La Milano dell’Ottocento si racconta a Novara

Al Castello di Novara, edificio storico della città piemontese, oggi sede di mostre temporanee ed eventi, fino al 12 marzo 2023 è possibile visitare la mostra Milano da romantica a scapigliata, curata da Elisabetta Chiodini, con il supporto di un Comitato scientifico di esperti.
Come si intuisce da titolo, l’esposizione ripercorre le vicende non solo artistiche, ma anche storiche e di costume che hanno caratterizzato il capoluogo lombardo nell’Ottocento, più precisamente dagli anni Dieci agli anni Ottanta, illustrando il passaggio da Romanticismo a Scapigliatura. Il percorso si articola in otto sezioni e presenta circa settanta opere, per la maggior parte dipinti – anche se non mancano esempi di scultura e di arti plastiche – in gran parte provenienti da gallerie e collezioni private. 
La mostra, dunque, cala in un contesto geografico preciso e circoscritto i fenomeni che hanno interessato il XIX secolo, a partire dal Romanticismo, un movimento assai ampio e diversificato che, dalla Germania, dove si era affermato in prima battuta, si era diffuso nei primi decenni dell’Ottocento in tutto il Vecchio Continente, coinvolgendo non solo l’arte, ma anche la letteratura e la musica. 
Per quanto riguarda Milano e, più in generale, l’Italia Settentrionale, l’affermarsi della cultura romantica aveva accompagnato e si era sovrapposta ad assai rilevanti eventi storici, quali la caduta del Regno d’Italia, fondato da Napoleone Bonaparte nel 1805, e il successivo Congresso di Vienna del 1814, in occasione del quale l’area nordorientale della penisola era confluita nel Regno Lombardo-Veneto, dipendente dall’Impero austriaco. I moti risorgimentali, nel cui ambito si situano fatti significativi per la storia dell’Italia settentrionale, come le Cinque Giornate di Milano, avevano condotto infine alla liberazione e all’unità dell’Italia. 
A farsi portavoce del sentimento di patriottismo e del desiderio di recupero della propria identità che animavano la popolazione era stato proprio il Romanticismo, nelle sue molteplici espressioni. 
Per questi motivi, si era diffusa una nuova sensibilità, anche in termini culturali: il riferimento privilegiato non era più, infatti, come era accaduto con la precedente stagione neoclassica, l’arte greco-romana, con i suoi valori di armonia, equilibrio e idealizzazione della realtà, ma la cultura medievale, considerata più adatta a esprimere valori come la religiosità, l’unità popolare e gli ideali fondativi delle nazioni europee. Questo mutamento di sensibilità favorì, in pittura come in letteratura, il predominio di soggetti storici legati ad antiche leggende o a eroi nazionali del passato: dal momento che non si potevano trattare apertamente temi antiaustriaci, infatti, gli artisti ricorrevano a parallelismi tratti da altre epoche storiche.  
L’opera posta come “prologo” alla mostra, cioè Imelda de’ Lambertazzi di Francesco Hayez (Venezia, 1791 – Milano, 1882), sintetizza queste premesse. Si tratta di un soggetto letterario, tratto dal romanzo I Lambertazzi e i Geremei di Defendente Sacchi (Casa Matta di Siziano, 1796 – Milano, 1840), uno fra i massimi promotori del Romanticismo, e che nel 1830 sarebbe stata il soggetto dell’omonimo melodramma di Gaetano Donizetti (Bergamo, 1797 – 1848). Ambientata in epoca medievale e incentrata sulla rivalità tra le famiglie bolognesi dei Lambertazzi e dei Geremei, ghibellini gli uni, guelfi gli altri, quest’opera è un esempio di come artisti, intellettuali e compositori romantici, senza confini tra le discipline, attingessero ad episodi tratti dalla storia medievale per riscoprire le ambientazioni, le suggestioni e gli ideali di quel periodo. Il dipinto costituisce, inoltre, un esempio della grandezza di Hayez, considerato il massimo esponente della pittura romantica: le scene teatralizzate, la frequente ricorrenza di ambientazioni medievali e le molteplici allusioni simboliche ai sentimenti più diffusi tra il popolo della penisola sono caratteristiche emblematiche della cultura romantica. Dopo questa introduzione di carattere artistico e letterario, ha inizio la prima parte del percorso che, procedendo in modo tematico, prende in considerazione, uno dopo l’altro, tutti gli aspetti sino a qui delineati: la produzione artistica del periodo, esemplificata dalle numerose opere esposte, ha lo scopo di illustrare non solo le diverse tendenze artistiche, ma anche i mutamenti della città di Milano, la sua società, i protagonisti e gli accadimenti storici che la interessarono.

Fig. 1. Angelo Inganni, Veduta di Piazza del Duomo con il Coperto dei Figini, 1839, Collezione privata

La prima sala è dedicata proprio alla “pittura urbana”, genere iniziato e portato al successo dall’artista alessandrino Giovanni Migliara (Alessandria, 1785 – Milano, 1837). La novità introdotta da Migliara consisteva nell’accostare alle tradizionali vedute prospettiche, che ritraevano con accuratezza edifici e vie, una dinamica descrizione della presenza umana, in tutte le sue sfaccettature.          
Fra i seguaci di Migliara emergeva Angelo Inganni (Brescia, 1807 – Gussago, 1880), il quale, grazie alla propria abilità narrativa, riuscì a restituire nelle sue opere la vivacità della città di Milano e la varietà della sua popolazione. Nell’opera Veduta di piazza del Duomo con il Coperto dei Figini, ad esempio, l’artista mostra uno spaccato della società milanese del periodo, calato nella tipica ambientazione del centro della città. Quest’ultima e, soprattutto le persone che la popolano, sono descritte con esattezza, permettendo di individuare e riconoscere gli edifici, tra cui il Coperto dei Figini in primo piano, successivamente demolito, le attività e le abitudini degli abitanti dell’epoca.

Fig. 2. Giuseppe Molteni, Ritratto di Alessandro Manzoni, 1835 circa, Collezione privata

        

La descrizione della società prosegue nella sezione successiva, dal significativo titolo I protagonisti; anche in questo caso, più livelli di lettura si sovrappongono. Se da un lato, infatti, le opere qui presenti costituiscono una testimonianza storica delle personalità più determinanti del periodo, dall’altro lato i dipinti esposti restituiscono l’evoluzione verso la nuova concezione di ritratto, con le sue diverse declinazioni. Le opere di Hayez, che fu uno dei massimi esponenti anche di questo genere, ad esempio, si contraddistinguono per l’attenzione posta nei confronti dell’introspezione psicologica dei soggetti, mentre l’ambiente circostante è ridotto al minimo. Al contrario, nei ritratti di Giuseppe Molteni (Affori, 1800 – Milano, 1867), talvolta le figure degli effigiati si arricchiscono di una componente descrittiva accurata, che permette di individuare il contesto in cui essi si muovevano e lo status di appartenenza. Di Alessandro Manzoni, ad esempio, l’artista realizzò diversi ritratti, sia caratterizzanti, perché immersi nel paesaggio del lago di Lecco, sia incentrati sull’interiorità dell’effigiato.       
Lo stesso Molteni introdusse nelle proprie opere la presenza di persone e scene tratte dalle vicissitudini delle classi popolari, aprendo la strada ad una nuova sensibilità che, successivamente, avrebbe trovato piena espressione nelle opere dei fratelli Domenico (Milano, 1815 –1878) e Gerolamo Induno (Milano, 1825 – 1890).

Fig. 3. Domenico Induno, Nello studio del pittore, 1863 circa, Collezione privata

Il percorso, dopo un approfondimento sulla rappresentazione delle Cinque Giornate di Milano, fondamentale fatto storico della fine degli anni Quaranta, prosegue proprio con un focus sull’opera dei due fratelli. Se da un lato, infatti, in quegli anni diversi artisti si dedicarono alla descrizione dei grandi avvenimenti che animavano la città, gli Induno preferirono dedicarsi alla pittura di genere che, grazie alla loro attività, conobbe una significativa fortuna. Le scene realizzate in questo contesto, come l’opera Nello studio del pittore, miravano a descrivere minuziosamente la vita quotidiana delle classi popolari, con risvolti emotivi e di insegnamento morale, per conferire pari dignità non solo a questo genere pittorico, ma anche classi sociali sino a quel momento scarsamente rappresentate.   
Dopo queste prime sezioni incentrate sul Romanticismo e sulle sue numerose sfumature e accezioni, la mostra prosegue illustrando il passaggio, avvenuto nella seconda metà dell’Ottocento, verso un tipo di sensibilità nuova, che poneva al centro le possibilità della pittura come mezzo per riprodurre la percezione ottica della realtà.          
Questo determinò, dal punto di vista stilistico, l’affermarsi di quelle ricerche già intraprese negli anni precedenti da antesignani come Giovanni Carnovali detto “il Piccio” (Montegrino Valtravaglia, 1804 – Cremona, 1874) incentrate sul tentativo di esaltare al massimo le potenzialità di colore e luce, a discapito di quanto prescriveva la tradizione accademica, che poneva alla base della pratica artistica il disegno e il chiaroscuro.       
Questo comportò anche una variazione nell’ambito dei generi, con l’affermarsi di temi più intimistici, come la pittura di genere e del ritratto borghese, poiché l’interesse non era più rivolto alla celebrazione di un particolare fatto o personaggio storico, ma si stava attestando sulla restituzione della realtà, anche quotidiana, nella sua immediatezza.

Fig. 4. Filippo Carcano, Giardino con effetto di sole, 1867 circa, collezione privata


Fra i maggiori esponenti di questa nuova generazione di pittori si situa Filippo Carcano (Milano, 1840 –1914): nell’opera Giardino con effetto di sole, ad esempio, si può notare come protagonista principale del dipinto sia la luce, che illumina la scena e rende i contorni sfumati e indefiniti. I tratti veloci e quasi abbozzati, tanto che la materia pittorica emerge chiaramente dalla tela, tentano di cogliere quel particolare momento nella sua immediatezza, senza l’ausilio di studi preparatori o del disegno.
Questo gruppo di artisti, definiti dalla critica “avveniristi”, del quale erano parte, tra gli altri, Vespasiano Bignami (Cremona, 1841 – Milano, 1929), Giuseppe Barbaglia (Milano, 1841 – Vedano al Lambro, 1910) e Mosè Bianchi (Monza, 1840 – 1904), tutti rappresentati in mostra, avrebbero gettato le basi per la successiva stagione della Scapigliatura, i cui principali esponenti, Tranquillo Cremona (Pavia, 1837 – Milano, 1878) e Daniele Ranzoni (Intra, 1843 –1889) esordirono proprio in questo periodo.

Fig. 5. Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874-78 circa, Milano, Galleria Maspes (parte di un dittico)

La mostra si conclude proprio con un approfondimento sul movimento dei cosiddetti “scapigliati”, fenomeno a cui aderirono da pittori, musicisti e scrittori, attivi sino agli anni Settanta del secolo. Gli artisti che si identificavano in questa corrente, si distinguevano per il rifiuto delle convenzioni, sia accademiche che sociali, e per la tendenza all’esaltazione dell’individualità, di stampo romantico. In campo artistico, essi misero in pratica gli insegnamenti dei loro predecessori, sancendo l’utilizzo di colore e luce come soli mezzi per la costruzione dei dipinti: la quasi totale assenza del disegno, la materia pittorica dalle pennellate scomposte e veloci, i contorni imprecisi delle figure sono le caratteristiche identificative della loro produzione. 
Gli esiti più alti di questo nuovo stile sono ravvisabili in opere come il dittico In ascolto di Tranquillo Cremona, nella quale i volti accennati con pochi tratti, le sagome dei soggetti che, in alcuni punti, si confondono fra di loro o con l’ambiente, l’eloquenza dei gesti e delle espressioni contribuiscono a conferire grande immediatezza e vitalità alla scena e a esprimere l’interiorità dei soggetti, il tutto mediante il solo utilizzo del colore.        
L’Ottocento è stato un secolo fondamentale per la storia e per la cultura europee, nel quale avvennero quei passaggi che avrebbero condotto verso la modernità.  Circoscrivere i numerosi eventi e i temi di riflessione che lo caratterizzarono a un periodo storico e a un’area geografica precisi, secondo l’impostazione del percorso espositivo, aiuta ad approfondire alcuni aspetti più vicini alla cultura italiana e a esplorare i molteplici livelli di lettura che tali fenomeni culturali presentano. Le vicende che condussero la città di Milano dallo spirito romantico e risorgimentale a un tipo di sensibilità nuova, quella della Scapigliatura, che preannunciava alcuni tratti dell’epoca più moderna, possono quindi essere lette da differenti punti di vista, tenendo presente che la città non è intesa solo come realtà urbana, ma include la società che la abitava e che assistette in prima persona a questi eventi.

Chiara Franchi

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