Hai sentito? Quelli della Statale stanno facendo una grande mostra su Gaudenzio Ferrari. Davvero? Si, e pare che siano due grandi studiosi a curare la mostra: Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa. Ah, li conosco, sono stati i miei professori di storia dell’arte quando studiavo in via Noto, pensa mi sono anche laureato con loro. Bene, ho sentito anche che assieme a loro c’è anche il massimo studioso di Gaudenzio, si chiama Giovanni Romano. A fare le schede del catalogo ci sono gli studenti e i dottorandi, tu fai parte del gruppo? Hai fatto qualche scheda? No, non mi hanno coinvolto, tuttavia ho dato marginalmente un piccolo contributo. Davvero? Quale? Ho ritrovato una copia tardo cinquecentesca di un originale perduto di Gaudenzio, un’Annunciazione che stava nell’antica chiesa del Sacro Monte di Varallo. Bene sono contento, dai, meglio di niente. Eh, sì!
Potrebbe essere scritta tutta d’un fiato la storia di Gaudenzio Ferrari, il più grande pittore e scultore valsesiano del Cinquecento, ma non in questo caso. Ritengo infatti giusto mantenere la suddivisione cronologica e di sedi, facendo riferimento di volta in volta ai luoghi e alle opere presenti nelle tre differenti cittadine del Piemonte Orientale: Varallo, Vercelli e Novara, dove questa mostra diffusa si sta attualmente svolgendo. Non sarà questa la sede per fare una recensione vera e propria di questa antologia su Gaudenzio quanto piuttosto una riflessione generale oltre che sull’esposizione, soprattutto sulla vita e sulle opere di questo immenso artista del Cinquecento padano. Va detto che Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari è il titolo della mostra che si svolge a Varallo presso la Pinacoteca Civica (fino al prossimo 16 settembre), a Vercelli presso Arca ex chiesa di San Marco e a Novara all’Arengo del Broletto; per queste ultime sedi, la mostra, termina invece il primo luglio prossimo.

Ci siamo lasciati da poco alle spalle la cittadina di Borgosesia, le case iniziano a diradarsi e, a poco a poco, la vegetazione si fa più fitta e i monti iniziano a imporsi come solo le grandi masse rocciose sanno fare. A un certo punto del percorso c’è una sorta di stacco visivo: si vedono ora solo montagne e verde un po’ ovunque. L’aria è più frizzante, fresca, pulita: c’è un profumo differente da quello della città. Si intuisce che manca poco, davanti a noi si staglia in tutta la sua fascinazione il Sacro Monte: siamo arrivati a Varallo. Da nemmeno dieci minuti abbiamo lasciato l’auto al parcheggio e già siamo arrivati davanti all’ingresso della Pinacoteca: siamo passati per adorabili stradine e case con il tetto di pietra. Fatti i biglietti, la parte più macchinosa è terminata: inizia la mostra. La prima cosa che si nota è l’allestimento, il colore delle pareti è azzurro chiaro chiaro, quasi tendente al bianco, le scritte che ci accolgono sono dorate. Davanti a noi stanno tre opere: una Madonna col Bambino di Aimo Volpi, un polittico del Maestro di Crea e un piccolo Cristo in pietà di un anonimo maestro lombardo. La semplicità di questi tre dipinti evoca il mileu artistico che c’era alla fine del quattrocento a Varallo. Il polittico è voluto da Marco Scarognino, il nobiluomo che aveva il patrocino della cappella di sinistra della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Varallo, poi denominata di Santa Margherita. Nel 1507, Gaudenzio di ritorno da un viaggio nel centro Italia affrescherà la volta e le pareti dell’ambiente. Il pittore del polittico è forse quel Francesco Spanzotti che lavora anche a Crea nel Monferrato per il marchesato Peleologo, fratello del ben più noto Martino cha a Ivrea ha lasciato uno dei più bei tramezzi istoriati della storia dell’arte: lo sapeva bene Giovanni Testori il vero “padre critico” di “Gaudenzio Ferrari”. Le matrici ferraresi di questa macchina d’altare sono evidenti, e la luce dei faretti la illumina bene. Nemmeno il tempo di girare la testa che già si vede uno dei Compianti su Cristo morto più toccanti e straordinari di questo nostro mondo. È il compianto ligneo che un tempo costituiva il più antico nucleo di una delle cappelle del Sacro Monte di Varallo. Si è voluto vedere in questo capo d’opera la mano di Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, scultori lombardi di origine pavese ai quali dovrebbero spettare innumerevoli gruppi scultorei sparsi in giro per la Lombardia e non solo. La luce tocca mirabilmente queste sculture che sembrano parlare. Il loro è un linguaggio intensamente misurato nei gesti, nei sentimenti e nelle parole.

L’opera emerge da una nicchia geometrica che non so perché mi ricorda un po’ le metafisiche architetture del Bramantino. Angoli retti e inclinati racchiudono la morbida materia del legno, l’effetto è straniante e avvolgente allo stesso tempo. Non perdo tempo a descrivere questo capolavoro; ci ha già pensato a suo tempo Giovanni Testori e non occorre aggiungere altre parole. Accanto a questa meraviglia sta un’altra scultura lignea: un Cristo risorto, le mani che hanno plasmato quest’anima di legno sembrano le stesse della Pietra dell’Unzione poc’anzi menzionata, ma se non sono proprio le stesse, senz’altro ci vanno molto vicino. Questo lavoro stava sopra la fontana nella piazza centrale del Sacro Monte: per fortuna oggi al suo posto si trova una copia e l’originale è al sicuro, al chiuso. Fin qui l’antefatto, fin qui il prologo, tutto è pronto per l’avvio di Gaudenzio tutto immerso nella sua valle, nella sua Valduggia, dove nasce intorno al 1480. Il suo maestro è Stefano Scotto abile nei rabeschi, che dipinge la cappella dell’Assunzione della Vergine il nucleo originario del Gran Teatro Montano. Al suo fianco esordisce anche il giovane Gaudenzio, gli angioletti che circondano la Vergine sono di una tenerezza “altra” rispetto ai modi piuttosto modesti del suo maestro.

Gli affreschi sono racchiusi in un ambiente che riproduce fedelmente gli spazi dell’antica cappella, ancora visibile non appena si scende dalla funivia che ti porta al Sacro Monte. Si passa oltre, si sosta poi davanti a due Crocifissioni: quella di destra è della bottega degli Scotti, ha nel cielo immagini dorate di angeli, quella di sinistra è del giovane Gaudenzio (l’attribuzione è di Giovanni Testori). La luce non è buona come per le prime opere. L’allestimento rimane metafisico: intenso. La Crocifissione di Gaudenzio è forse l’elemento apicale di un polittico che un tempo stava in Santa Maria delle Grazie qui a Varallo; la figura di San Giovanni è identica a quella del personaggio del Cenacolo di Leonardo a Milano.

Voltandoci due testoline emergono dalla penombra dell’ambiente: sono un probabile San Sebastiano e il suo aguzzino in berretta rossa. Nessuno sa di che cosa facevano parte, le ipotesi sono tante per stare qui ad aggiungerne altre; una cosa è certa: trasmettono tutta la concitazione di una scena con molte più figure. Si va avanti, si imbocca un corridoio, pochi passi e ci troviamo davanti il Polittico di Sant’Anna, siamo nel 1508-1509, l’opera, prima che venisse smembrata e divisa in diverse collezioni d’Europa, stava a Vercelli, nella confraternita di Sant’Anna. La fruizione di quest’opera non è delle migliori, infatti una luce rosata e un poco riflettente sui vetri delle opere del registro superiore occulta la visione di questo capo d’opera: un vero peccato. È ancora giovane il Gaudenzio che qui si cimenta per la prima volta con le Storie di Anna e Gioacchino.

È appena tornato da un viaggio di formazione in centro Italia; ha visto Perugino, Luca Signorelli a Orvieto, forse è passato pure da Firenze, prima ancora, allo scoccare del 1500 era stato a Milano dove Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, allievo di Donato Bramante da Urbino lo aveva folgorato. Nemmeno Leonardo Da Vinci rimarrà nella mente e nel cuore di Gaudenzio come il Bramantino. Lasciatoci alle spalle questo polittico qui eccezionalmente ricostruito, imbocchiamo un altro corridoio tra luci e ombre. Passiamo davanti ad altre due piccole teste, anche di queste non sappiamo con esattezza di che scena facessero parte, una sembra un Santo martire, l’altro un frate dormiente. La pennellata è veloce, il colore, nonostante lo stato di conservazione, brillante. Staccati gli occhi da queste ultime opere già l’attenzione è catturata dal bellissimo e accesissimo Angelo Annunciante che un tempo stava nell’antica chiesa del Sacro Monte. Perduta forse per sempre o forse per il momento è la Vergine Annunciata, se ne può avere un’idea in quella che ho rintracciato nell’Oratorio di San Gottardo a Borgomanero e che ho segnalato in occasione di questa mostra ai due curatori.

Dovrebbe essere la più completa versione dell’originale dispersa, nonostante esistano, della Vergine di Gaudenzio, numerose copie a mezzo busto sparse per la Valsesia. Accanto a questo angelo giovanile, dove la delicatezza dell’incarnato unito all’umanità del gesto di porgere il giglio idealmente alla Vergine sono già le cifre stilistiche di questo grande artista, sta la stupefacente tavola con le Stimmate di San Francesco d’Assisi. Era su al Sacro Monte anche questa, era la pala d’altare di una delle primissime cappelle del complesso, la cui primigenia regia spetta al padre francescano Bernardino Caimi fin dalla fine del Quattrocento. L’aria che si respira in questa tavola è davvero quella che si avverte arrivando al Monte: la luce, gli odori, l’atmosfera, sembra di essere lì e di partecipare alla scena. È un’opera che ha sofferto molto fin dall’antichità, è stata infatti restaurata da Teseo Cavallazzi, capostipite di una bottega di pittori originari di Oleggio, ma attivi soprattutto in Valsesia fino alla fine del Cinquecento.

Ci si gira verso sinistra e là sta lo straordinario Polittico di Arona, dipinto da Gaudenzio circa nel 1511, la data si legge chiaramente sul pannello centrale di questo immenso capolavoro del maestro valsesiano. La cornice lignea, ancora originale, spetta alla bottega di Amedeo Giovenone, appartenente a una numerosa famiglia di pittori e legnamari vercellesi attivi fino alla fine del Cinquecento nei territori vercellesi. L’Adorazione del Bambino è una delle scene più familiari e serene che esistano nella storia della pittura padana del secolo. Riferimenti al Perugino sono ancora evidenti, i Santi stanno raccolti e assorti, il Dio padre nella cimasa è lì per fare in modo che nulla accada a questa serena tranquillità quotidiana. Il paesaggio è domestico, calmo, lucente, nulla può smuovere gli astanti dalla loro adorazione. Perfino la committente dell’opera, Bianca di Saluzzo, moglie di Vitaliano Borromeo è ripresa come una devota, inginocchiata e assorta nella preghiera davanti alla figura di Gesù bambino. La purezza e le delicatezze dei volti, la tranquillità dei paesaggi, la famigliarità della scena sono tra le cifre stilistiche più alte che si siano mai viste in Gaudenzio.

Il maestro valsesiano dipinge l’umanità della valle, un’umanità vera, pura, incorrotta e lo fa ancora meglio in quello che a buon diritto è il vertice assoluto della sua pittura, ossia il tramezzo in Santa Maria delle Grazie con le sue ventuno scene della Passione di Cristo (1511-1513). Un ponteggio è stato disposto a distanza ravvicinata affinché lo spettatore possa avvicinarsi a queste scene e ne possa godere a pieno la bellezza. Qui Gaudenzio fa sfoggio di riferimenti che vengono anche d’oltralpe, Dürer in primis ma anche e perché no Albrecht Altdorfer, Hans Baldung Grien e Hans Memling. I notturni che si possono vedere in queste scene, come nella Cattura di Cristo o a Discesa al limbo, possono tranquillamente gareggiare con il San Pietro liberato dal Carcere di Raffaello Sanzio nelle stanze vaticane.

Manca in mostra a Varallo il Polittico della Natività della Basilica di San Gaudenzio a Novara (1514-1521), ma il visitatore può ammirarlo come meglio non si potrebbe nella sua collocazione in situ. Qui Gaudenzio è coadiuvato da un aiuto, ossia dal pittore novarese Sperindio Cangoli che fa anche da garante al maestro valsesiano al suo arrivo in città; d’altra parte un altro pittore, Eusebio Ferrari, aveva garantito per Gaudenzio quando era giunto a Vercelli per dipingere il Polittico di Sant’Anna. In mostra a Varallo è presente però un disegno preparatorio dello scomparto inferiore destro del polittico di Novara che viene dell’Accademia Albertina di Torino che raffigura Sant’Agabio e San Paolo.

Riprendendo la visita della mostra, entriamo nell’ultima sala, una stanza rettangolare dove stanno altri tre capolavori del grande Gaudenzio: l’Ultima Cena dipinta con l’aiuto di Sperindio Cagnoli per la confraternita del Corpus Domini per l’antico Duomo di Novara (stava nella zona dell’abside) e oggi sistemata in una cappella del duomo antonelliano, il Polittico di San Gaudenzio di Varallo e la ricostruzione di un polittico che Gaudenzio avrebbe realizzato per la famiglia dei Collobiano di Valdengo e che stava un tempo nella chiesa romanica di Sant’Eusebio a Vercelli. Sul tema dell’Ultima Cena, il maestro di Valduggia tornerà anche sul finire della sua vita e di cui parleremo nella terza tappa del nostro viaggio.

Occorre qui soffermarci un momento sul grande Polittico di San Gaudenzio di Varallo, l’occasione per ammirarlo è più unica che rara, infatti normalmente la sua solita collocazione non ne permette una visione ottimale, l’opera infatti è ostacolata da una marea di oggetti posti davanti alla vista dello spettatore oltre che a essere immersa nel buio. Non è da escludere anche qui l’intervento di aiuti, tuttavia a ben guardarlo esso rivela tutta la grandezza del più bel stile di questo pittore. Si intuisce già qui, nello scomparto centrale con lo Sposalizio di Santa Caterina d’Alessandria, un accenno di manierismo specie nella capigliatura della Santa martire, ma che tuttavia è ancora una donna del popolo, o meglio una donna della valle, nel senso più alto del termine. Vicino al polittico è esposto anche un disegno preparatorio, che viene sempre da Torino, e che raffigura un Santo Vescovo (forse Gaudenzio) ossia la porzione inferiore sinistra del polittico di Varallo. Una donna del popolo e della valle è anche la Vergine col Bambino dello scomparto centrale del polittico per Sant’Eusebio, qui eccezionalmente ricomposto, tenera bambina cresciuta al sole e all’aria della Valsesia con gli zigomi rosati e dolcissimi; scomparto che normalmente si conserva alla Pinacoteca di Brera a Milano. Le altre parti del polittico presenti alla mostra stanno alla Pinacoteca Sabauda di Torino. Siamo già allo scoccare del 1520 e la prima tappa della mostra termina qui.

Non si può però lasciare Varallo senza essere saliti al Sacro Monte e aver ammirato le cappelle, specie quelle realizzate da Gaudenzio come il grande “atto plasticato” della cappella 38, ovvero della Crocifissione, da considerare come primo germe viscerale di quello che sarà il Barocco. Sono capolavori del maestro anche la cappella dell’Annunciazione, quella dell’Arrivo dei Magi, della Natività, dell’Adorazione dei pastori, in particolare la Vergine, San Giuseppe e l’asinello, della Circoncisione, di Cristo condotto al Pretorio, in particolare la figura di Cristo e della Pietà, in particolare gli affreschi e il Cristo in pietà. Non è questo il caso per parlare diffusamente delle cappelle di Gaudenzio al Sacro Monte, al visitatore basti sapere che se volesse approfondire “sentimentalmente” e artisticamente il rapporto di Gaudenzio Ferrari con il Sacro Monte, le parole di Giovanni Testori nel Gran Teatro Montano (1965 e riedito da Feltrinelli nel 2015) basteranno a rivelargli tutti i segreti dello stile “sentimentale” di questo grande artista. Per gli aspetti storico-artistici e collezionistici “più crudi” sulle opere c’è il catalogo della mostra, che si potrebbe definire usando le parole di Giovanni Testori di “triturante filologia”, costituito da oltre seicentotrenta pagine e che dovrebbe soddisfare qualunque sete di conoscenza. Edito da Officina Libraria con una nuova campagna fotografica delle opere di Gaudenzio, fatta da Mauro Magliani e un regesto dei documenti noti sull’artista valsesiano a cura di Roberto Cara. E’ in vendita nelle tre sedi della mostra al prezzo di trentatre euro. Inutile dire che questo corposissimo volume è destinato a segnare gli studi su Gaudenzio Ferrari per i prossimi anni.

Prima di lasciarci al visitatore non deve mancare la pazienza di recarsi a vedere “Gaudenzio alle porte di Varallo”. Nella vicina località di Roccapietra infatti si trova un piccolo edificio noto come la Cappella della Madonna di Loreto. Lì si trova un altro capolavoro giovanile di Gaudenzio, una Madonna del latte in terra cotta circondata da una Annunciazione dipinta ad affresco. Sulla lunetta all’esterno dell’edificio sta invece un’Adorazione del Bambino una delle più toccanti scene che si siano mai viste. Questi lavori di Gaudenzio stanno immersi in un tripudio di pitture ad affresco realizzate da gran parte della cerchia gaudenziana: dai Cavallazzi a Fermo Stella da Caravaggio.

È quasi il tramonto, le gambe fanno male e la stanchezza si fa sentire, è arrivato il momento di salire in auto e di mettersi di nuovo in viaggio. Domani tocca a Vercelli.
Marco Audisio
Link all’acquisto del catalogo della mostra: Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari. Catalogo della mostra (Novara-Vercelli-Varallo Sesia, 24 marzo-1 luglio 2018). Ediz. a colori
Seconda parte: Gaudenzio the middle age: Vercelli
Terza parte: Gaudenzio revolution: Novara