Successivamente, ricoprì lo stesso ruolo presso l’Hamburger Kunsthalle di Amburgo, affiancando a questa professione una prolifica attività curatoriale e accademica, in qualità di docente alla Columbia University di New York e all’Università della California di Berkley.
Attraverso La pittura del XX secolo, Hofmann elabora una precoce storicizzazione dell’evoluzione della pittura nel corso del Novecento, offrendo, allo stesso tempo, una sorta di bussola che potesse essere di aiuto a chi si approcciava a tale disciplina, ancora nuova e difficilmente interpretabile con gli strumenti della storiografia tradizionale. Occorre tenere presente che l’autore operava in un contesto, quello della metà del secolo, estremamente dinamico: se, da una parte, molti dei grandi maestri delle avanguardie storiche europee, come Duchamp, Picasso e Dalì, erano ancora in attività, si assisteva d’altro canto all’affermarsi degli Stati Uniti come nuovo polo culturale e all’emergere di tendenze innovative, come l’action painting, o, rimanendo in Europa, al diffondersi del linguaggio informale e al dibattito fra astrattisti e fautori dell’arte figurativa. Tale complessità è riassunta efficacemente dall’autore nel primo capitolo del volume, dal titolo “L’arte è divenuta incerta”: la conclusione a cui egli giunge in questa parte iniziale è che, per un’efficace lettura della modernità, è necessario il superamento di schemi e modelli di interpretazione consolidati, in favore dell’adozione di un nuovo punto di vista, che non può non tenere conto della società contemporanea e dei suoi diversi fenomeni culturali nel loro complesso.
L’interpretazione che Hofmann offre della storia dell’arte del Novecento non segue pertanto solo un criterio tradizionale, cronologico, ma anche dialettico, e si esprime nell’individuazione di una continua oscillazione fra approcci contrapposti, entro i quali si muovono, più o meno consapevolmente, tutte le espressioni che si susseguono fra XIX e XX secolo.
Le tre età storiche fondamentali per comprendere la contemporaneità sono, secondo l’autore, il Rinascimento, il Manierismo e l’Ottocento.
Innanzitutto, con il Rinascimento vide la luce il moderno concetto di “artista”, inteso come individuo noto e riconoscibile nelle sue stesse opere e che, nella maggior parte dei casi, aderisce ad una scuola caratterizzata da uno stile definito, viene sostenuto da un mecenate e ammirato dal pubblico. Tutte nozioni, queste, sconosciute nel Medioevo, periodo in cui l’arte vedeva la luce in un contesto di assoluto anonimato e si dispiegava prevalentemente nei luoghi di culto, con fini devozionali.
In epoca rinascimentale, inoltre, la natura diviene per gli artisti il termine privilegiato di confronto e, nel tentativo di eguagliare o superare la sua perfezione, si elaborano principi matematici, proporzioni e canoni ideali. Proprio questa intellettualizzazione dell’arte, secondo Hofmann, è alla base di quella tendenza all’“Idealismo” che costituirà, da quel momento e per tutti i secoli successivi, sino al Novecento, uno dei due poli attorno a cui si catalizzerà l’evoluzione dei linguaggi artistici, in opposizione al principio di “Realismo”, che perseguirà nell’adesione al reale così come esso si presenta, senza idealizzazione.
Con il passaggio alla successiva stagione manierista, si rintracciano, secondo l’autore, altri elementi che sembrano presagire quanto troverà pieno compimento solo in tempi più recenti: ad esempio, nella seconda parte del Cinquecento si osserva una crescente tendenza a riflettere sull’arte in sé e per sé, dovuta al fatto che i pittori della nuova generazione devono misurarsi non più solo con l’imitazione della natura, ma anche con la perfezione raggiunta dagli illustri predecessori, soprattutto Raffaello. L’arte inizia a confrontarsi con sé stessa e non più solo con il mondo reale. A questa nuova componente estetica, si sovrappone una maggiore libertà rispetto ai più rigidi precetti rinascimentali, che sfocia, in alcuni casi, nel tentativo di raffigurare idee e visioni interne, secondo la fantasia degli artisti stessi, schiudendo alla pittura la possibilità di rappresentare anche ciò che non è misurabile con la ragione.

Fig. 1. Georges Seurat, La parata del circo, 1878-88, New York, Metropolitan Museum of Art
All’inizio dell’Ottocento, in Francia, la contrapposizione fra “Ideale” e “Reale” si concretizza nelle scuole che vedono opporsi Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 1780 – Parigi, 1867) da una parte, in qualità di esponente del classicismo accademico, e il più giovane Eugène Delacroix (Charenton-Saint-Maurice, 1798 – Parigi, 1863), che, con il suo stile dalle pennellate imprecise e veloci e la trattazione di temi tratti anche dall’attualità, anticipa l’imminente stagione impressionista.
“Le radici della pittura moderna” scrive quindi Hofmann “giacciono approssimativamente nell’Impressionismo”; a questo movimento, però, l’autore riconosce non tanto un ruolo di vero e proprio iniziatore della contemporaneità, ma, piuttosto, di intermediario. Pur con le importanti innovazioni apportate sulla scena artistica, infatti, che imprimeranno una svolta nel modo di considerare la pittura, gli impressionisti operano in maniera soprattutto empirica, soffermandosi ancora una volta sulla rappresentazione mimetica della natura, seppur i soggetti diventino nelle loro opere un pretesto per iniziare a sperimentare le potenzialità del colore come mezzo autonomo.
Il percorso verso l’“arte totale”, che contraddistingue, secondo Hofmann, la contemporaneità dalla cultura antica, perché in grado non solo di riprodurre il visibile, ma anche di captare ciò che non è intellegibile con i sensi o con la sola ragione, come l’interiorità degli individui, viene intrapreso nella successiva stagione del Neoimpressionismo da Georges Seurat (Parigi, 1859 – Gravelines, 1891) e Paul Signac (Parigi, 1863 –1935). Nelle loro opere, la nuova tecnica del “puntinismo”, a cui vengono applicati i principi desunti da trattati di teoria ottica, trasforma il processo pittorico in un’attività estremamente intellettualizzata, tanto che, al di là dei soggetti raffigurati, nei dipinti si scorgono le leggi invisibili che regolano la disposizione degli elementi. Parallelamente, un’altra importante corrente, il simbolismo, apre una nuova, fondamentale porta, quella verso la dimensione onirica.

Fig. 2. Vasilij Kandinskij, Primo acquarello astratto, 1910, Parigi, Centre Pompidou
Le avanguardie storiche che animano il primo decennio del XX secolo prendono le mosse da tale retroterra culturale, sino al fondamentale punto di svolta che Hofmann colloca nel 1910, quando Vasilij Kandinskij (Mosca, 1866 – Neuilly-sur-Seine, 1944) realizza l’opera Primo acquarello astratto, considerato, come suggerisce il titolo stesso, il dipinto che avvia l’astrattismo. Per la prima volta, colori e linee, cioè i mezzi fondamentali della disciplina pittorica, sono liberi di dispiegare il loro potenziale in modo autonomo, senza che siano necessariamente vincolati a un oggetto definito.

Fig. 3. Carlo Carrà, Pino sul mare, 1921, collezione privata
A partire dagli anni Venti, la dialettica tra Idealismo e Realismo si consolida, secondo Hofmann, nelle due diverse tendenze che vedono, da una parte, “l’arte come interpretazione della realtà” e, dall’altra “la pittura come invenzione della realtà”.
Alla prima tendenza corrispondono quelle espressioni riconducibili all’alveo del “ritorno all’ordine”, come la pittura metafisica, la Nuova Oggettività oppure, volgendo lo sguardo oltreoceano, il muralismo messicano e la nuova pittura americana. In ogni caso, il recupero della grande tradizione figurativa non può prescindere dai cambiamenti intercorsi rispetto al passato e, infatti, l’autore nota il ripetersi di quegli stessi schemi che avevano caratterizzato la pittura agli albori della contemporaneità, oscillanti fra l’espressione dei tumulti del proprio spirito, come nelle opere di Van Gogh, e la ricerca, inaugurata da Cézanne, dell’essenza degli oggetti, al di là della loro apparenza.

Fig. 4. Piet Mondrian, Tableau I, 1921, L’Aia, Gementemuseum
L’arte che “inventa” la realtà viene invece praticata da quegli artisti che proseguono sulla strada tracciata negli anni Dieci da Kandinskij e dagli altri membri del “Cavaliere azzurro”: il loro scopo è quello di cercare di raffigurare tutti quegli elementi che compongono la parte invisibile dell’universo, la sua essenza, o gli stati d’animo, e che non sono quindi percepibili con i sensi o misurabili con la ragione. Proprio qui è insita la componente inventiva: nel tentativo di perseguire una strada mai tentata prima, questi artisti sono chiamati a mettere a punto mezzi innovativi, che siano in grado di far emergere le potenzialità della pittura come entità creatrice di una nuova realtà. I pittori di tale nuova generazione si trovano di fronte a due strade: raffigurare l’“invisibile” nel suo stato di caos primordiale, “gettando” sulla tela colori e linee, tendenza che condurrà successivamente all’informale, o cercare di riprodurre gli equilibri dell’universo nella sua perfezione geometrica e immutabile, percorso al cui vertice Hofmann colloca le opere di Piet Mondrian (Amersfoort, 1872 – New York, 1944).

Fig. 5. Emilio Vedova, Senza titolo, 1957-58
Il volume si chiude con alcune considerazioni sui più recenti sviluppi della pittura: l’autore constata come negli anni Cinquanta sia predominante la tendenza alla “invenzione” dell’arte, quindi all’astrattismo, rispetto alla rappresentazione del visibile, con la diffusione, sia negli Stati Uniti che in Europa, dell’arte informale. L’attenzione degli artisti, però, si è spostata ora quasi esclusivamente sull’aspetto materico della pittura, evidente nel trattamento ad essa riservato, e sull’utilizzo dell’arte come mezzo per ricercare sé stessi, più che come interpretazione del mondo.
La pittura del XX secolo è un volume difficilmente riassumibile in poche righe; oltre agli aspetti di cui si è trattato, infatti, il saggio contiene approfondimenti dedicati ai movimenti delle avanguardie storiche, nonché profili biografici di tutti gli artisti operanti dagli anni Venti agli anni Cinquanta, giungendo quindi anche ad un’analisi dei tempi assai prossimi all’autore. A tale approccio più tradizionale, si sovrappongono diverse altre chiavi di lettura, che cercano di restituire l’atmosfera della prima metà del XX secolo anche nei suoi risvolti sociali, filosofici ed esistenziali.
L’introduzione dello storico dell’arte Enrico Crispolti (Roma, 1933 – 2018), che apre l’edizione italiana, aiuta a comprendere la complessità della trattazione e la inserisce nel più ampio contesto della critica europea. Il saggio, in ogni caso, è un esempio di come, nello studio della storia dell’arte e, in particolare, di quella contemporanea, caratterizzata dal deciso emergere dell’individualità degli artisti e del loro confrontarsi con il mondo, sia fondamentale adottare punti di vista differenti, che colgano la società e i diversi fenomeni culturali nel loro complesso.
Chiara Franchi
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