La Parigi moderna arriva a Milano

Manet e la Parigi moderna è la grande mostra in scena al piano nobile di Palazzo Reale a Milano fino al prossimo 2 luglio. Curata da Guy Cogeval, storico presidente del Musée d’Orsay e dell’Orangerie di Parigi e dalle due conservatrici del Museo Caroline Mathieu, conservatore generale onorario e Isolde Pludermacher, conservatore del dipartimento di pittura, è prodotta dal Comune di Milano-Cultura, unitamente a Mondo Mostre Skira.

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Eduard Manet, Ritratto di Mallarmé, 1876

L’esposizione prova a raccontare i fermenti culturali, architettonici e artistici che la città di Parigi sta vivendo intorno alla metà dell’Ottocento: dal nuovo piano urbanistico della città, progettato e messo a punto dal barone Georges Eugène Haussmann, fino alla costruzione del teatro dell’Opèra, realizzato da Charles Garnier, commissioni richieste da Napoleone III. Parallelamente la mostra racconta la carriera artistica del pittore Eduard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 – Parigi, 30 aprile 1883, il precursore degli impressionisti), e i suoi rapporti con i più importanti intellettuali, che in quel periodo vivevano e animavano Parigi, da Mallarmè e Baudleaire fino a Zolà, e con pittori come Berthe Morisot, Edgard Degas, Paul Signac e Giovanni Boldini.

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Eduard Manet, Ritratto di Emile Zolà, 1868

La mostra si apre con una carrellata di ritratti tra cui emerge su tutti quello di Emile Zolà, dipinto da Manet nel 1868. Zolà è ritratto di tre quarti ed è seduto nel suo studio, alle sue spalle compaiono delle stampe giapponesi e alcune cartoline di dipinti celebri dell’amico Manet, tra cui emerge su tutti la celeberrima Olympia dipinta nel 1863. L’impostazione del dipinto è estremamente classica e rimanda al Ritratto di Ludovico Ariosto (1510), dipinto da Tiziano e conservato alla National Gallery a Londra. Alla posa classica dell’effigiato è contrapposta la pennellata di colore per campiture piatte e nette. L’illuminazione, tutt’altro che buona (problema comune a diverse altre opere esposte), produce del riverbero sul dipinto che non ne permette l’adeguata visione. In questa sala si può anche osservare il bel ritratto dipinto da Carolus Duran il Convalescente (1860) che spicca oltre che per la camicia rossa bordata di bianco, anche per la vena intimista e domestica del dipinto e per la natura morta sullo sfondo che richiama alla mente quella della Lettura di Federico Faruffini alla GAM di Milano. Da notare in questa sezione della mostra sono anche i ritratti dipinti da Manet dell’amante Berthe Morisot (1874) e dell’amico Mallarmè (1876).

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Carlous Duran, il Convalescente, 1860

Proseguendo nel percorso espositivo si incontra una sala dedicata al paesaggio nei pressi di Parigi e alle sue recenti trasformazioni, dove sono esposte opere di Paul Gauguin come La Senna al Ponte Iéna e Tempo nevoso (1875), dipinto influenzato dalla pittura realista di Courbet, di Claude Monet con Le Tuileries (1875) e di Paul Signac con Strada di Gennevilliers (1883). A questi sono affiancati disegni e tavole tecniche raffiguranti progetti di stazioni, case, mercati e costruzioni ludiche: è il caso dell’opera di Jacques Ignace Hittorf Circo imperiale a Parigi del 1852 o la splendida Casa a graticcio metallico con rivestimento in piastrelle di Viollet le Duc.

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Eduard Manet, Fuga di Rochefort, 1881

Si giunge poi in un’altra sezione della mostra dedicata alla marine dove sono tre le opere che attirano di più l’attenzione: si parte dalla Fuga di Rochefort (1881), che raffigura l’evasione del giornalista Henri Rochefort (personaggio dipinto anche da Giovanni Boldini e presente nella sezione dei ritratti); qui la scena vera e propria della fuga lascia spazio alla rappresentazione delle onde del mare increspate, realizzate da Manet con sapiente perizia inventiva grazie ad una pennellata veloce e decisa, e dove le imbarcazioni e gli uomini risultano solo ombre sfocate: il mare è il vero protagonista. Si prosegue poi con un’altra opera del maestro parigino: Chiaro di luna sul porto di Boulogne, opera di grande bellezza e suggestione, un notturno illuminato solo dalla presenza della luna in parte coperta delle nubi, che rivela solo parzialmente le imbarcazioni ancorate al porto e gli uomini e le donne in fila quasi come durante una processione religiosa. Suggestivi sono ancora i colpi di luce per rendere in lontananza la vita che si sta svolgendo all’interno delle case nei pressi del porto.

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Eduard Manet, Chiaro di luna sul porto di Boulogne, 1869

La terza opera di questa sezione è il Pastorale (1870) di Paul Cezanne che richiama fortemente la grande assente di questa mostra, ossia la celeberrima Colazione sull’erba di Manet, dipinta nel 1863 (immagine di copertina). L’opera di Manet rifiutata al Salon creò un enorme scalpore per i nudi anticlassici e per la resa pittorica del tutto nuova e fuori dalle regole “accademiche”; con il surrogato cezanniano, certamente di grande bellezza, la mostra prova a riempire un vuoto comunque incolmabile.

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Paul Cezanne, Pastorale, 1870

Bella è la sezione dedicata alle nature morte, dove si fanno notare tra tutte quelle esposte, quelle di Manet come i Fiori in un vaso di cristallo (1882) e l’Asparago (1880), una tela di piccole dimensioni ma dalla potenza espressiva straordinaria, che mostra come anche il più insignificante degli oggetti possa in realtà trasformarsi in opera d’arte. Se la Colazione sull’erba come d’altronde l’Olympia sono le grandi assenti della mostra, continuamente richiamate però da altre opere e dall’audioguida non sempre brillante, ho trovato la sezione intitolata L’Heure Espagnole molto interessante. Imponente e bellissimo è il Pifferaio (1886), forse un ritratto in versione maschile della modella che posò per l’Olympia (Victorine Meurent), rifiutato al Salon di quello stesso anno per la resa pittorica cruda, realizzata per mezzo di campiture piatte e nette (segno distintivo del maestro parigino). In questi anni l’arte di Manet è influenzata da quella di Tiziano, Rubens e Velasquez, conosciuti indirettamente durante il viaggio del maestro in Spagna, avvenuto nel 1865. Da questo viaggio, memore della lezione dei suoi antichi maestri, derivano opere come Lola de Valentia, il cui fascino luminoso della protagonista e di tutta l’opera è paragonato da Baudleaire ad un “gioiello rosso e nero”, il Combattimento tra tori (1865-66) dove il colore inizia a scomporsi e a farsi impressione di luci e ombre, e come Angelina, figura ambigua e malinconica segnata dal tempo. Affiancato a questi dipinti è il cupo, eppur notevole, San Sebastiano martire di Theodore Ribot, pittore influenzato dalla lezione del caravaggesco Jusepe de Ribera, maestro a cui anche Manet dimostra di aver guardato molto in questi anni.

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Eduard Manet, il Pifferaio, 1886

In mostra si passa poi ad una sezione dedicata alla vita mondana di Parigi, fatta di balli sfrenati e feste trasgressive accompagnate da alcool e fumo. È la vita dei ceti sociali più poveri ma è anche la vita degli intellettuali e degli artisti che si svolgeva di notte nei caffè e nelle locande. Due sono le opere che colpiscono di più l’osservatore: una è la Cameriera della birreria di Manet, tela dal taglio compositivo innovativo e drammatico dove la modella guarda dritto negli occhi chi osserva la scena. L’altra invece è la Scena di festa di Giovanni Boldini, la stanza immersa in un’atmosfera da “luci rosse” è assolutamente dinamica e frizzante: i merletti svolazzanti dei vestiti delle donne che danzano e il riflesso delle luci sugli abiti scuri degli uomini, anch’essi intenti alle danze, accentuano la sensazione di divertimento, dinamismo e leggerezza della scena. L’opera di Manet richiama infine quella dipinta diversi anni più tardi da Renato Guttuso, intitolata Serata campestre, a cui il pittore siciliano potrebbe essersi rifatto.

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Giovanni Boldini, Scena di festa, 1889

Dagli eccessi bohèmien si passa a quelli della classe aristocratica, incontrando prima però una sezione dedicata all’Opèra Garnier e alla vita che vi si svolgeva dentro e fuori dai palchi. Monumentale è il dipinto di Victor Navlet la Scalinata dell’Opèra di Parigi (1880 circa) e suggestive sono le opere di Degas come il Foyer della danza al teatro dell’Opèra e di Henry Gervex il Ballo dell’Opèra ancora un quadro dal taglio compositivo inusuale.

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Victor Navlet, La scalinata dell’Opèra di Parigi, 1880 circa

Si arriva quindi ai balli dell’alta società, e per rimanere in tema di teatro, cito qui la bella opera di Eva Gonzales (allieva di Manet), Un palco al teatro degli Italiani, una scena descritta quasi come se fosse uno scatto fotografico ravvicinato, dove il mazzo di fiori presente all’estrema sinistra è un chiaro omaggio al maestro che più volte aveva trattato questo genere di soggetti. Straordinaria è l’opera di James Tissot il Ballo (1870 circa) in cui una giovane donna dal luccicante e svolazzante abito giallo, accompagnata da un uomo molto più anziano di lei (forse il marito), appena entrata nella grande sala da ricevimento è subito rapita da qualcosa o meglio da qualcuno che ha appena visto e volta lo sguardo verso sinistra, pronta ad iniziare una serata di “beneducate frivolezze”. Più controllato dal punto di vista formale e delle emozioni è il dipinto di Jean Beraud Una serata (1878) dove alla straordinaria eleganza e lucentezza della scena si contrappone il “rigido e impacciato” comportamento dei convenuti.

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James Tissot, il Ballo, 1870 circa

Ed eccoci arrivati alle ultime due sale di un’esposizione che conta oltre cento opere: è ancora Manet il protagonista con la Lettura (1865-1873) dove ritratta è sua moglie Suzzane mentre sullo sfondo compare anche il figlio della coppia intento a leggere un libercolo. Tutta la scena è racchiusa in un’atmosfera famigliare e “candida”, enfatizzata dal sapiente uso del colore bianco e dalle sue sfumature, variate a seconda della luce. Simile per la tavolozza dei colori, con alcune varianti tonali di verde, è il Balcone (1868-1869), altra celebre opera di Manet dove si trova, seduta a sinistra, ancora una volta l’amante del maestro Berthe Morisot, ritratta con lo sguardo sfuggente e con in mano un ventaglio.

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Eduard Manet, il Balcone, 1868-1869

Non posso chiudere questa recensione senza parlare dell’ammagliante opera di Alfred Stevens il Bagno (1873-1874): questo dipinto dal taglio compositivo orizzontale ha catturato la mia attenzione forse più di tutti gli altri. Si osservi lo sguardo melanconico della ragazza perso nel vuoto mentre è intenta a lavarsi, probabilmente sta pensando a ciò che ha appena finito di leggere nel libro che le sta accanto, e subito ci viene da pensare: che cosa avrà letto? Qual è il titolo del libro? Perché è così pensierosa? E ancora si noti la tavolozza fredda che il pittore utilizza accennando solo all’uso di colori più caldi come il cerchietto rosso che la ragazza porta nei capelli o il bracciale dorato che indossa al braccio. Tutto nella scena è reso con distacco e freddezza, dalla vasca di rame ai rubinetti dell’acqua, dalla carnagione della donna al libro e agli asciugamani poggiati sullo sgabello. Il dipinto proprio per il suo apparente distacco possiede, a mio parere, un magnetismo davvero unico.

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Alfred Stevens, il Bagno, 1873-1874

La mostra non poteva che chiudersi con un ritratto dipinto da Manet rappresentante Berthe Morisot con un mazzo di violette. Berthe, modella e amante di Manet, apre la mostra assieme al ritratto di Zolà e la chiude creando idealmente un fil rouge che lega assieme tutta la grande mostra di Palazzo Reale che fa “sfilare sul palcoscenico” della Milano contemporanea tutta la varietà della Parigi moderna.

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Eduard Manet, Berthe Morisot con mazzo di violette, 1872

 Marco Audisio

 

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