Gaudenzio revolution: Novara

“Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato”.
(Edgar Allan Poe)

Novara, la città dove vivo, ospita il terzo atto di questa saga gaudenziana. L’Arengo del Broletto è la sede prescelta per questo finale d’opera. Se non fosse per una Galleria di arte moderna allestita alla bell’e meglio e le sale che un tempo ospitavano i Musei Civici della città adibiti a bar ristorante, la location sarebbe perfetta. Ma non tergiversiamo oltre, ed entriamo in mostra.

Le sale si fanno cupe, se dovessi dire di che colore si tratta, direi che è melanzana scuro. Qui le geometrie della sede di Varallo tornano a farsi sentire maggiormente, ma la temperatura sentimentale è diversa: c’è una sorta di nostalgia per un glorioso passato, in tutti i sensi. In questa sede si raccontano gli ultimi dieci anni della vita di questo grande uomo. Alla metà degli anni Trenta del Cinquecento Gaudenzio lavora a Saronno, dove qualche anno prima ci aveva messo mano il pittore Bernardino Luini e dove, dopo Gaudenzio, ci lavorerà pure Bernardino Lanino. La cupola della Madonna dei Miracoli di Saronno è davvero miracolosa: un’opera come poche al mondo; se non ci si è mai andati, bisogna porvi rimedio.

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Fig. 1. Gaudenzio Ferrari, Sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, 1530-1534, Novara, Duomo.

La mostra di Novara inizia proprio con un disegno preparatorio per la cupola con gli angeli musicanti realizzati poi a Saronno. A fianco di questo si trova il bellissimo Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, (di cui esistono innumerevoli copie), variazione sul tema di quello eseguito per il Polittico di San Gaudenzio a Varallo. L’opera fu eseguita per l’altare dei Parroci nel coro dell’antico Duomo di Novara; oggi si conserva nel Duomo antonelliano nella seconda cappella (quella appunto di Santa Caterina) a destra. Un documento ci dice che il Compianto che sta oggi alla base della pala ed è utilizzato come predella era in realtà la cimasa, ovvero l’elemento apicale della pala e che la predella era invece costituita da quella serie di angioletti danzanti e suonanti che sono esposti accanto e che provengono dall’Accademia Carrara di Bergamo. La cornice entro cui si vede attualmente sistemata l’opera non è quella originale, che doveva essere realizzata da Giovanni Pietro Giovenone. Al buio o quasi, e specie la seconda, sono le due tavolette monocrome presenti nella stessa sezione: una raffigura il Supplizio di Santa Caterina che si conserva alla Pinacoteca di Varallo, l’altra rappresenta invece Santa Caterina davanti ai giudici e si conserva in una collezione privata novarese. Sono diverse le ipotesi di provenienza di queste tavolette, l’ultima le vorrebbe parte di una predella per un Pala di Santa Caterina che Gaudenzio avrebbe eseguito per il Duomo di Vigevano nel 1534.

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Fig. 2. Gaudenzio Ferrari, Angioletti danzanti e suonatori, 1530-1534, Bergamo, Accademia Carrara.

Se ci giriamo possiamo osservare una Madonna con il Bambino che proviene sempre da Bergamo e che era la pala d’altare della chiesa di clarisse di Santa Marta a Milano. L’opera aveva sia a sinistra che a destra due Santi: Chiara e Antonio da Padova e nella parte alta degli angeli che reggevano una sorta di baldacchino rosso. La tavola è stata brutalmente tagliata in più parti nell’Ottocento, alcune delle quali oggi non si sa che fine abbiano fatto, mentre i due Santi sono finiti in due diverse collezioni private.

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Fig. 3. Gaudenzio Ferrari, Madonna con il Bambino; a sinistra Santa Chiara e a destra Sant’Antonio da Padova, in alto angeli reggi cortina (Pala di Santa Marta), 1538 circa, già Milano, Chiesa di Santa Marta.

Proseguendo il percorso ci troviamo davanti un San Giovanni Battista, è lo scomparto inferiore sinistro di una grande macchina d’altare realizzata da Gaudenzio nel 1542 per la chiesa di Santa Maria di Piazza a Busto Arsizio e voluta da Donato Prandoni. La stessa opera era presente nell’unica altra mostra monografica che su Gaudenzio Ferrari sia mai stata fatta, ovvero quella andata in scena nel 1956 al Museo Borgogna di Vercelli a cura di Vittorio Viale, Giovanni Testori e Anna Maria Brizio. Sul retro della tavola, e a testa in giù, si può ammirare tra le bellissime pieghe del legno, una figura maschile nuda realizzata a monocromo bianco.

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Fig. 4. Gaudenzio Ferrari, San Giovanni Battista, 1541, scomparto inferiore destro del Polittico Prandoni, Busto Arsizio, Santa Maria di Piazza.

A fianco ci sta lo splendido Battesimo di Cristo, variazione sul tema di quello che abbiamo visto a Vercelli e proveniente dal Duomo di Casale Monferrato. Il Battesimo si trova nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso a Milano ed è stato commissionato dai fratelli Castelletto, in particolare da Marco Antonio. L’opera è vista e lodata da Giorgio Vasari nelle sue Vite. Qui le figure sono maestose eppure bellissime, si evince tutta la delicatezza e l’umanità delle prime prove di Gaudenzio a Varallo: un trionfo.

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Fig. 5. Gaudenzio Ferrari, Battesimo di Cristo, 1540-1541, Milano, Santa Maria dei Miracoli presso San Celso.

Accanto al Battesimo, quasi dalla penombra, emergono delle piccole tavolette a monocromo marrone come quelle con le Storie di Santa Caterina, o della predella del Polittico della Natività di Novara; sono la predella del polittico che Gaudenzio esegue per la chiesa di Sant’Andrea a Maggianico sul lago di Como.

Poco più avanti ecco che si arriva alla grandi pale unificate: è la volta del San Paolo nello studio di Lione, un tempo nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano dove Gaudenzio realizza gli affreschi della cappella di Santa Corona e dove nella Crocifissione riprenderà l’iconografia della versione in San Cristoforo a Vercelli. Lì, in quella cappella arriverà tra il 1542 e il 1543 l’Incoronazione di Spine di Tiziano: Gaudenzio va in cortocircuito. Il San Paolo, il cui committente dell’opera è da identificare con Paolo da Cannobio, è tra le opere più manieriste dello stile di Gaudenzio. L’autenticità e la genuinità dello stile del maestro valsesiano diventano un po’ retorici, difficoltosi, austeri, intellettualistici, difficili da comprendere fino in fondo eppure allo stesso tempo magnifici; d’altronde basta a dirlo il tipo di iconografia adottata in questo quadro. Qui il valsesiano mette la firma e data l’opera: siamo nel 1543. I colori sono brillanti e Gaudenzio, come aveva fatto fin dalla gioventù, dimostra la sua grandezza stando al passo con i giganti.

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Fig. 6. Gaudenzio Ferrari, San Paolo nello studio, 1543, Lione, Musée des Beaux Arts.

Un’altra prova strabiliante dell’artista è il San Gerolamo penitente che sta accanto al San Paolo nello studio. Viene dalla chiesa di San Giorgio al Palazzo a Milano, è una tavola che dimostra, nonostante il passare degli anni, una profonda meditazione sulle opere di Leonardo come la Vergine delle Rocce. Vicino al possente quanto magnifico San Gerolamo si trova inginocchiato il committente dell’opera: è Paolo della Croce. Le difficoltà si fanno sentire, ma Gaudenzio non molla, lo soccorre il pittore novarese Giovanni Battista della Cerva che dal 1537 affiancherà praticamente sempre il suo maestro. Certo nelle sgangherate gambe del Santo c’è da vedere l’intervento della bottega, ma non per questo il lavoro del grande maestro va messo in discussione.

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Fig. 7. Gaudenzio Ferrari e Giovanni Battista della Cerva, San Gerolamo penitente, 1545-1546, Milano, San Giorgio al Palazzo.

Il tempo passa e Gaudenzio tra il 1541 e il 1543 è al lavoro nella cappella Cavalcabò – Trivulzio in Santa Maria della Pace a Milano dove affresca le Storie di Anna e Gioacchino e della Vergine. A Novara gran parte di quel ciclo (strappato nell’Ottocento) è ricostruito per l’occasione. Gli affreschi lasciano ancora una volta vedere il largo intervento della bottega tra cui il pittore Francesco Pessina. La pala d’altare che originariamente era situata nella cappella raffigura la Natività della Vergine, (che in mostra non è presente e che si conserva alla Pinacoteca di Brera, come tutti gli affreschi della cappella), terza variazione sul tema memore soprattutto dello stile impresso da Gaudenzio al medesimo soggetto in San Cristoforo a Vercelli. Nella Natività di Santa Maria della Pace (passata in collezione Contini – Bonacossi a Firenze) la canefora all’estrema destra del dipinto è forse un omaggio o forse un’ultima meditazione su uno dei giganti della pittura rinascimentale: Raffaello. E di un’altra elucubrazione si dovrebbe parlare quando si osserva che uno degli angioletti sopra le scene principali, e che sembra guardare alla posa delle gambe del Cristo coronato di spine di Tiziano.

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Fig. 8. Gaudenzio Ferrari, Storie di Anna e Gioacchino, 1541-1543, già Milano, Santa Maria della Pace, cappella Cavalcabò-Trivulzio, oggi, Milano, Pinacoteca di Brera.

Gaudenzio durante tutta la sua vita ha rubato espedienti linguistici, stilistici e iconografici dai più grandi pittori che aveva a sua disposizione ed è divenuto a sua volta un grande, un genio alla pari con Raffaello. Anche quando giunge alla fine della sua vita Gaudenzio cita e copia proprio come da giovane citava e copiava Perugino, Bramantino e Leonardo. Gaudenzio è un rivoluzionario, che con il suo linguaggio raggiunge vertici altissimi e lo sapeva bene Giovanni Paolo Lomazzo, allievo di Giovanni Battista della Cerva, il quale lo inserisce nelle “sette colonne” del suo Tempio della Pittura. Certo nella Milano di Carlo V doveva sicuramente fare i conti con molti più artisti sulla piazza che volevano emergere e farsi notare (da Moretto da Brescia a Paris Bordon, da Callisto Piazza da Lodi ai fratelli Campi fino a Tiziano); ma nonostante tutto ritengo sia comunque riuscito a tenere testa a tutti, o quasi.

Stiamo giungendo alla fine di questa nostra avventura, ma tanto basta per un nuovo colpo di scena. Eccola là, è l’Ultima Cena che proviene della chiesa lateranense di Santa Maria della Passione a Milano. È il cenacolo che Giorgio Vasari giudicherà bellissimo e incompiuto per la morte dell’artista sopraggiunta il 31 gennaio del 1546 a Milano. Qui Gaudenzio alla fine della sua vita dimostra tutta la sua grandezza, ha negli occhi le architetture vere e immaginate, surreali e magnifiche del Bramantino al quale rende omaggio in uno scorcio di città sensazionale sullo sfondo della sua ultima opera. Tutta la tavola è pervasa da un sapore metafisico e bramantiniano pur mantenendo alto il suo inconfondibile linguaggio stilistico.

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Fig. 9. Gaudenzio Ferrari e Giovanni Battista della Cerva, Ultima Cena, 1543-1546 circa, Milano, Santa Maria della Passione.

Non passano nemmeno dieci anni e Gaudenzio e la sua rivoluzione dell’anima e dello stile vengono riprese da Bernardino Lanino nell’Ultima Cena in San Nazzaro a Milano. L’opera di Lanino avrebbe bisogno di un restauro per riuscirne a capire meglio la tavolozza, tutt’altro che scontata di questo epigono gaudenziano che, oltre a fare sua la lezione del maestro valsesiano, non si scollerà mai di dosso un certo impacciato leonardismo smielato e retorico.

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Fig. 10. Bernardino Lanino, Ultima Cena, 1554, Milano, San Nazzaro.

Nel 1595, un pittore fiammingo naturalizzato italiano, Valerio Profondavalle riprenderà l’opera di Gaudenzio, mutandone lo sfondo, oramai incomprensibile ai contemporanei; al posto di quelle architetture fantastiche, Profondavalle eseguirà una veduta della cupola di San Pietro in Vaticano. Nel 1603 è la volta di Raffaele Crespi, il padre di Giovanni Battista Crespi detto il Cerano, che nella parrocchiale del suo paese natale, appunto Cerano, ultima cittadina prima di passare nell’attuale Lombardia, realizza un ultimo omaggio al grande Gaudenzio Ferrari; qui i colori sono già quelli del manierismo internazionale orami disseminati di quel sottofondo metallizzato su cui esordirà Cerano in persona.

L’ultima sala fa vedere un’opera di Cerano, un Adorazione dei Pastori che viene dall’Oratorio di Robbiano nei pressi di Mortara e come Cerano in questo caso riprenda gli stilemi gaudenziani cercando di aderire alle fisionomie dei volti del suo ideale maestro. Di un certo interesse è anche la copia della Pala degli Aranci di Gaudenzio, un tempo nella cappella Caccia nella chiesa dei barnabiti di San Marco a Novara. L’opera oggi si trova nei depositi dei Musei Civici di Novara ed è stata realizzata da Francesco Giussano detto Bellone. In San Marco a Novara si possono vedere altre opere di questo copista gaudenziano all’altezza del 1620-26, tra cui spicca l’Adorazione del Bambino con il Vescovo Giovanni Angelo Arcimboldi, il cui originale attualmente si può ammirare nella sede di Vercelli. Interessante è poi anche una Madonna con il Bambino e San Giulio proveniente dalla basilica di San Giulio a Orta (Novara) già creduta, per il suo stile così mimetico, di Gaudenzio Ferrari, ma da ricondurre alla mano del molto meno dotato fratello di Cerano, Ortensio Crespi.

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Fig. 11. Giovan Battista Crespi detto il Cerano, Adorazione dei Pastori, 1595-1598, Torino, Galleria Sabauda.

L’ultimissima opera della mostra è un Cristo spogliato delle vesti di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone. Questo pittore è qui presente poiché quando sarà incaricato di eseguire alcuni affreschi nelle cappelle del Sacro Monte di Varallo nella sua fase di espansione seicentesca, da contratto, gli sarà imposto di rifarsi alla maniera di Gaudenzio Ferrari.

La mostra è terminata e noi soddisfatti di quello che abbiamo visto, torniamo a casa a meditare sulla vita e sulle opere di questo straordinario essere umano. Che cosa sarà delle nostre conoscenze su Gaudenzio Ferrari non è ora il caso di scervellarsi. “E adesso buonanotte suonatori” (Cit.)

Marco Audisio

Prima parte: Gaudenzio begins: Varallo
Seconda parte: Gaudenzio the middle age: Vercelli

2 risposte a "Gaudenzio revolution: Novara"

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